Difendere i territori, riappropriarsi del potere decisionale, immaginare un’altra gestione del “verde”: una sfida cittadina e non solo
Si conclude il Festival (r)Esistenze Verdi promosso dal Comitato Salviamo gli Alberi di corso Belgio di Torino. Vorremmo restituire e condividere alcuni spunti emersi nei dibattiti, come prospettiva per una sfida cittadina e in generale collettiva.
Allegati a questo articolo proponiamo gli audio dei due incontri svolti durante il Festival, il primo dal titolo “Salute, sicurezza, democrazia: quali possibilità per difendere i territori?”, tenutosi venerdì 25 ottobre presso lo Sporting Dora, con il dott. Daniele Zanzi, agronomo e il prof. Dario Padovan, sociologo e con l’intervento del medico Ugo Corrieri dell’Associazione Medici per l’Ambiente (ISDE); il secondo dal titolo “Per intensificare le lotte per la giustizia sociale ed ecologica in città”, una tavola rotonda , che ha avuto luogo sabato 26 ottobre presso la sala della parrocchia Santa Croce in piazza Fontanesi, con il prof. Vittorio Martone, sociologo, in dialogo con numerosi comitati cittadini e della provincia di Torino.
Il sistema attuale funziona attraverso lo sfruttamento delle risorse e la devastazione dei territori nell’ottica di generare profitti privati con la presunzione che queste risorse, l’aria, l’acqua, il suolo, il legno, siano disponibili all’infinito. Oggi ci scontriamo con una gestione dei territori miope e volta a strumentalizzare la paura dei cittadini, attraverso l’uso del tema della sicurezza da parte delle amministrazioni come arma per evitare la messa in discussione, da parte della popolazione, di progetti dannosi per la salute dell’ambiente e degli umani e dei non umani che ci vivono. A Torino diversi di questi progetti non tengono conto nemmeno delle condizioni idrogeologiche. Conoscere questi meccanismi è utile per controbattere e per organizzare una (r)esistenza che sappia riprendersi il potere decisionale a partire dalle reali esigenze della popolazione. Quali sono dunque le prospettive?
Innanzitutto, come sostiene Zanzi, è necessaria la partecipazione dal basso alla dimensione della scienza e della tecnica. C’è bisogno di rendere la scienza accessibile, attraverso divulgatori. Dobbiamo tradurre la complessità della scienza in termini comprensibili, questo permette la partecipazione popolare e la riappropriazione del proprio diritto a decidere.
Il problema individuato da Padovan è l’assenza di interlocuzione e l’impossibilità per i cittadini di avere una cassa di risonanza o una controparte su cui agire e fare pressione all’interno delle istituzioni. Il tema non è senza contraddizioni, infatti negli interventi dal pubblico si sono sottolineati i limiti della rappresentanza. La visione della città è degradata nel tempo, i temi della salute, della qualità della vita, del verde, di un miglioramento delle strutture urbane devono tornare all’ordine del giorno attraverso una vera pressione dal basso, perché gli amministratori stanno saccheggiando le città, rendendole dei luna park per i turisti e dei luoghi da mercificare, invivibili per chi ci abita. La logica della sicurezza è utilizzata dalle istituzioni per giustificare azioni che attaccano i territori, rendendo così legittime azioni scellerate: è necessario smascherare questa trappola.
La discussione su questi argomenti è proseguita con la tavola rotonda moderata dal prof. Vittorio Martone, alla quale hanno partecipato diversi comitati: Salviamo il Meisino, Salviamo i Prati, Alberi Urbani, No alla ruota panoramica nei giardini Ginzburg, il Coordinamento per la Salvaguardia della Collina Morenica, EsseNon, Salviamo la Pellerina e il Comitato Salviamo gli Alberi di Corso Belgio.
Al centro della tavola rotonda è stato posto un ragionamento sulle strategie messe in atto dai comitati per costruire una forza comune che parta dalle esperienze virtuose di ciascuno. A fronte di una esplicita volontà di frammentare le opposizioni popolari mettendo in competizione fabbisogni sociali diversi e talora parimenti legittimi, come vediamo con il tentativo di contrapporre salute e sicurezza, sport e ambiente, sanità e verde pubblico, è interessante mettere in fila le pratiche messe in campo che ad oggi sono state vincenti: il rallentamento dei tempi di attuazione di progetti cui soprattutto l’uso dei fondi europei impongono iter rapidissimi (Torino cambia, il piano va veloce è lo slogan dei progetti PNRR che nella nostra città escludono partecipazione popolare e controlli ambientali e paesaggistici), il mettere i bastoni fra le ruote alle procedure con azioni legali, il bloccare i lavori con la propria presenza fisica sul territorio e il riempire spazi che le istituzioni considerano vuoti con attività, iniziative, informazione e cultura, mettendo in circolazione saperi e competenze. Ripristinare una cultura, riconnettere il legame tra i cittadini e la natura urbana, avviare processi di cura, in autonomia o, quando possibile, in collaborazione con il Comune, è anche fondamentale.
Non si può delegare: proprio la presenza attiva sul territorio determina la buona riuscita degli obiettivi. Occorre offrire una cultura e un sapere di qualità, stimolando contributi (ancora troppo limitati) dell’università, dei saperi tecnici e scientifici, rendendoli accessibili e utili alle vertenze in corso. È importante valorizzare la conoscenza del patrimonio naturale e del territorio, tutte queste azioni approfondiscono la forza delle ragioni del NO e scardinano il sentimento di impotenza. Avere chiari i meccanismi dell’arroganza e dell’incompetenza del potere deve invece dare lo slancio per un una presa di consapevolezza, di un orgoglio, di appartenere a una dimensione popolare che ha il diritto di decidere.
La sfida dell’oggi che viene rivolta a tutti i comitati è allargare la partecipazione e l’attivazione, forti del filo rosso che tiene insieme tutte le lotte, contro la frammentazione dei territori che vengono, sfruttati, fratturati dall’imposizione di progetti devastanti. L’obiettivo è quello di solidificare le connessioni ecologiche in città e oltre, comprendere da dove arrivano le risorse preziose di cui si dispone, tutelarle e costruire alleanze capaci di trasmettere che la bellezza della lotta passa attraverso il mettersi in gioco, metterci la faccia, il proprio tempo, le proprie energie, ricostruendo comunità e relazioni umane.
Alcuni scatti della mostra L’Albero, un “respiro collettivo”, una produzione di oltre 300 opere uniche realizzate nel corso di numerosi presidi artistici in vari quartieri della città a cura del progetto AlberArte. Un processo artistico, un esercizio di comunità, un laboratorio di relazioni creative che si alimentano nella lotta per la difesa del territorio e si esprimono nel rapporto con l’albero. Questa è stata la cornice entro la quale si è svolto il Festival (r)Esistenze Verdi.
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