Comunicato degli studenti e studentesse romane a seguito del corteo per Ramy
Riceviamo e pubblichiamo il comunicato degli studenti e delle studentesse che a Roma sono scese in piazza per Ramy, originariamente pubblicato dal collettivo Zaum in risposta alle dichiarazioni di media e politici.
Siamo l3 student3 che sono sces3 in piazza in questi giorni per Ramy a Roma, additat3 come pericolos3 estremist3 dalla stampa e dalla questura, che non hanno altro interesse che strumentalizzare noi e la morte di un ragazzo.
Oggi abbiamo sotto gli occhi l’ennesimo episodio di violenza, in questo caso omicidio, da parte delle forze dell’ordine verso un nostro coetaneo, colpevole di non essersi fermato ad un posto di controllo e quindi condannato a morire schiacciato tra una gazzella dei carabinieri e un palo stradale.
Il nostro paese ha un problema con il ruolo della polizia: gli omicidi commessi dallo Stato per mezzo delle forze dell’ordine non vengono mai riconosciuti come tali né affrontati.
La storia è sempre la stessa: prima vi è la strenua difesa dell’arma, poi il processo alla vita della vittima e di sottofondo il tentativo di insabbiare o far finire nel dimenticatoio la questione. In Italia, chi viene uccisə dalla polizia ha sempre due colpe: la prima è quella di essere mortə e la seconda era quella di essere in vita.
Ed infatti per loro Carlo Giuliani è stato ucciso perché violento, per questo meritava un proiettile in testa. Cucchi un tossico, ed aveva la bocca larga. Russo era un rapinatore napoletano e veniva da una famiglia di poco di buono. Anche Ramy era un rapinatore, per di più egiziano e di Corvetto. Queste storie nelle loro differenze ci danno uno spaccato chiaro: la legge non è uguale per tutt3 e la verità e la giustizia non sono garantite. Gli esiti processuali di chi aveva un comitato e/o una famiglia disposte a dare battaglia allo stato intero e alla magistratura sono molto diversi da chi questo “privilegio” non lo possedeva.
La storia recente di questo paese ci racconta questo: carabinieri e polizia sono sempre inattaccabili, da destra a sinistra, ma senza un attacco alle istituzioni (nelle aule dei tribunali, nelle piazze o negli spazi di presa di parola pubblica) non c’è certezza di ottenere giustizia.
Mentre le forze dell’ordine sono legittimate da questo sistema a commettere soprusi, come al g8 del 2001 alla Diaz o quotidianamente nelle carceri e nei cpr, sembra impossibile per entrambe le parti politiche non esprimere solidarietà all’arma in qualsiasi occasione, a prescindere.
E così, in un paese in cui, per altro, non esiste la pena di morte, quando un ragazzo di 19 anni viene giustiziato su due piedi durante un inseguimento da un carabiniere, quest’ultimo è l’imputato con presunzione di innocenza sul quale servono anni di processi e indagini prima di poter insinuare che sia colpevole, mentre chi protesta per l’accaduto è dopo poche ore dichiaratə da giornali e questure unə violentə, unə terrorista rossə, unə estremista.
Sabato sera a San Lorenzo, quartiere attraversato quotidianamente dall3 giovani e sempre più militarizzato, c’è stato un corteo spontaneo che ha sentito di essere troppo arrabbiato per aspettare anni di processi che difficilmente racconteranno la verità di quella giornata.
La narrazione securitaria omette che l3 manifestant3 volevano raggiungere la stazione dei Carabinieri per denunciare pubblicamente la loro responsabilità.
Ci accusano di strumentalizzare la morte di Ramy. Strumentalizzazione per noi è quella che i giornalisti, i partiti e la questura hanno fatto su questa giornata. Per un mese la stampa processa la vita di Ramy provando a colpevolizzarlo e a minare la credibilità di amici e familiari che denunciavano l’accaduto. Ma una volta usciti i video entrano in un silenzio vergognoso e imbarazzato, proprio lo stesso di chi non sa a cosa appellarsi. E allora, nel momento in cui si presenta la possibilità di distogliere l’attenzione dalle proprie responsabilità, un corteo di student3 e qualche torcia diventano “devastazione e saccheggio”. Video montati ad hoc e articoli faziosi provano a raccontare un corteo di ordinaria amministrazione come una “tumultuosa rivolta”, per giustificare cariche da parte delle forze dell’ordine su gente disarmata.
Questa strumentalizzazione ha obiettivi su vari livelli: spaccare il fronte della protesta; coprire la protervia dei giornali e della loro falsa informazione; dare l’occasione alla prefettura romana di imbastire il prossimo blocco di denunce a chi esprime il dissenso.
Ma soprattutto, a livello nazionale, questa narrazione è volta a legittimare i decreti liberticidi come il ddl 1660, il decreto Caivano e l’istituzione delle zone rosse.
Così, un corteo qualunque viene volontariamente narrato come violento e riottoso per giustificare l’accelerazione che il governo tenta in questi giorni nell’approvazione del ddl 1660.
Solo con questa chiave di lettura riusciamo a spiegarci la necessità dei ministri Nordio e Crosetto di esprimersi su un corteo che altrimenti avrebbero certamente ignorato.
È irrealistico aspettarsi che il modo in cui questo stato opprime chi ci vive non corrisponda mai a una reazione. Uno stato che sta progressivamente smantellando il welfare, privatizzando istruzione e sanità, ignorando i diritti di donne e libere soggettività, che contribuisce sistematicamente all’emergenza abitativa e che nelle periferie come Corvetto schiaccia e marginalizza quell3 che considera cittadin3 di serie B, uno stato che promuove un razzismo sistemico oltre a permettere i soprusi delle forze dell’ordine. Questa, e la somma di innumerevoli altri fattori, è ciò che ha mosso questo corteo, che ha come unica colpa la testimonianza della rabbia di uno strato della società che ha come quotidianità la continua marginalizzazione, razzializzazione e militarizzazione dei propri quartieri.
Rabbia che, spontaneamente, è emersa sabato sera. Non è stata dettata dall’alto da qualche fantomicaticə organizzatorə, è invece naturale conseguenza di una situazione ormai insostenibile.
Cercare di attribuire responsabilità politiche e penali ad uno specifico gruppo è irrealistico, fazioso e strumentale. Sopravvaluta appositamente l3 organizzatric3 “imputat3” e allo stesso tempo impoverisce e infantilizza la totalità di chi era in piazza quel giorno. Significa cercare come sempre soluzioni semplici a problemi complessi. Significa usare un gruppo di giovani che si organizza come specchietto per le allodole per ignorare qualcosa di molto più grande: una popolazione sempre più esasperata dalle politiche di questo governo e dei precedenti. È l’ennesimo tentativo di banalizzare un sentimento popolare e al contempo colpire e reprimere student3, militant3 e attivist3, colpevolizzandol3 di aver incitato una rabbia che non è altro che il prodotto dell’agito di questa classe politica.
Alla luce di tutto ciò, diviene chiaro cosa si intendesse con “vendetta per Ramy” scritto sullo striscione di testa. Se questa è la vostra sicurezza, se questo vuol dire vivere come giovani in città, non vi sorprendete se all’ennesimo ragazzo ucciso dalla polizia ci saranno i suoi coetanei a chiedere giustizia per le strade. E se qualcunə vorrà farlo in maniera più decisa e rabbiosa, dopo anni di violenze della polizia nelle piazze, nelle periferie, nelle università e nelle carceri, sarà perché ha visto un video di un ragazzo di 19 anni ucciso da chi dovrebbe garantire la nostra “sicurezza”, che poi tenta anche di cancellare ogni prova e insabbiare la vicenda, in un triste tentativo di nascondere la realtà dei fatti, che è sotto gli occhi di tutt3. Non saranno i politici di destra o di sinistra che potranno garantire verità e giustizia per l’ennesimo morto di stato. Ramy sarà per noi vendicato da quell3 giovani sces3 in piazza in tutt’Italia per mettere in luce le contraddizioni del nostro Paese, a ribellarsi alle politiche repressive proponendo modelli alternativi e politiche sociali costruite dal basso.
Giustizia per Ramy vuol dire riscattare la vita nei quartieri.
Giustizia per Ramy vuol dire costruire un’alternativa.
Giustizia per Ramy vuol dire non permettere che non ci sia più silenzio per le morti per mano della polizia.
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