L’anti-antifascismo di Fusaro: la sintesi tra lo zero ed il nulla
“L’antifascismo è il nuovo fascismoooooooooo!!!”: è il succo di una triade di post (poi rabberciati, per il puro gusto di infierire, in un articolo sul Fatto) di un Diego Fusaro più incarognito che mai – e probabilmente smarritosi nella caverna di Platone, dopo averla scambiata per quella del presepe.
Perché ribadire tanto ossessivamente (e con le consuete violenze sul 90% dei prefissi esistenti nell’intera lingua italiana) che ci si trovi in totale assenza di fascismo dopo gli omicidi e gli attentati a sfondo politico e razziale, il caporalato ed i pogrom antimigranti, le commemorazioni nostalgiche avallate dalle istituzioni, l’impunità per mandanti ed esecutori delle stragi del dopoguerra (uno dei quali fino a tre anni fa di fatto teneva in pugno l’amministrazione della capitale di questo paese), il proliferare di movimenti di stampo suprematista in svariati paesi europei…? Ci si aspettavano forse le parate in camicia nera e fez davanti al Vittoriale e il discorso di Fiore dal balcone di piazza Venezia?
La verità è che, con la concorrenza di Serra, Fabio Volo e Jovanotti quest’anno è dura, dura perfino per il gran Fuffaro (che però se la bulla per il primo libro tradotto nella perfida neolingua albionica) la battaglia dell’egemonia per la frase contemporaneamente più fatta ed astrusa nelle forbite conversazioni tra una portata d’abbacchio ed una di stoccafisso. Quell’ancestrale tradizione italica per cui almeno dal 26 aprile 1945, con la stessa freschezza di un twinset omaggio di quarta mano sotto l’albero, si rievocano liturgie quali “non sono d’accordo con quello che dici ma darei la vita perché tu lo possa dire”, “i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti propriamente detti e gli antifascisti”, “tra i poliziotti ed i contestatori sto con i primi perché figli di proletari”, “centri sociali ritrovo di punkabbestia figli di papà con le canne”, “gli scontri hanno oscurato le vere motivazioni della protesta”, “è stata opera dei servizi segreti deviati”: voce grave, pausa ad effetto e disprezzo per l’interlocutore/i d’obbligo.
Il minimo comun denominatore di tale campionario di quanto di più logoro, trito, ritrito, bollito, decotto, stracotto, esausto possa esistere (ma proprio per questo rassicurante, nonostante la sua completa falsità, in un’epoca vorticosa e disattenta) spacciato per “pensiero anticonformista” e “scomodo”, è sempre quello di un sostanziale odio: verso chiunque provi nemmeno a cambiare il mondo, ma semplicemente ad agire. Alla faccia del Marx a cui tanto a sproposito si rifà il prode filosofo (?!?) torinese, tra una tartina all’olio di ricino a Casa Pound e una marchettata antiplutomondialista a Tagadà.
A’ Fusà…ma parla come mangi!!!
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