L’agitazione permanente continua: due giorni di mobilitazione a Roma
Giovedì pomeriggio, aula consiliare del primo municipio. All’interno si tiene il convegno organizzato dalla Lega “Famiglia e natalità. Quali politiche per affrontare il drammatico invecchiamento della nostra città”, con il senatore Pillon come ospite d’onore, circondato dai vari esponenti pro-life, quasi tutti uomini. Fuori, donne e giovani della città si sono riunite, grazie al passaparola partito da Non Una di Meno dei giorni precedenti, per contestare l’ospite sgradito, mentre le forze dell’ordine impediscono l’accesso alla sala.
Alla fine una delegazione riesce a entrare impedendo a Pillon, a forza di cori, di continuare a sproloquiare sulla “famiglia tradizionale italiana che deve opporsi all’invasione migrante”. Mentre cercano di prendere parola, un uomo si scaglia contro una delle contestatrici e la spintona strappandole dalle mani uno striscione con su scritto “giù le mani dalle donne”. Altri urlano insulti sessisti e razzisti verso le donne presenti. Nulla di cui sorprenderci da parte di uomini che tentano di riportarci a decenni fa, imponendo un modello di famiglia autoritaria e violenta e facendo fare enormi passi indietro ai diritti delle donne. Oltre a rovinargli la festa ogni volta che se ne presenta l’occasione, c’è ancora però la necessità di fare un ulteriore salto nella battaglia in atto, superando il mero scontro retorico tra fazioni contrapposte che spesso finisce per favorire la controparte.
Altro tipo di piazza quella della mattina seguente, venerdì primo febbraio, dove ci si è mobilitate sempre per il diritto di scelta della donna, ma nel campo della salute. Sotto una pioggerellina invadente, davanti la Regione Lazio si è tenuto il presidio per il rilancio e il finanziamento dei consultori. A Roma (e non solo) la situazione è da anni insostenibile: sempre più depotenziati, i consultori diventano spesso dei gusci vuoti dedicati alla sola attività vaccinale e in casi fortunati a quella ostetrica, quando non vengono del tutto chiusi per riaccorpamenti territoriali. La legge n.34/96 prevede lo standard minimo un consultorio familiare ogni 20mila abitanti (10mila per le zone rurali e semi-urbane) ma a Roma ve ne sono 46 (uno ogni 62mila abitanti) secondo gli ultimi dati risalenti ormai a due anni fa, arrivando ad oggi a un numero probabilmente inferiore ai 30 a fronte delle ultime chiusure. Il problema maggiore riguarda il blocco del turn over e quindi la mancanza cronica di personale che porta a enormi riduzioni degli orari di apertura, l’assenza di servizi di accoglienza e una sola ora mattutina di linea telefonica attiva. L’accessibilità ai servizi viene così continuamente ridotta. Mancano soprattutto psicologi e assistenti sociali a tempo pieno, figure professionali fondamentali per garantire la funzione dei consultori come presidi sociosanitari e assistenziali territoriali, invece che servizi ambulatoriali. Per non parlare poi della formazione del personale, del tutto impreparato ad accogliere le soggettività LGBTQIA+, oltre che la mancanza di mediatori linguistici e culturali in quartieri con un’utenza prevalentemente migrante.
A queste si sono unite le rivendicazioni delle studentesse e degli studenti di università e licei romani, che da settembre hanno lanciato la campagna e laboratorio permanente “A corpo libero – per una scelta libera, consapevole e sicura”. Tra gli obiettivi e le esigenze emerse, condivise con le assemblee dei consultori, vi è quella di garantire, adeguandosi agli standard europei, l’accesso gratuito alla contraccezione senza restrizioni di età, residenza, situazione reddituale (previsti invece negli ultimi atti di diverse regioni come Toscana e Piemonte) e un’educazione sessuale nelle scuole e nei luoghi di formazione, ormai del tutto assente o insufficiente e del tutto inadeguata, servizio che dovrebbe essere fornito dai consultori. Non solo perché per avere una reale possibilità di scelta bisogna avere gli strumenti, sia economici che di consapevolezza, che permettano a giovani e meno giovani di prendersi cura della propria salute. Ma anche perché prevenire costa meno che curare e con ogni euro speso in prevenzione lo stato ne risparmierebbe almeno 10.
Assurdo poi che alla Sapienza, ateneo più grande d’Europa, con un Policlinico universitario accanto, 100mila iscritti di cui oltre 30mila fuori sede e 8mila stranieri, non vi sia alcun consultorio (né ve ne sono nei quartieri limitrofi, con il consultorio di San Lorenzo ridotto ad ambulatorio per vaccini e servizi medicalizzanti). Ed anche questa è tra le rivendicazioni delle studentesse, che sottolineano come i consultori debbano essere dei luoghi di condivisione e di scambio di saperi per la salute delle donne e di tutte le soggettività, a 360 gradi.
Spinte da queste e tante altre motivazioni, le assemblee delle donne dei consultori si sono in questi mesi coordinate sempre più. Dopo aver inviato una lettera di richieste alla Regione a luglio, e non aver ricevuto alcuna risposta, il Coordinamento dell’Assemblea delle Donne del V Municipio ha lanciato il presidio per il 1 febbraio, che ha visto la partecipazione di Non Una di Meno, dei consultori del Trullo, delle Asl Roma 2, 3 e 6 e delle studentesse di licei ed università di A Corpo Libero.
Appena arrivata la notizia all’orecchio della giunta regionale, a prevalenza PD, i consiglieri e gli assessori hanno invitato le donne dei consultori a un tavolo. Tante le promesse fatte (e ripetute in piazza nei loro interventi venerdì mattina), dallo sblocco dei turnover a concorsi con posti a tempo indeterminato dedicati alla sanità professionale. Parole a cui è difficile credere con un PD già proiettato in campagna elettorale (con l’imminente possibile scioglimento della giunta nel caso Zingaretti diventasse segretario) visti anche i precedenti: un evidente finanziamento sproporzionato della regione alla sanità cattolica, mettendo in pericolo la vita delle donne privandole di una sanità libera e laica, un numero altissimo di medici obiettori di coscienza negli ospedali e il Dca 142 del 2014 emanato da Zingaretti, che ridefiniva e riordinava funzioni e attività dei consultori (con percorsi per i giovani, interventi di contrasto alle violenze di genere, salute sessuale ecc), rimasto ancora solo sulla carta dopo 5 anni.
Forte rimane quindi la determinazione delle donne in piazza, che non si fermeranno sicuramente qui ma monitoreranno attentamente gli sviluppidella situazione e sono pronte a mobilitarsi nuovamente. Perché le briciole non possono bastare, è tanto quello che ci serve, che ci hanno tolto e che ci stiamo riprendendo.
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