La domenica è del pallone – Il cineforum della bizona
Spazio Antagonista Newroz (Pisa) e Associazione Aut Aut presentano:
LA DOMENICA E’ DEL PALLONE – IL CINEFORUM DELLA BIZONA
Tre appuntamenti imperdibili – il 5, il 19 e il 26 febbraio – presso lo Spazio Antagonista Newroz, via Garibaldi 72, Pisa
DOMENICA 5 FEBBRAIO: OFFSIDE di Jafar Panahi
DOMENICA 19 FEBBRAIO: PAULINEN PLATZ SAINT PAULI
DOMENICA 26 FEBBRAIO: IL MIO AMICO ERIC di Ken Loach
OFFSIDE di Jafar Panahi – Iran, 2005. Una folla di tifosi si riversa allo stadio per assistere alla partita di qualificazione dei mondiali. Tra questi anche alcune ragazze, vestite con abiti maschili per mimetizzarsi tra la folla ed entrare allo stadio, il cui accesso è vietato alle donne iraniane. Ma la vigilanza è stretta e alcune di loro vengono arrestate.
È possibile fare una commedia che abbia per protagoniste un gruppetto di ragazze iraniane? A primo acchito la risposta sembrerebbe essere negativa, non solo a causa della violenza con cui sono state messe a tacere le ultime rivolte politiche in Iran, portate avanti principalmente dai giovani, tra cui molte donne, ma anche perché ormai, nell’immaginario collettivo occidentale, pensare alla donna araba significa associarvi l’icona di una creatura sottomessa, nel corpo così come nello spirito, a una cultura ancora fortemente patriarcale. L’Iran di oggi non sembra un luogo adatto ad ambientarvi una commedia né la donna araba appare personaggio che possa farci sorridere; tutt’al più, da occidentali fortunati e fortunate, possiamo provare pietà più o meno sincera nei loro confronti.
Per questo motivo l’ultimo film di Jafar Panahi spiazza letteralmente lo spettatore. Il regista iraniano, infatti, non solo ricorre alla commedia per raccontare l’Iran contemporaneo, ma concentra la sua attenzione su di un gruppetto di ragazze niente affatto sottomesse. Le giovani donne protagoniste di Offside, infatti, pur nella diversità dei loro caratteri, sono coraggiose e tenaci, accomunate dalla grande passione per il calcio (un gioco da uomini, e non solo in Iran) e dal desiderio di vedere, come tutti gli altri tifosi, la partita di qualificazione ai mondiali. Per raggiungere il loro scopo, non esitano a celare le loro forme in larghi camicioni e buffi cappelli, non esitano a rischiare i controlli, spesso con la complicità di altri tifosi. Che sia il bagarino che accetta di vendere il biglietto a una delle cinque protagoniste, o un signore anziano con cui un’altra riesce a superare i primi controlli, o due ragazzi che, pur accorgendosi di una donna nel pullman dei tifosi, accettano di non fare la spia; anche gli uomini, soprattutto giovani, sembrano consapevoli dell’assurdità delle leggi a cui sono sottoposte le donne iraniane.
Questo è uno degli elementi più significativi in Offside, perché la complicità maschile nei confronti di queste cinque ragazze è simbolo di una generazione nuova, che inizia a trovare inspiegabili certe regole e a desiderare che possano cambiare. Una generazione che ha fatto un passo in avanti rispetto a quella a cui appartengono i poliziotti che hanno in custodia le ragazze lungo tutta la durata della partita: questi, infatti, pur non approvando il comportamento di queste donne, al tempo stesso non sanno giustificare perché sia male che una donna vada allo stadio e sieda accanto ad un altro uomo. Quando uno dei poliziotti tenta di trovare una giustificazione (le donne iraniane non possono andare allo stadio perché sentirebbero il turpiloquio dei tifosi maschi) è impossibile trattenere il riso, così come un effetto decisamente comico hanno tutti i disperati tentativi di questi poveri tutori dell’ordine nel cercare di mantenere le ragazze chiuse nella monade della tradizione.
Ad essere decisamente contro le ragazze sono gli anziani, qui rappresentati dal padre di una delle tifose imboscate, che con violenza vorrebbe punire quello che per lui è un oltraggio. Il vecchio padre, con la sua intransigenza, è simbolo del vecchio Iran; l’Iran delle leggi assurde e ridicole che sopravvive solo attraverso la forza e che prima o poi dovrà morire. Perché non si possono mettere a tacere i fermenti del cambiamento.
Oltre a questa contrapposizione dialettica tra tre diverse generazioni, a ricoprire un ruolo fortemente simbolico in Offside è anche quella tra spazi: lo spazio apparentemente aperto del campo di calcio (in realtà mai inquadrato e, soprattutto, reso chiuso da regole senza senso), rispetto agli spazi ristretti (la piccola zona recintata, l’autobus) in cui sono costrette le cinque protagoniste.
In realtà, il vero spazio aperto non è il prato verde dove corrono i giocatori, ma il quadrato di cemento dove le ragazze tentano di carpire brandelli di partita e dove, innanzi agli occhi dei soldati, la nuova generazione iraniana inneggia non solo alla sua squadra, ma anche e soprattutto al suo futuro. Con Offside, Jafar Panahi è dunque andato oltre il desiderio di parlare della condizione femminile iraniana (limitare il film a questo significherebbe, infatti, non coglierne tutto il significato) e ha sfidato gli stessi spettatori occidentali ad andare oltre i luoghi comuni sul suo paese. Attraverso il linguaggio della commedia, infatti, il regista mostra un intero paese che sta cambiando e mostra un regime vergognosamente ridicolo, che può bloccare con la forza la giovane generazione iraniana ma non può fermarne il grido di speranza.
Curiosità: Il film ha vinto l’Orso d’Argento al Festival del Cinema di Berlino del 2006. Malgrado ciò, ne è stata proibita la diffusione in Iran, come per gli altri film del regista. Arrestato in occasione dei moti di protesta contro il regime iraniano, Panahi è stato condannato a sei anni di reclusione, gli è stato proibito di scrivere e produrre film, viaggiare e lasciare il paese per vent’anni. In suo favore si è mobilitata tutta la comunità artistica e intellettuale internazionale. Offside, uscito in tutto il resto del mondo tra il 2006 e il 2007, arriva infine nei cinema italiani con cinque anni di ritardo. (recensione tratta da Hideout)
PAULINEN PLATZ SAINT PAULI – E’ il primo film sulla storia di un club di calcio, il St.Pauli di Amburgo, in Bundesliga2 (equivalente della seconda divisione italiana di calcio) a partire dalla prossima stagione. Il film è stato realizzato in collaborazione da ShooTv — shootv.com – e da SportEconomy — sporteconomy.it.
L’idea-guida del film è quella di raccontare un modello nuovo di fare e gestire il mondo del calcio.
E’ un film documentario su un club che, caso unico al mondo, è gestito al 100% da rappresentanti della tifoseria. Il St. Pauli fa utili ogni anno e quest’anno, in concomitanza con le celebrazioni per i primi 100 anni di vita, è riuscito a rientrare in prima divisione (al termine di questo campionato è stato retrocesso in Bundesliga2).
Nel docu-film, diviso in due parti, vengono analizzati gli elementi chiave che fanno del St.Pauli un modello unico nel suo genere: la tifoseria è strettamente collegata alla vita del club, vi partecipa attivamente ed è totalmente coinvolta in tutti i progetti. Il management societario stesso è diretta espressione della tifoseria e ogni anno registra il “sold out” completo dello stadio (che verrà ristrutturato completamente nei prossimi due anni). Il Millerntor Stadium è anche il solo impianto al mondo dove vengono allestiti “sky box” (aree destinate agli ospiti degli sponsor) sulla parte superiore della curva dei tifosi, senza che avvengano casi di disordini o di ordine pubblico nel corso della stagione. Per non parlare della “tana dei pirati”, una struttura costruita interamente dai tifosi, che oggi sta diventando un modo di fare marketing non convenzionale da parte degli sponsor stessi.
“La particolarità di questo club” spiega Geo Ceccarelli, regista e direttore creativo di Shootv.com, “è l’aver saputo coniugare elementi di marketing con il rispetto della tradizione e della storia del club. Il St.Pauli genera ricavi reinvestiti nella vita del club, ma senza vendere l’anima al diavolo ed è diventato un caso unico al mondo di marketing calcistico unconventional. Non è un caso, infatti, che il simbolo ufficiale del club ormai sia stato di fatto soppiantato dal più popolare Jolly Roger (il tradizionale simbolo dei pirati). Anche quest’ultimo esempio conferma la bravura dei tifosi e del management della società tedesca in termini di comunicazione: il Jolly Roger è strettamente collegato anche alle radici storiche di Amburgo, città anseatica e quindi covo di pirati per decenni”.
“E’ una co-produzione unica nel suo genere”, afferma Marcel Vulpis, direttore dell’agenzia Sporteconomy e “co-autore” del progetto. “E’ il primo prodotto cinematografico realizzato nella storia del calcio su un club di piccole/medie dimensioni, ma con una grande storia e futuro. Sarà un benchmark importante che mostreremo in Germania e Italia, per far capire che è possibile un altro mondo del calcio e la case history proiettata oggi a Roma lo dimostra chiaramente”.
Per tutti questi motivi, il St Pauli è per 5 milioni di tifosi nel mondo una squadra culto, un simbolo e la sua fama va oltre le vittorie della squadra di calcio. (recensione tratta da senzasoste)
IL MIO AMICO ERIC di Ken Loach – Un impiegato delle Poste britanniche vede la sua vita andare sempre peggio. Ha lasciato da trent’anni Lily, suo unico e vero amore.
Ora vive con i due figliastri lasciatigli da una donna che non c’è e con uno dei quali ha un pessimo rapporto. Eric, che cerca di non ricordare il passato, ha un solo rifugio in cui cercare un po’ di consolazione: il tifo per il Manchester e la venerazione per quello che nel passato è stato il suo più grande campione, Eric Cantona. Ora però Eric ha un nuovo e per lui non secondario problema: la figlia che aveva abbandonato ancora in fasce, ma che non ha mai avuto un cattivo rapporto con lui, gli chiede il favore di occuparsi per un’ora al giorno della bambina che ha avuto, in modo da poter completare in pochi mesi gli studi. Sarà però necessario che Eric si faccia consegnare la neonata da Lily che non ha voluto piu’ incontrare dal lontano passato.
Qualcuno giunge in suo soccorso in modo inatteso e concretamente irreale: il suo idolo: Eric Cantona. Il problema da affrontare non sarà però purtroppo solo questo. Ken Loach ha realizzato il film della sua assoluta maturità. Sinora ci aveva regalato delle opere che restano nella storia del cinema tout court e in quella dell’impegno a favore dei meno favoriti nelle nostre società. Lo stile era rigoroso, partecipe, con qualche inserto comico ma con una dominante drammatica. In questa occasione riesce a realizzare una perfetta osmosi tra la commedia e il dramma.
Arriva anche a fare di più gestendo l’apparizione onirica della star Cantona in un equilibrio perfetto tra ironia, astrazione e (perchè no?) commozione. Eric Cantona è una leggenda per il calcio internazionale e per i tifosi del Manchester in particolare. Loach è un appassionato di calcio (straordinaria la replica alla domanda ‘impegnata’ di una collega in conferenza stampa: “Non vado alle partite per fare dei trattati antropologici ma per vedere la mia squadra vincere”) e riesce a rileggere, grazie ancora una volta a una sceneggiatura più che mai calibrata di Paul Laverty, il mito calcistico facendolo interagire con le problematiche del piccolo Eric impiegato alle Poste.
Ne nasce una storia d’amore, un film sulla possibile positività dei miti nonchè (ed era l’impresa più difficile di questi tempi) su una solidarietà ancora possibile. Solo lui e pochissimi altri possono riuscire a regalarci una commedia/dramma con happy end in cui realtà e immaginazione si alleano escludendo la retorica. (recensione tratta da mymovies)
LE PROIEZIONI AVRANNO INIZIO ALLE 19@Spazio Antagonista Newroz, Pisa
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