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Verità e giustizia per Ibrahim Manneh

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Da Napoli arriva una notizia che lascia addosso schifo rabbia e dolore. E’ morto Ibhraim Manneh, aveva 24 anni, viveva a Napoli. Era originario della Costa D’Avorio. E’ morto di peritonite, da solo, di notte, nell’ospedale Loreto Mare. E’ morto dopo essere stato lasciato solo, insieme a suo fratello e ai suoi amici. La descrizione di quanto accaduto è ben riportata dai compagni e dalle compagne di Ex Opg Occupato Je so pazzo, che conoscevano la vittima e sono intervenuti dopo aver ricevuto la telefonata dei suoi amici.

Ibhraim è morto perché è stato lasciato solo. Solo perché a nessuno importava della vita di un ragazzo nero. Perché un ragazzo nero per terra rantolante è considerato pericoloso, visto che il farmacista che ha chiamato l’ambulanza rendendosi conto della situazione non ha nemmeno aperto la porta per visitarlo. Perché un ragazzo nero per terra circondato dai suoi amici disperati avrà sicuramente bevuto, o magari sarà stato protagonista di una rissa, visto che due pattuglie dei carabinieri passate li vicino non raccolgono la richiesta di soccorso ma anzi intimano ai giovani di allontanarsi. Perché un gruppo di neri non può avere soldi, visto che il tassista a cui gli amici si rivolgono per portare Ibhraim all’ospedale, di fronte alla tragedia che si sta compiendo incredibilmente specifica il prezzo della corsa, per poi dire che non ha l’autorizzazione della polizia per portarlo al Loreto Mare: perché se sei nero, la polizia deve per forza c’entrare con te e quello che ti succede.

Se sei nero nemmeno devi sapere come sta tuo fratello, finalmente portato, dopo più di una giornata, in sala operatoria: troppo tardi però. Tuo fratello è morto: ma lui era nero, e anche tu, e allora puoi anche aspettare a sapere, a vedere il suo corpo. Devono intervenire dei compagni -bianchi – perché, dopo ore, i medici ti mostrino la salma di tuo fratello. Nessuno ti spiega nulla. E alla tua richiesta di spiegazioni, arriva la polizia, in assetto antisommossa: perché i soldi mancano per tutto, ma non per manganelli scudi e camionette. Le ambulanze non si possono muovere “per un ragazzo che vomita”, ma la polizia arriva subito quando l’ospedale la chiama perché un gruppo di neri chiede verità sulla morte dell’amico. E non c’è nulla di strano se a queste richieste seguono minacce e intimidazioni, come documentato dai compagni di Ex Opg. Del resto, è successa la stessa cosa a Roma, due mesi fa, quando all’uccisione di Niang Maguette non era seguita alcuna spiegazione: allora, con un tweet, la polizia esultava per la “buona riuscita dell’operazione contro la vendita di merce contraffatta”. Evidentemente, la morte di un uomo è considerata una conseguenza possibile. A amici e solidali che chiedevano spiegazioni, era stato risposto con le manganellate.

E’ tutto normale: sei nero. Perché al posto che tacere e abbassare la testa, la alzi e chiedi spiegazioni? Devi restare nei campi a raccogliere pomodori per due euro al giorno, a vivere nei capanni abbandonati. Devi restare nei centri di accoglienza, dove sei addirittura chiamato “ospite”, parcheggiato insieme ad altri per un tempo indefinito, in cui non puoi avanzare alcuna lamentela sennò viene sbattuto fuori. Devi pulire il culo ai nostri vecchi, senza un giorno libero, senza dormire per mesi, e ringrazia che hai il lavoro. Devi essere deportato nel tuo paese da cui hai scelto di andartene, preso ammanettato picchiato e messo su un aereo. Devi sentirti dare del tu come se fossi sempre un bambino. Devi sentire gli insulti delle persone e stare zitto, o prepararti a morire per strada mentre tutti i giornali fingono di non sapere che dietro al tuo omicidio non c’è tifo calcistico, ma razzismo e fascismo. Ma cosa ti aspetti? E’ lo stato stesso a essere razzista! E’ lo stato a legittimare discorsi razzisti, a non fare nulla contro attacchi fascisti, a coprire le violenze della polizia. E’ lo stato a aprire altre Cie, a reprimere qualsiasi forma di dissenso. Uno stato in guerra contro chi non si allinea, uno stato che odia i migranti, i giovani, chi ha idee di socialità e condivisione. Uno stato che distrugge territori, ama palazzinari e speculatori. Che ha interi palazzi vuoti e decadenti, ma lascia le persone per strada e attacca chi quei palazzi li occupa, li sistema, ridando vita a loro e alle città. Uno stato che ha lasciato morire un nostro fratello da solo. In questa guerra, noi sappiamo da che parte stare. Con Ibrahim, con tutti i fratelli e le sorelle che lottano ogni giorno per un mondo diverso.

 

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pubblicato il in Intersezionalitàdi redazioneTag correlati:

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