Un parere su “La casa di carta”
Nessuno si offenda. Non faccio recensioni artistiche, televisive o cinematografiche che siano; le lascio fare a chi sa. Io non so. Quello che però so è che guardare la “Casa di carta” (o Casa de Papel) mi è piaciuto; mi ha divertito.
Insomma, ho davvero apprezzato questo lavoro: la serie tv non americana ad essere stata più vista, a quanto pare. Ambientata e prodotta in Spagna, la serie uscita l’anno scorso è sbarcata in Italia quest’anno, fino ad arrivare alle ultime puntate proprio in questi giorni; e sta molto facendo parlare di sé. Sui social, anche sulle bacheche di tant* compagn*. Anche sulla mia.
La storia, come ormai quasi tutti sanno, narra del tentativo di rapina più importante di sempre; ad orchestrarla un geniale uomo, nipote di partigiano e figlio di rapinatore, che decide di assoldare una squadra di persone “senza speranza”: ricercati latitanti, rapinatori di professione, falsari, ex combattenti. Una batteria mista all’interno della quale le storie dei singoli protagonisti si intrecceranno alla perfezione nel nome del “piano” formulato dal “professore” – che diventerà forse il personaggio principale della vicenda. Anni e anni di preparazione nei minimi dettagli; tutto calcolato in ogni (o quasi) sua variabile; calcoli e previsioni che saranno la risorsa ma anche lo schema vincolante imprescindibile per questa banda di rapinatori e le loro scelte.
Questo piano prevede due assunti fondamentali: che non si rubi nulla a nessuno; che l’opinione pubblica debba parteggiare, alla fine, per i rapinatori e che quindi le strategie sarebbero state tarate proprio su questa necessità. Il progetto è quindi quello di “occupare” la Zecca di Stato spagnola e guadagnare tempo, attraverso il sequestro di ostaggi, per potere stampare più banconote possibili senza, appunto, rubare nulla a nessuno e provando a non fare morti.
Se dovessimo valutare la serie per quello che è, un prodotto televisivo di consumo, potremmo qui ragionare sulla presenza o meno di contraddizioni narrative, sulla qualità della recitazione, sul taglio delle puntate o sulla costruzione psicologica dei personaggi. Ma come dicevo prima non è questo su cui mi vien bene esprimermi: non sono un esperto; anche se devo ammettere che in termini di “consumo” il suddetto prodotto è piacevole, adrenalinico, immaginifico. Chi non sogna o si illumina alla sola idea di rubare migliaia di milioni di euro dopo avere tenuto per giorni in scacco polizia, servizi segreti e governi?
Ma se, in qualche modo, tanti compagni si sono sentiti in dovere di esprimersi su questa serie è per una ragione molto banale: difficile esimersi dalla critica nei confronti di un prodotto così ampiamente visto e che mette insieme rapinatori, forze di polizia, critica alla Bce e al capitalismo e canti di gruppo sulle note di Bella ciao! Comunque lo si voglia giudicare.
Io l’ho detto subito: mi è piaciuta molto. Nonostante nel suo svolgimento vada man mano perdendo un po’ di realismo (ma non mi è mai piaciuto pretendere realismo in queste storie); nonostante lasci alla fine troppo spazio alle questioni “di cuore” e a sentimentalismi che finiscono per prendersi la scena; nonostante tutti i “nonostante” letti in questi giorni, lo confermo: mi è piaciuta.
Anche soltanto per la frase cult della serie che, credo, dica molto più di tanti begli articoli scritti in questi anni contro le politiche finanziarie della Bce; credo sia più efficace: perché – potremmo dire – “pop”. “Ti hanno insegnato a distinguere il bene dal male, ma se quello che facciamo noi lo fanno anche altri ti sembra giusto? Nel 2011 la Banca Centrale Europea ha creato dal nulla 171mila milioni di euro. Proprio come stiamo facendo noi, però alla grande. 185mila nel 2012, 145mila milioni di euro nel 2013. Sai dove sono finiti tutti quei soldi? Alle banche. Direttamente dalla zecca ai più ricchi. Qualcuno ha detto che la BCE è una ladra? Iniezione di liquidità, l’hanno chiamata. E l’hanno tirata fuori dal nulla Raquel, dal nulla.” Questo il messaggio che questi banditi vogliono lanciare al mondo; e su cui costruiranno il proprio consenso sociale.
Qualcuno, in qualche recensione, lo ha definito un messaggio “populista”. Ne ho letto varie di opinioni e critiche; questa, lo dicevo, non lo è. E’ più un invito, quasi adolescenziale, a mettere una volta da parte la nostra ossessiva ricerca del “pelo nell’uovo”; della critica ideologica a tutto e tutti; della purezza del messaggio politico. Perchè “La Casa di carta” non è un saggio né un manifesto politico: è un prodotto televisivo; che, secondo me, male non “ci” fa. Anzi.
Perchè ci sono storie di proletari che si “riappropriano” direttamente della ricchezza e con essa delle loro vite, fin lì, di merda. Perchè la – ormai consueta – rottura della dicotomia bene/male non si da nell’ottica nichilista di chi è impossibilitato all’identificazione coi personaggi (tipica dei vari Gomorra) ma in quella di una scelta di parte sovvertita. Perchè molti, dopo averla vista, saranno affascinati da questi criminali ribelli e nessuno da polizia e servizi segreti. Perchè la critica non è genericamente rivolta al “sistema” (Fight club) o ai poteri dispotici e autoritari (V per vendetta) ma direttamente alle politiche di questi anni della Bce (il quantitative easing) e delle banche; e dei ricchi, ipocriti e potenti.
E il Piano che vuole smascherarle – queste politiche – mi pare onestamente efficace! Senza glorificare troppo quello che comunque resta un prodotto televisivo di consumo, confermo l’ammirazione per la riuscita che mi porta al consiglio: guardatevela! Anche solo per farvene un’idea. E se, proprio alla fine del racconto, sentendo Helsinki gridare “Professssoreeee!”, un brivido leggero vi percorrerà la schiena, significherà che in quella strana banda un poco vi ci siete rivisti anche voi. E la Resistenza potrebbe prendersi le sue rivincite.
Amsik
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