L’energia non è una merce: per uscire dal fossile non serve il nucleare, per la transizione energetica bastano le rinnovabili ma senza speculazione
Scriviamo questi appunti in merito al tema dell’energia nucleare per due motivi: abbiamo di fronte a noi il rischio di un suo effettivo ritorno gestito da mani incompetenti, antidemocratiche e senza scrupoli, come dimostrano le dichiarazioni del Ministro Pichetto Fratin e il suo disegno di legge; inoltre, la speculazione energetica legata a fonti rinnovabili è strettamente connessa al nucleare, come sostiene lo stesso Ministro con queste parole: “L’Italia è pronta a rientrare nel nucleare che rappresenta una scelta cruciale che non andrà a sostituire le rinnovabili ma le completerà assicurandoci un mix energetico equilibrato e sostenibile”. Il tutto dimenticandosi dei risultati di ben due referendum che hanno sancito la contrarietà della popolazione italiana al nucleare.
Siamo dunque di fronte a un orizzonte in cui, sotto il falso nome di transizione energetica ecologica, oltre all’invasione dei territori senza alcuna regolamentazione rispetto agli impatti ambientali, data dall’assalto eolico e fotovoltaico, si aggiungeranno progetti, cantieri, impianti sotto l’etichetta del nucleare verde. Tutto questo perché nessuno ha intenzione di sfatare il mito dell’energia infinita e della crescita competitiva a oltranza, nessuno intende rompere l’equazione che ricorre tra necessità energetiche e profitto basato sulla mercificazione dell’energia.
Pensiamo che sarà necessario, anche a partire dal Convegno No alla Servitù Energetica del 29-30 marzo a Livorno, iniziare a organizzarsi per immaginare un’opposizione al nucleare all’altezza di questa nuova sfida. È urgente, infatti, fare cambiare idea sin da subito a un Ministro che si conforta delle sue stesse fandonie, come viene riportato in queste righe di un’intervista svolta dal Sole 24 Ore: “Abbiamo visto che fine ha fatto in Europa il cosiddetto ambientalismo ideologico, su temi che toccano la carne viva dei cittadini, come i provvedimenti su auto e case green. Alla fine è prevalso il realismo. Così ritengo che sarà anche per il nucleare green di nuova generazione. I giovani sono in gran parte favorevoli. E poi noto il conforto di quella che tante volte in Italia è stata definita la maggioranza silenziosa. Vedrà che sosterranno la nostra iniziativa molte personalità, anche politiche, che hanno sostenuto in passato i referendum contro il vecchio nucleare e che oggi, alla luce dei risultati della ricerca, si sono ricredute.”
Scriviamo questi appunti a partire da un momento di incontro con Angelo Tartaglia, professore emerito di Fisica presso il Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia del Politecnico di Torino, e a partire dall’analisi di una narrazione giornalistica che negli ultimi mesi ha posto la questione in maniera ambigua, per alimentare un immaginario collettivo dell’energia atomica come possibilità green per attendere agli obiettivi di decarbonizzazione.
La realtà è che l’approccio dominante prevede di concepire l’energia come terra di conquista e di profitto, utile a garantirsi una posizione all’interno dello scacchiere bellico globale. In questo scenario l’Italia prova a tenere un piede in molte scarpe per evitare di finire schiacciata: ricordiamo infatti che la Presidente del Consiglio sta promuovendo l’Italia come hub del gas e vende la favola del nucleare di nuova generazione alla Cop29, facendosi paladina di una diversificazione delle fonti utile soltanto a farle stringere mani a ovest e a sud del Paese.
Di seguito mettiamo dunque in fila alcuni ragionamenti che saranno al centro del Convegno No alla Servitù Energetica.
- Il fabbisogno energetico del nostro Paese è già soddisfatto
Per quanto riguarda gli usi energetici, i maggiori settori energivori in ordine di quantità sono: i consumi privati (in particolare il riscaldamento), i trasporti e l’industria. Il 19% dell’energia utilizzata proviene all’oggi da fonti rinnovabili, il resto da metano e fossile. Il proliferare di nuovi progetti per impianti eolici e agri-fotovoltaici (nella quasi totalità presentati da aziende prestanome con capitale sociale ridicolo, che non hanno l’obbligo di passare dalla Valutazione di Impatto Ambientale) hanno come unico obiettivo quello di speculare e permettere profitto privato a scapito dei territori. Quanto all’energia nucleare, la principale contraddizione dei suoi promotori è che dal punto di vista dei costi essa non è affatto competitiva: deve funzionare a regime costante. Infatti è noto che il nucleare è un settore in declino in tutto il mondo. In Francia, per fare un esempio vicino a noi, molte centrali sono giunte a fine vita e debbono chiudere mentre le nuove in programma non compensano le chiusure.
- L’energia per definizione non dovrebbe essere considerata merce
Il punto è che occorre fare un ragionamento politico oltre ad un calcolo molto semplice: la fonte energetica meno costosa è quella rinnovabile, ma ciò che assume un costo è l’apparato che deve essere messo in funzione per utilizzarla. Di conseguenza è necessaria una valutazione politica sugli investimenti da fare per poter andare realmente in una direzione di riduzione dei consumi e abbandono del fossile. Partiamo da un assunto: per coprire il fabbisogno energetico del Paese occorrerebbe una quantità di energia prodotta da pannelli fotovoltaici collocati sull’1 % del territorio. Sapendo che il 7-8% del suolo italiano è già consumato e impermeabilizzato (tetti, capannoni, cemento), non occorrerebbe utilizzare alcuna area agricola per il fotovoltaico, ma basterebbe occupare le aree già cementificate.
3. Bisogna invertire la logica secondo cui è strutturata la rete energetica
La struttura della rete energetica oggi non è adeguata per un passaggio effettivo e totale a fonti rinnovabili in quanto è piramidale, organizzata secondo grandi centrali, vasta diffusione, con nodi ad alta e media tensione. La produzione da fotovoltaico, per continuare sullo stesso schema, necessiterebbe di una rete diffusa e a bassa tensione. Per espandere le rinnovabili occorrerebbe dunque una ristrutturazione della rete e quindi importanti investimenti che non producono profitto. Bisognerebbe infatti puntare a una produzione diffusa, dal basso, in cui si consuma e si paga ciò che si produce, che faccia del recupero e del riuso dei materiali un elemento fondamentale.
4. Sfatiamo l’inganno nucleare
I costi
Il nucleare non è conveniente, il mito del nucleare è completamente ideologico. Nella storia del nucleare nel mondo e nel nostro Paese le centrali nucleari hanno raggiunto una capacità produttiva fino a 1.6 gigawatt per impianto proprio nell’ottica di aumentare la potenza per minimizzare i costi: una centrale nucleare significa costi importanti per il controllo, la sicurezza, il raffreddamento, il mantenimento costante. Nella vulgata attuale la propaganda parla di micro reattori, quasi come se fosse un futuro desiderabile avere ciascuno a casa propria un piccolo reattore nucleare per fare andare il frigorifero. In realtà più aumentano i reattori e la loro diffusione, più aumentano i costi legati alla loro gestione e sicurezza. Un esempio che riguarda la Francia e dimostra come l’energia atomica non sia un terreno competitivo è che EDF, azienda che gestisce il nucleare, fortemente indebitata, nel 2023 è stata interamente nazionalizzata dal governo francese con una spesa di 9 miliardi di euro a carico dei contribuenti. Anche secondo i dati diffusi dal Report sui costi nucleari prodotto dalla coalizione 100% Rinnovabili Network vediamo che in Europa nel 2023, secondo l’Agenzia Internazionale per l’Energia, il costo di generazione di elettricità prodotta da centrali nucleari è stato di 170$/MWh contro il costo di quella da solare fotovoltaico pari a 50$/MWh. Dati ai quali bisognerebbe aggiungere, nel caso di un ritorno al nucleare di “ultima generazione”, i costi relativi allo smantellamento delle centrali nucleari, alla bonifica dei siti nucleari contaminati, alla gestione dei rifiuti radioattivi ad alta e media intensità. E quindi anche la favola sulla diminuzione delle tariffe dell’energia elettrica in bolletta deve essere smascherata come tale, perché l’energia prodotta dai mini reattori nucleari modulari SMR costerà di più di quella prodotta da grandi reattori, per i motivi spiegati sopra. Quindi, nonostante le dichiarazioni che dal 2022 ad oggi si susseguono ad opera dei vari ministri, Cingolani prima e Pichetto Fratin poi, non vi è stata nessuna riduzione in bolletta per famiglie e imprese; anzi, dallo scoppio della guerra in Ucraina pagare oneri di sistema in bolletta pari a quasi il costo complessivo del Mwh viene considerata ormai la normalità.
Le scorie
Il tema delle scorie nucleari è al centro del dibattito attuale, in particolare per quanto riguarda lo smaltimento e l’individuazione di un sito per il Deposito Unico di Scorie Nucleari. I tempi relativi alla diminuzione della radioattività delle scorie, pur dipendendo dal radioisotopo specifico, sono di migliaia di anni. La scoria non è soltanto il prodotto di fissione ma anche tutto quello che c’è intorno. All’oggi in ogni territorio in cui si è ventilata l’idea di impiantare il deposito sono scaturite proteste di cittadini, comitati e associazioni ambientaliste, alle quali i sindaci dei paesi coinvolti hanno dovuto adeguarsi, anche se in un primo momento erano d’accordo a mettere a disposizione il loro territorio, come è accaduto nel caso di Trino. Nella Tuscia, area del Viterbese già zona di sacrificio per impianti energetici di altro genere e per essere la prima per incidenza di tumori fra tutte le province del centro Italia per alto grado di radioattività naturale, proteste e marce popolari stanno prendendo piede contro l’eventualità del deposito. Sempre secondo le stime dell’Agenzia Internazionale per l’Energia, il costo in Europa previsto per la gestione dei rifiuti radioattivi, escluso lo smantellamento delle centrali, si attesta a 422-566 miliardi di euro. Il Deposito Unico in Italia per rifiuti ad alta media intensità costerà almeno 8 miliardi di euro.
La fusione
Un’altra favola a cui il Ministro dell’Ambiente vuole farci credere è che l’introduzione del nucleare da fissione di ultima generazione sarà un passaggio transitorio per arrivare in breve tempo alla fusione. Basterebbe fare un refresh della storia della tecnologia nucleare per capire come il mito si basi sulla fantasia di una fonte energetica inesauribile e poco cara ma anche impossibile da riprodurre sulla Terra. Dagli anni ‘50 del Novecento, quando si iniziò a parlare di fusione, a oggi, non è ancora stato trovato un modo per estrarre energia utile dalla fusione di due nuclei leggeri tra loro (il tutto a temperature e pressioni spaventose, dato che è lo stesso processo che aziona le fornaci interne del Sole). Se per 80 anni non si è trovato il modo di sfruttare la fusione, nonostante la ricerca ci abbia lavorato, non si capisce su quali basi il governo ritenga che la fusione possa diventare a breve la soluzione economica e green. Si consideri che il punto di non ritorno climatico è fissato al 2030, quindi fra appena cinque anni. Intanto il grado e mezzo di riscaldamento globale è già stato superato, mentre i tempi di costruzione di una nuova centrale nucleare stanno intorno ai 20 anni, nonostante si propagandino 7/8. Oltre a tutto questo, il dato è che la fusione non è una realtà praticabile secondo tutti gli esperti del settore: nel processo di fusione infatti non si riesce ad estrarre una quantità di energia superiore a quella utilizzata nel processo stesso, dunque è antieconomica. È un’ipotesi che anche per tempistiche e soldi pubblici non può stare in piedi. Eppure, mentre Giorgia Meloni a Baku alla Cop 29 parlava di fusione nucleare, il Ministro Pichetto Fratin esalta i nuovi microreattori SMR (Small Modular Reactor) di terza generazione basati sulla fissione come una fase transitoria verso la fusione. La realtà è che i Paesi più avanzati nella ricerca nella fusione sono Russia, Cina e Usa, un triangolo che fa pensare al fatto che lo sforzo di conquistare la fusione nucleare sia fondato primariamente sull’intenzione occidentale di riaffermare la propria egemonia geopolitica globale.
La guerra
I siti di interesse nucleare, che siano centrali vecchie o di nuova generazione, grandi centrali o micro reattori diffusi sul territorio, oppure luoghi per lo smaltimento delle scorie (considerato l’elevato numero di anni che esse impiegano a non essere più considerati rifiuti pericolosi) notoriamente rappresentano obiettivi bellici. A fronte dello scenario globale contemporaneo, immaginare un’Italia punteggiata da nuove centrali nucleari, da aggiungere alle centrali in disuso, ai siti di smaltimento, al Deposito Unico e alle basi americane già presenti sul territorio, significa mettere ulteriormente a repentaglio la sicurezza della popolazione e la salubrità dei territori. Ciò, senza contare il rischio sismico e alluvionale cui soggiacciono molte aree nazionali. Nemmeno potremmo immaginare se le fantasie del governo si spingessero sino a bramare l’arma nucleare, il che ci sembra al momento una distopia, per quanto occorra tenere in considerazione il fatto che le competenze valorizzate all’interno delle università maggiormente rinomate dal punto di vista della ricerca tecnico-scientifica hanno come obiettivo principale il dual use, investendo quindi capacità e competenze nell’industria bellica.
Il Big Tech
Anche il ritornello dell’integrazione rinnovabili-nucleare non è funzionale e sarebbe un’opzione costosa e non praticabile, utile solo agli interessi di pochi. Il mantra della necessità sovrastimata di energia deriva anche dalle nuove esigenze della transizione tecnologica digitale, come lo sviluppo dell’intelligenza artificiale. È proprio per andare incontro a queste esigenze che, secondo Giorgia Meloni, dovremmo puntare al mix energetico. D’altronde è risaputo che i territori in privazione di servizi essenziali come scuole, ospedali, strade e servizi assistenziali grazie all’intelligenza artificiale vedranno soddisfatte le loro esigenze… Allora analizziamo qualche dato che indica la proporzione delle esigenze delle aziende promotrici della transizione digitale. Chatgpt consuma dieci volte più di Google: secondo questo standard all’Europa fra 10 anni servirà il 50% di energia elettrica in più. Attualmente, infatti, i data center di tutto il mondo consumano 1-2% di energia circolante, ma è previsto che entro il 2030, complice l’intelligenza artificiale, questo dato aumenti fino al 3-4%. All’oggi aziende come Amazon, Facebook, Microsoft, Google, Apple, Nvidia emettono 130 milioni di tonnellate di CO2 ogni anno. Il settore tech – in particolare le sei aziende statunitensi citate – è quindi il comparto più inquinante al mondo, e i trucchi sul carbon match per compensare le emissioni non bastano più. Per andare incontro alle esigenze dei maggiori colossi del big tech una delle ipotesi sul piatto è proprio quella del nucleare e degli small reactors. Non a caso il fondatore di ChatGpt Sam Altman è alla guida di Oklo, azienda che produce reattori compatti di ultima generazione a fissione veloce che è cresciuta in Borsa del 400 per cento negli ultimi due mesi. Inoltre, il Ceo ha appena investito 375 milioni di dollari in Heliot Energy, start up che conta di sviluppare la fusione nucleare in grado di produrre energia entro il 2028. Anche Jeff Bezos ha contribuito alla ricerca in questo senso (di profitti) avviando il finanziamento di 500 milioni di dollari per X Energy Reactor, azienda che sviluppa piccoli reattori modulari. Google non è da meno, infatti ha siglato un accordo di valore mondiale, cosi lo ha definito, con Kairos Power, start up californiana del settore nucleare di ultima generazione. Infine, Bill Gates non ha rinunciato a una fetta della torta, finanziando per un miliardo di dollari un nuovo impianto nucleare TerraPower di ultima generazione che avrà sede in Wyoming.
Non sanno quello che fanno…
Un ultimo commento rispetto al disegno di legge presentato in fretta e furia dal Ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin. Si tratta di un disegno di legge con quattro articoli molto generici e, volutamente, lasciati vaghi che consentono al governo la possibilità di modificare la normativa attuale a colpi di decreti attuativi in due anni di tempo. Il cuore del disegno di legge riguarda proprio questo: delegare la materia nucleare al governo, velocizzando e semplificando le “difficoltà burocratiche”, come sono state definite proprio dal Ministro stesso. La semplificazione riguarda due piani della normativa. Da un lato si sforbicia la parte amministrativa, ossia le autorizzazioni necessarie, mantenendo in vigore soltanto la VIA ed eliminando le autorizzazioni intermedie, e quindi restringendo il potere decisionale dei sindaci e dei territori. Il tutto è motivato dal fatto che le nuove centrali nucleari sono opere di interesse strategico nazionale, una norma ormai che fa dell’eccezione la regola. L’altro piano riguarda la normativa in materia di sicurezza che, fino ad ora, è stata affidata all’autorità di sicurezza nucleare che verrà sostituita da un ente che avrebbe “titolo abilitativo integrato”, un passaggio importante perché prevede di andare nella direzione di standardizzare le certificazioni sul prodotto, bypassando così le indicazioni specifiche di ogni Paese. Il punto è che il prodotto in questione non è un’aspirapolvere ma una centrale nucleare. Infine, il disegno di legge fa riferimento anche alle fabbriche di combustibile nucleare e agli impianti di riprocessamento, lanciando il cuore oltre l’ostacolo dal momento che invece l’individuazione del sito per il Deposito Unico viene rimandata sine die. Occorre anche sottolineare chi sono oggi gli attori in campo (e i capitali, oltre al know-how): Enel, Ansaldo e Leonardo. Alla faccia della transizione energetica sostenibile ed equa.
5. In conclusione
L’unico modo per affrontare il tema dell’energia in maniera sostenibile e aderente alle esigenze dei territori è porre come priorità la questione della riorganizzazione energetica della società: per abbassare i costi e quindi gli impatti, economici, ambientali, sociali, culturali, non servono soluzioni (finto) tecnologiche, ma bisogna investire denaro e competenze politiche e tecniche nella riorganizzazione dell’infrastruttura energetica e, conseguentemente, della società tutta. Bisogna ribaltare la logica del profitto e della merce, puntando a riorganizzare consumi e bisogni, bisogna uscire dalla logica dei grandi impianti per accedere a un programma di autoproduzione e gestione diretta e diffusa dell’energia, bisogna democratizzare la gestione energetica in modo che escluda la speculazione dei monopoli e non sia merce di scambio utile ai nostri governi soltanto per barattare un ruolo un po’ meno marginale nella situazione geopolitica attuale.
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