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Zero Calcare, dai fumetti non si guarisce

«Anche il mio primo libro, “La profezia dell’armadillo” (giunta alla quinta edizione e acquistabile solo on lie) era fatto a storielle». Allora, chiedo, questa è la tua prima volta graphic novel? «Boh, a me fa un po’ ridere chiamarla così, mi sembra un modo per spostare un fumetto dalle fumetterie alla librerie per farlo comprare da gente un po’ più intellettuale». Centonovanta pagine di storia divisa in tre tempi. «Per me è stato un po’ un esperimento, è giallo, sostanzialmente è quello, ma con elementi buffi, la storia in parte è autobiografica, inizia nell’infanzia, le faccio fare due salti, uno nell’adolescenza, l’altro nella mia età attuale». Zero Calcare, all’anagrafe Michele Rech, ha 28 anni, tecnicamente è un “giovane adulto”. Dunque contesto autobiografico e intreccio inventato, il tutto per i tipi della Bao Publishing, Milano, nel cui catalogo il nostro Zero si gode la vicinanza con Alan Moore, Carlos Meglia e mostri sacri che non vi sto a dire. «E’ la casa editrice che pubblica i fumetti che vorrei leggere».

Tutto comincia sulla scena romana punk, una quindicina di anni fa. Punk ossia centri sociali, luoghi ospitali allora per le controculture giovanili. Zero-Michele ha 13 anni e resta folgorato dal primo concerto della sua vita. In quello che era stato il Mattatoio di Testaccio suonavano i Senzasicura. Avesse saputo suonare, Calcare calcava le scene come loro. Invece sapeva già disegnare e ha preso a realizzare poster, volantini, locandine e fanzine per i centri sociali e per le punk band. Fino a poter comporre le vignette in una storia e sono venute fuori cose come il fumetto per Renato Biagetti, “La politica non c’entra” (autoprodotto dal centro sociale Acrobax) e, prima ancora le storie su Genova 2001 meta di fumettisti come Christian Mirra (ospite della Diaz, suo malgrado) e Alessio Spataro che proprio a Zero Calcare ruberà la faccia per uno dei protagonisti del nostro (suo e del cronista) “Zona del silenzio” (Minimum fax) dedicato a Federico Aldrovandi.

“Un polpo alla gola” – domando – sembra una virata rispetto a quelle storie: mica sarà un segno di riflusso nel privato? « Tranquillo, non c’è alcuna cesura col mio passato e nemmeno riflusso. Anche dalle cose personali emerge quella è proprio la mia famiglia, la galassia dei centri sociali». Infatti sul tavolo da lavoro c’è la bozza di un poster che sta realizzando per il decennale dell’occupazione del vecchio Cinodromo di Ponte Marconi. «Il passaggio a storie più intime è stata una necessità per raccontare la morte di una mia amica. L’ho detto prima, non so scrivere canzoni, ho fatto un fumetto. Quella storia è piaciuta a Makkox che allora pubblicava Canemucco. Di fatto, è lui che mi ha ospitato, che ha autoprodotto il primo libro, c’ha messo i soldi e anche la faccia. E’ lui ad avermi materialmente aperto il blog. Un ruolo a metà tra il Maestro Jedi e la badante».

Adesso l’autore vive in uno spazio ibrido, tra la carta e la rete, popolato di animali da cartone animato. «Ho consumato un botto di roba “pop” – ammette – tv, manga, Marvel, Sturmtruppen. Lupo Alberto. Ho consumato di tutto e ora risputo fuori, copiavo i paperino, la prima ispirazione venne daTank Girl ma ora ho un segno più personale».

Prima del blog, Michele ha pubblicato anche per la Dc comics, nella divisione web: cosa succede in rete, si sta affermando l’idea che i fumetti possano essere fruibili anche così? «Non succede ancora per una stortura mentale. C’è chi disegna gratis per un editore che fa i soldi con i tuoi disegni ma si rifiuta di mettere le tavole sul web. Invece dovrebbe essere il contrario, i libri li vendo grazie al traino del blog». Stai dicendo che ci campi coi fumetti? «Negli ultimi sei mesi effettivamente c’ho pagato l’affitto ma non si sa se durerà, per ora continuo a fare il traduttore e le ripetizioni. E a pubblicare una striscia a settimana su Internazionale: Neet Kidz, due neet (Not in Education, Employment or Training, ragazzi che non studiano né lavorano) che rifuggono il lavoro almeno quanto il lavoro rifugge loro». Storielle, insomma.

da PopOff

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