Sulle condizioni di detenzione nel carcere di Piacenza. Lettera del Brescia
Pubblichiamo questa lunga lettera speditaci da Giorgio ‘Brescia’ (detenuto dallo scorso 16 febbraio per la manifestazione antifascista contro l’apertura di una sede di Casapound) in cui racconta e denuncia le condizioni all’interno del carcere di Piacenza e gli abusi e i ricatti nei confronti dei detenuti.
Giovedì 12/04/2018, carcere di Piacenza
Sono entrato in carcere il 16 febbraio, subito sono stato accolto dalle guardie in maniera poco gradevole, chi fischiettava canzoni fasciste e chi tentava di provocarmi con sfottò, mentre da parte dei detenuti ho ricevuto molta solidarietà, cosa che ho tentato di ricambiare quando dopo il presidio del 25 marzo buona parte dei detenuti hanno chiesto il mio aiuto per risolvere dei “problemi collettivi”, per cui mi sono subito attivato per un incontro con la direttrice per risolvere e analizzare i problemi dei detenuti.
Dopo circa 5 giorni sono stato convocato a colloquio con un ispettore che mi ha esplicitamente chiesto di evitare qualunque forma di sindacalismo e collettività all’interno del carcere, pena isolamento e denuncia di istigazione alla rivolta, in quanto all’interno del carcere non vi è possibilità alcuna di farsi portavoce per i problemi che affliggono i detenuti, ma bensì ogni individuo può portare i propri problemi in maniera individuale, in maniera da facilitare qualunque tipo di rigetto sulle lamentele ed evitare l’unione solidale dei detenuti nel riguardo dei problemi altrui o collettivi.
Questo può metterci in difficoltà nel creare un tentativo di rottura o miglioramento della detenzione carceraria di tutti, ma non ci scoraggia. Facendo un giro per le celle del braccio dove sono ho avuto modo di riscontrare problemi legati alla struttura e malumori vari dei detenuti, molti dei quali non sono ancora condannati ma bensì come me e Lorenzo sono in carcere in attesa di processo. La situazione e l’umore dei detenuti non sono dei più rosei, c’è chi non ha contatti coi parenti, chi non può stare coi figli durante i colloqui e chi per richiesta al carcere di trasferimento subisce torture psicologiche quale l’isolamento (su questo punto tornerò poi in seguito), c’è a chi non sapendo leggere in italiano vengono fatte firmare carte dove, dopo essersi fatti male, rinunciano a visite mediche accurate o dichiarano di star bene.
Tutt* noi sappiamo bene che le carceri sono state create con l’intento di reprimere e oscurare i problemi della società in cui viviamo, chi finisce qui dentro è per la maggior parte gente disperata, che pur di sopravvivere si dà allo spaccio o ai furti per poter mantenere se stessi e la propria famiglia in momenti duri, soprattutto in questo lungo periodo dove molt* hanno perso il lavoro per una crisi economica. Come non comprendere quindi chi ha fatto qualunque cosa per dar da mangiare ai propri figli, in una società dove nessuno li aiuta, dove molti oltre ad aver perso il lavoro hanno perso la casa e sono stati costretti ad occuparne una per non lasciare moglie e figli in mezzo ad una strada. Poi c’è chi, corrotto da uno stile di vita dettato dal capitalismo e dal consumismo vuole a tutti i costi arricchirsi, non riuscendo a capire cosa sia giusto o sbagliato, ma la colpa di tutto ciò va sempre cercata nella società che ci prospettano dall’alto.
Tornando ora ai problemi dei carcerati e tralasciando le motivazioni che qui li conducono, vorrei parlare di un caso che ha coinvolto un ragazzo di origine marocchina, dopo avermi raccontato di una sua richiesta di trasferimento. Questo ragazzo aveva richiesto il trasferimento in un altro carcere per stare più vicino ai parenti, per tutta risposta il carcere lo ha mandato in isolamento e dopo 4 mesi all’ennesima richiesta degli agenti sul fatto di voler essere trasferito o voler tornare in sezione ha mollato e ha deciso di tornare in sezione. Questo comportamento da parte dei membri della polizia penitenziaria è inaccettabile, dovrebbe essere un diritto di ogni detenuto richiedere il trasferimento in altre strutture carcerarie per essere più vicini ai parenti, ma forse per chi dirige il carcere è più importante mantenere i propri detenuti per fini di lucro, in tal caso si aggiunge la denuncia a misure cautelari più blande, quali domiciliari o presentazioni giornaliere (obbligo di firma) che il più delle volte vengono negate, in maniera da mantenere la popolazione detenuta sempre in un numero elevato per avere più introiti nelle tasche di chi dirige le carceri in questo paese.
La voglia di tornare a casa per molti è tutto, riabbracciare le mogli i figli/e o solo di rivedere la libertà è ciò che tutti qui dentro vogliono, ma la paura di molti è l’incertezza di una vita fuori da qui, il fatto di non avere un lavoro, il fatto che la stessa struttura e sistema carcerario non offra alcun aiuto a integrarsi una volta usciti, in quanto per potersi iscrivere alle iniziative proposte dal carcere, formazioni professionali o lezioni di scuola superiore, bisogna per forza avere una condanna definitiva, per cui chi viene privato della libertà e si ritrova qui dentro per molto tempo una volta fuori non ha alcun aiuto, non ha lavoro né casa, l’unica soluzione quindi per il 90% delle persone è tornare a delinquere.
Per tutto ciò ritengo ingiusta come misura cautelare la detenzione in carcere, in quanto non risolve alcun problema ma bensì lo amplifica. Concludo dicendo che mi auguro al più presto di tornare in libertà a percorrere le strade e i sentieri di montagna assieme a tutte e tutti voi!
Saluti resistenti dal Brescia!
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