Nero uniforme
Sembrerebbero essersi subito spenti i riflettori sull’operazione «Aquila Nera», avviata dalla Procura dell’Aquila che con quattordici arresti, a fine dicembre, ha portato allo smantellamento di una presunta organizzazione terroristica di stampo neofascista denominata «Avanguardia ordinovista». Ciò che al momento appare certo è che alla guida di questa formazione eversiva figurasse tale Stefano Manni, per oltre un decennio in servizio nell’Arma dei Carabinieri.
Solo qualche mese fa, a metà settembre, era stata programmata in contemporanea a Milano e a Roma, in alcune piazze centrali, la prima uscita della cosiddetta «Fratellanza nazionale dei lupi neri».
Ambedue i presidi «nazionalpatriottici» erano stati indetti «pro forze dell’ordine ed esercito». A Roma, la manifestazione promossa senza alcuna richiesta di autorizzazione era stata sciolta dalla polizia dopo l’identificazione dei presenti. A Milano, dove si puntava a una forte visibilità, dodici erano stati invece i denunciati per apologia di fascismo dovuta a saluti romani e allo sventolamento di bandiere della Repubblica sociale. La Fratellanza, sul proprio blog, nei giorni precedenti, aveva propagandato, tra foto di pistole e mitra d’assalto, l’organizzazione di «campi legionari» svoltisi in diverse località della Lombardia. Anche in questo caso ai vertici comparivano ex carabinieri, ex poliziotti ed ex paracadutisti. Si stanno dunque moltiplicando fenomeni di questo tipo, animati da ex aderenti alle forze armate e ai corpi di polizia. Una storia più lunga di quanto si creda.
Destra nazionale story
Nel 2005 fu la volta del Dssa (il cosiddetto Dipartimento Studi Strategici Antiterrorismo) venuto alla luce inseguendo, negli ambienti dei mercenari e dei body guard, la pista che aveva portato Fabrizio Quattrocchi in Iraq, sequestrato e ucciso a Baghdad il 14 aprile del 2004.
Nato con «finalità di monitoraggio e contrasto del terrorismo» il Dssa si era rivelato in realtà una non trascurabile congrega di neofascisti, poliziotti, ed ex presunti appartenenti a Gladio, già attivo da qualche anno anche sotto la denominazione di Destra nazionale. L’organizzazione, a sentire i promotori, venne fondata al fine di far rivivere il Movimento Sociale-Destra nazionale di Giorgio Almirante, dopo il «tradimento» di Gianfranco Fini. Il sito internet fu oggetto di interrogazioni parlamentari già nel 2003 per i suoi espliciti contenuti razzisti. L’allarme nacque in seguito all’annuncio della costituzione di fantomatici «Reparti di Protezione Nazionale», con tanto di divisa (basco, camicia e giubbotti grigi, con cinturone nero), pronti a entrare in azione, in caso di pericolo, a supporto delle forze armate. Inutile dire che il pericolo veniva ravvisato nell’invasione in massa dei «nuovi barbari islamici». Ciò che però aveva suscitato maggior inquietudine era che Destra nazionale annoverasse fra i suoi massimi dirigenti ex-poliziotti e poliziotti in servizio presso importanti questure, come a Milano, dove lo stesso coordinatore nazionale risultava essere un ispettore. Al gruppo, non a caso, si affiancava anche un piccolo sindacato autodenominatosi Unione nazionale Forze di Polizia.
A onor del vero, nello stesso arcipelago neofascista, pur ricco di particolarità, eccessi e stramberie, Destra nazionale non aveva mai goduto di molto credito. Il fatto stesso di assumere come simbolo lo stemma della Cia leggermente modificato, di qualificare i propri aderenti come ex agenti segreti, con un passato da «gladiatori», in rapporti di collaborazione con la Nato e il Mossad israeliano, avevano fatto nascere più di un sospetto. Il vantare anche da parte del presidente di Dn, Gaetano Saya, l’appartenenza alla massoneria con l’altisonante titolo di «Maestro venerabile della Loggia Divulgazione 1», non aveva certamente contribuito a dissipare i dubbi.
Mitomani deliranti? Forse. Eppure risultarono veritieri l’accesso alla banca dati del Viminale, nonché alcuni rapporti con gli apparati di sicurezza, il Sismi in primo luogo, emersi nell’inchiesta giudiziaria. Qualcosa di più di un’innocua «banda di pataccari» come li definì l’allora ministro degli Interni Giuseppe Pisanu, quasi a ridimensionare l’intera faccenda. Solo qualche anno dopo, nel giugno del 2009, tornarono alla ribalta a Milano con la cosiddetta Guardia nazionale italiana, per «pattugliare il territorio» con tanto di divisa d’ordinanza: camicia grigia con cinturone e spallaccio neri, cravatta nera, pantaloni grigi con banda laterale nera, basco grigio con il simbolo dell’aquila imperiale romana. Al braccio una fascia nera con la «ruota solare» di ispirazione nazista. Tra loro il colonnello dei carabinieri in congedo Augusto Calzetta di Massa Carrara. Furono immediatamente messi in condizione di non agire su ordine della Procura della Repubblica.
Gli antesignani
Tornando a ritroso nel tempo altre vicende simili avevano ancor prima avuto l’onore della cronaca, dal Progetto Arianna, nel 2000, un’organizzazione antidroga clandestina costituita a Latina da appartenenti alle forze dell’ordine, per finire agli Elmetti bianchi, una fondazione a carattere internazionale alimentata soprattutto da ex poliziotti, spuntata a lato del caso Telekom-Serbia, animata in Italia da un neofascista assai conosciuto per i suoi trascorsi in organizzazioni eversive e nella massoneria.
Molti si saranno certamente anche dimenticati della cosiddetta Legione Brenno, nata in coincidenza con lo scoppio della guerra serbo-croata per difendere la «nuova frontiera dell’occidente minacciata», venuta alla luce solo nel 1998, seguendo le orme di un sanguinoso conflitto a fuoco con agenti di polizia tre anni prima a Marghera. La Legione Brenno, ispirata ai cavalieri di antichi ordini religioso-militari come i Templari, si scoprì presto essere stata fondata da alcuni ex carabinieri interessati al business della sicurezza e dell’assoldamento di milizie private nelle guerre in corso.
In tutti questi casi la costante risulta la medesima. A costituire queste organizzazioni sono fascisti ed ex appartenenti alle forze dell’ordine. Un dato sui cui riflettere.
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