Londra, assolti i poliziotti che uccisero Mark Duggan
L’omicidio del ventinovenne fu la miccia che fece esplodere i riots dell’estate 2011, che da Tottenham – il quartiere dove Duggan venne ucciso – si allargarono poi al resto delle periferie della city e ad altre città inglesi.
Il verdetto pronunciato ieri arriva a conclusione del processo iniziato lo scorso settembre con l’obiettivo di giudicare se il comportamento del poliziotto che sparò a Duggan sia stato legittimo o meno. Il 4 settembre del 2011 Duggan venne infatti fermato da una pattuglia mentre si trovava a bordo di un’auto a Tottenham, a nord della capitale, e fu colpito a morte da un proiettile che lo raggiunse al petto; successivamente gli agenti dichiararono che al momento del fermo il ragazzo impugnava una pistola e di aver quindi sparato per legittima difesa ma l’arma in questione fu ritrovata a distanza di alcuni metri dal corpo di Duggan, facendo subito sorgere il dubbio che la polizia l’avesse piazzata lì ad arte per giustificare l’omicidio.
In seguito l’agente che aprì il fuoco cambiò più volte versione dei fatti, mentre contro il ragazzo ucciso si scatenò il solito accanimento mediatico che lo accusò di essere uno spacciatore o di far parte di una gang, come se questo potesse in qualche modo giustificare la sua uccisione.
Paradossalmente, nel verdetto emesso ieri la Royal Court of Justice ha ammesso che al momento della morte Duggan non avesse con sé nessun tipo di arma ma ha riconosciuto come legittimo il comportamento del poliziotto assassino. Al momento della lettura della sentenza all’interno dell’aula è esplosa la rabbia dei familiari e degli amici del ragazzo, che hanno gridato ‘La vita di un nero non vale niente’.
Sir Bernard Hogan-Howe – capo della polizia londinese – in seguito alla sentenza ha chiesto di incontrare i familiari di Duggan, i quali hanno però rifiutato fermamente affermando di voler continuare la propria battaglia per la verità, affinché la morte del giovane venga riconosciuta per quel che è: un omicidio vero e proprio che a distanza di più di due anni non può trovare giustizia in un verdetto infame come quello pronunciato ieri che ancora una volta mette gli assassini in divisa al riparo da ogni conseguenza.
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