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Confermate in cassazione le condanne per i responsabili della morte di Mastrogiovanni

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Nuove condanne al processo per la morte del maestro elementare Francesco Mastrogiovanni, morto dopo 80 ore di contenzione nell’ospedale psichiatrico di Vallo della Lucania dopo un ricovero per TSO. La vicenda risale al 2009.

Ieri, il Procuratore Generale della Corte di Cassazione aveva chiesto l’annullamento della sentenza di condanna per sequestro di persona e omicido colposo senza rinvio per gli infermieri coinvolti, mentre per i medici la richiesta era stata di conferma per il reato di falso in atto pubblico e di annullamento con rinvio per l’accusa di sequestro di persona. 24 ore dopo la decisione del Presidente ha rigettato il ricorso e rideterminato la pena di Rocco Barone e Raffaele Basso ad un anno e tre mesi; di Amerigo Mazza e Anna Angela Ruberto a 10 mesi. Rigettato il ricorso di Michele Di Genio, per cui è stata dichiarata irrevocabile la condanna per concorso di reato e sequestro di persona, annullando invece quella per falsità ideologica in concorso, con rinvio per nuovo esame alla Corte d’Appello. Rigettato il ricorso e confermata la pena (senza rinvio) anche di Michele Della Pepa.

Altre 2 sentenze (morte come conseguenza di altro reato e concorso) vedono invece il reato estinto per prescrizione. Per quanto concerne gli infermieri, invece, sono arrivate nuove condanne: 4 di loro condannati a 4 mesi. Sei altri a 7 mesi di reclusione.

In primo grado furono condannati i medici per sequestro di persona, morte come conseguenza di altro delitto (il sequestro stesso) e falso in atto pubblico e assolti invece tutti gli infermieri. La sentenza d’appello aveva ridotto le pene per i medici ma aveva condannato anche gli infermieri.

Una storia che ricordiamo bene quella di Francesco Mastrogiovanni, ricoverato in seguito a un TSO il 31 luglio 2009 e morto per edema polmonare nella notte del 4 agosto nel Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura dell’Ospedale “San Luca” di Vallo della Lucania, dopo un’interrotta contenzione di 80 ore. Legato al letto come un animale, senza nutrimento e col divieto di ricevere visite persino dai familiari. Una vicenda che, aldilà delle decisioni fumose di una giustizia in cui non crediamo e che si dimostra in ogni caso sbilanciata, ricorda che il TSO è nient’altro che tortura: un “ricovero medico” che uccide con frequenza angosciante (ricordiamo recentemente il caso di Torino). Con dolore e con rabbia, da anni, tanti e tante lo contestano, ne chiedono l’abolizione o la riforma, senza attendere oltre che altri e altre entrino contro la loro volontà in un reparto psichiatrico, vivi, per poi uscirne da morti.

 

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