
Frankenstein, quel mostro nato dalle ombre oscure della guerra
Come scrive Franco Moretti, nel mostro creato da Mary Shelley in Frankenstein “si riunificano e si portano in vita le membra di coloro – i «poveri» – che la dissoluzione dei rapporti feudali ha costretto al brigantaggio, alla miseria, alla morte” (F. Moretti, Dialettica della paura in “Calibano”, 2, Il nuovo e il sempreuguale. Sulle forme letterarie di massa, Savelli, Roma, 1978, p. 79).
di Guy van Stratten, da Codice Rosso
Al mostro viene negato un nome e una individualità, esattamente come al proletariato: esso non ha nome, è “il mostro-di-Frankenstein” come “l’operaio-Fiat” (cfr. ibid.). Frankenstein, come anche Dracula – osserva Moretti – sono “mostri totalizzanti”, sorti nella nuova dimensione del sistema capitalistico: di fronte ad essi, ad esempio, il gigantesco fantasma del Castle of Otranto, confinato in un castello, “fa la figura di un nano” (ibid.). Di fronte ad essi, che seminano devastazione in tutto il mondo, i mostri dell’epoca precapitalistica svaniscono e diventano quasi innocui e inoffensivi.
La libera rilettura cinematografica del capolavoro di Mary Shelley realizzata recentemente da Guillermo del Toro con il suo Frankenstein (2025), uscito sulla piattaforma Netflix (peccato perché avrebbe reso molto bene al cinema), ci offre una declinazione particolare della nascita del mostro: quest’ultimo non viene per la maggior parte assemblato da cadaveri di emarginati e sottoproletari, o di proletari falcidiati dalla miseria, ma da corpi di soldati morti in guerra. Lo scienziato si reca sui campi di battaglia dove giacciono cadaveri orrendamente smembrati dalla macchina bellica: corpi e cavalli devastati, esseri umani maciullati dalla esiziale follia degli stati irreggimentati dal nuovo sistema capitalistico. I servitori di quegli stati, i soldati andati a combattere o per forza o per un improvvido e inconsapevole amor di patria, si ritrovano ridotti a membra informi in orrende campagne trasformate in cimiteri sanguinanti. È qui che si reca Frankenstein a cercare i ‘pezzi’ per la sua creatura; se in un primo momento egli voleva rinunciare a utilizzare le membra dei soldati uccisi – troppo malridotte, pensava, per una creatura ben ‘costruita’ – alla fine si lascerà convincere a servirsi proprio delle vittime delle guerre del capitale. D’altra parte, lo scienziato, come nel romanzo, è frequentatore anche di forche e di prigioni e appare intento ad esaminare i corpi di coloro che si trovano ai margini della società dei benpensanti che le guerre le preparano da lontano, al riparo delle loro belle e ricche case. Qualsiasi paria e vittima della società, qualsiasi emarginato è allora un potenziale ‘materiale’ per la realizzazione della ‘creatura’.
Quest’ultima nasce dalle ombre più oscure della guerra ma la sua stessa nascita è rivestita di connotazioni fantastiche e fiabesche. Frankenstein è una sorta di demiurgo quasi dotato di magici poteri: asserragliato nel suo macabro castello solitario mette in funzione il suo marchingegno che per dare la vita al mostro deve servirsi della potenza di un fulmine, come il dottor Frederick Frankenstein di Frankenstein Junior (1974) di Mel Brooks o, ancora, come il giovane Emmett Brown “Doc” degli anni Cinquanta in Ritorno al futuro (Back to the Future, 1985) di Robert Zemeckis, che proprio di un fulmine si servirà per rimandare nel futuro il giovane Marty. Nonostante i suoi lati più macabri e orrendi, il Frankenstein ‘appena nato’ del film di del Toro è una creatura fiabesca. Possiamo ricordare che anche un’altra creatura fiabesca ideata dal regista messicano, il Fauno de Il labirinto del fauno (El laberinto del fauno, 2006), compare in un terribile e crudele contesto bellico, quello della guerra civile spagnola. Per non parlare poi dei giganteschi robot, gli Jaeger, costruiti per fronteggiare la minaccia aliena in una sanguinosa guerra raccontata in un altro film di del Toro, Pacific Rim (2013). Anch’essi sono creature nate dalle ombre oscure della guerra, create da un avanzatissimo capitalismo bellico in una società distopica del futuro.
Si è detto che il mostro appena nato, inconsapevole e pronto ad essere educato dal suo creatore, è un essere buono e innocente, capace di innamorarsi della grazia e della bontà della futura moglie del fratello di Frankestein. Ma invece di ricevere cure egli viene incatenato in una putrida segreta; il padre demiurgo, invece di allevarlo ed educarlo, cerca di eliminarlo con il fuoco perché non riesce a parlare, ripetendo unicamente solo la parola “Victor”, nome del suo creatore. La sua incapacità di esprimersi tramite il linguaggio è quindi un buon motivo, per il folle scienziato, per allontanarlo dalla cognata e dal fratello, e per eliminarlo. Frankenstein non agisce in modo molto diverso, allora, rispetto agli stati colonizzatori che uccidono i ‘selvaggi’ delle nuove terre conquistate perché non si esprimono tramite la loro lingua. La sua natura è buona e gentile: sono gli uomini ad averlo reso crudele perché di fronte al suo aspetto reagiscono sempre con violenza. Anche nel romanzo di Shelley il mostro desidera soltanto avere cittadinanza fra gli uomini, desidera essere accettato ed integrato: “Ero buono e generoso;” – leggiamo nel libro – “la miseria mi rese malvagio. Fammi felice e sarò di nuovo virtuoso” (M. Shelley, Frankenstein, Dent, London, 1973, p. 101). La sua crudeltà è soltanto lo specchio della crudeltà del mondo, è la reliquia del dolore di tutte le guerre, è la vittima maciullata sul campo di battaglia che si è risvegliata e ne conosce l’orrore, è l’emarginato che regala al mondo benpensante l’orrore che quello stesso mondo gli ha rovesciato addosso.
La ‘creatura’, infatti, cerca di insinuarsi nell’universo intimo e privato di quel mondo, prende di mira la famiglia e gli interni domestici dei quali vorrebbe fare parte e dai quali è inesorabilmente escluso. Cerca il suo creatore perché questo faccia giustizia, dandogli una compagna uguale a lui, una creatura che ‘nasca’ come lui da un esperimento scientifico. Nello stesso modo il Nosferatu di Robert Eggers (2024) cerca di penetrare negli interni domestici di una borghesia mercantile intenta a celebrare la borghesissima e ipercapitalista festa di Natale. E non si deve dimenticare che anche il Dracula del romanzo di Stoker cerca di entrare nella sfera intima e privata, nonché benestante, della vita del borghese Jonathan Harker e di confondersi nella Londra vittoriana cuore pulsante dell’imperialismo militare e mercantile. Soltanto negli spazi estremi e marginali del Polo Nord, lontano dai luoghi sottoposti alla ripetitività crudele dell’esistenza borghese, lo scienziato riuscirà a rendersi conto di aver sbagliato nella sua ‘gestione’ della creatura e si riappacificherà con essa. Soltanto in fin di vita e nello spazio “eterotopico” di una nave bloccata fra i ghiacci (in sequenze che molto devono alla pittura romantica di Caspar David Friedrich) Frankestein riuscirà a comprendere il ‘diverso’ che ha creato e gli chiederà perdono; soltanto qui, lontano dai languidi e sicuri interni borghesi, negli alloggi di una ciurma dispersa in territori ostili dominati ancora dalla natura, la rabbia della creatura si placherà.
D’altronde, come gli androidi di Blade Runner (1983) di Ridley Scott (esseri creati per la guerra e per il lavoro da una potente corporation del futuro, la Tyrell), il mostro-di-Frankenstein non può fare altro che dare la caccia al proprio creatore per vendicarsi di essere stato messo al mondo, un mondo di cui già conosce l’orrore perché è nato proprio dalle ombre oscure della guerra. Ma quest’ultima è la ‘normalissima’ quotidianità che ci ha condotto alla situazione attuale: la guerra è la linfa biologica della contemporaneità basata sul consumo e sulla produzione, sulla ricchezza e sulla povertà, su un orrore che è diventato normalità. Gli esclusi, i mostri sono le vittime delle disuguaglianze sociali e delle guerre, i maciullati, i senza casa e patria, gli ultimi, i migranti, le donne e i bambini morti e feriti sotto le bombe a Gaza. Intanto, gli scienziati e i borghesi, i capi di stato e i capi delle corporation, nelle loro ville eleganti e nei loro doppiopetti blu, intrisi di arroganza e impunità, continuano a perpetrare questo orrore che, in un macabro specchio, prima o poi gli si rivolterà contro.
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