Questo paese ha un problema con gli antifascisti nel giorno della Liberazione : cosa abbiamo visto a Firenze
A Firenze il sole picchia come se già fosse estate. Tanti ne approfittano e fanno la prima scappata fuori città, tanti altri sudano, lavorano dietro le friggitrici o servendo ai tavoli dei bar aperti per i turisti, nonostante la festività, nonostante sia oggi 25 aprile: festa della Liberazione dal nazifascismo. Altri ancora, non troppi, ma neanche pochi ci credono all’importanza della ricorrenza.
Affrontano la calura, rinunciano alla vacanza, prendono – quelli che possono – il giorno libero a lavoro. Sono giovani e giovanissimi. Quelli che le grandi narrazioni vorrebbero prede del nichilismo, dell’antipolitica, del disinteresse. Scelgono di sudare e vogliono partecipare al loro 25 aprile: sentono di resistere.
Piazza Santa Croce ospita la commemorazione istituionale. L’antifascismo è anche uno di quei miti fondativi della Repubblica che le istituzioni hanno l’obbligo di celebrare. Un rito stanco, che si ripete a Firenze come in tante altre città del paese, celebrato da dei profanatori avvinghiati alle istituzioni ma ben lontani dallo spirito della resistenza che le ha fatte nascere, forse tradendosi, forse no. “Non lo so, questo appartiene alla Storia ma è certo che Nardella è un’ipocrita” dice un giovane con un fazzoletto rosso al collo che si avvia di primo mattino verso piazza Santa Croce. “Le istituzioni che si apprestano a celebrare anche quest’anno la giornata della liberazione dal fascismo sono le stesse dei campi di concentramento in Libia e del razzismo istituzionale. Il Sindaco che parlerà ha equiparato il valore della vita di Idy Diene, ucciso qui in questa città perché senegalese neanche due mesi fa, a quello di una fioriera di via Calzaiuoli. È un insulto. È da questa classe politica che oggi dobbiamo liberarci. Non lasciamo che siano loro a parlarci di liberazione”.
C’è insomma una sinistra consonanza tra il fascismo che fu e questa classe politica che per proteggere se stessa attacca le libertà collettive e individuali, ignora il rispetto per la vita umana e per chi suda, aggredisce ogni forma di dissenso. I parallelismi storici non calzano mai e risultano retorici, ma proviamo lo stesso a chiedere:
“Settant’anni fa Nardella cosa avrebbe fatto? Da che parte l’avremmo trovato?”
“E’ un pavido, probabilmente si sarebbe nascosto per sottrarsi alle proprie responsabilità, avrebbe guardato per aria per non dispiacere le autorità del regime al tracollo ma ancora in sella e sarebbe poi salito senza macchie particolari sul carro dei vincitori che scendevano dalle montagne armi alla mano. Il problema è che ora un Nardella governa Firenze e quelli come lui sono al parlamento. No, i partigiani non si meritano Nardella, non si meritano il partito democratico e queste istituzioni”.
Assieme a questo giovane col fazzoletto rosso al collo ne troviamo altre decine e decine. Alcuni vanno ancora alle scuole superiori. Una settimana fa partecipavano a un corteo di contestazione alla truffa dell’alternanza scuola lavoro. In un centinaio avevano raggiunto la sede di confcommercio per chiedere che i soldi che le aziende percepiscono dai progetti di alternanza senza offrire alcuna formazione venissero redistribuiti alle scuole e agli studenti che faticano a mantenersi… a proposito di reddito di cittadinanza. Davanti al portone di Confcommercio “è stato uno dei miei primi cortei. Immaginate di camminare per strada e vedete degli uomini corpulenti, spesso avanti con l’età, vestiti come chiunque altro – insomma, quasi come chiunque altro, quelle scarpe in effetti le mettono solo loro – venirvi addosso e prendervi a cazzotti. Ma cazzotti, veri, sodi. Realizzi che si tratta di un poliziotto perché dopo senti pure le sirene della carica, ma quelli in divisa vengono dopo. E perché? Perché eravamo lì a dire che a scuola non si studia e che i soldi che dovrebbero andare a noi finiscono nelle tasche delle aziende. Il letame? Sì è vero abbiamo lasciato un po’ di merda davanti al mc Donald che è il principale beneficiario del contratto con il ministero per il progetto di alternanza. Ma mi sembra il minimo restituirgliene un po’ dopo tutta quella che ci fanno ingoiare”.
La polizia è ovviamente parte del problema. Lavora perché nulla cambi se dall’alto si decide che nulla cambi, e questo non succede perché fondamentalmente queste istituzioni conservano se stesse: “straparlano di democrazia ma la usano non con le persone ma contro le persone. È dalle istituzioni “democratiche” che viene garantito spazio e legittimità ai fascisti, anche solo per il calcolo del proprio tornaconto politico: è stato questo il tentativo vigliacco di un’intera classe politica di scaricare sui migranti le responsabilità dei propri disastri, di anni di governo spesi per rafforzare i privilegi dei ricchi programmando l’impoverimento della maggioranza di questo paese. Quando parlano gli esponenti delle istituzioni democratiche lo fanno sempre dietro gli scudi della polizia ma sono pur sempre dei “democratici” e quindi degli intoccabili”. È la tutela di questo privilegio confuso con la legittimità istituzionale che scatena le questure contro qualsiasi forma di dissenso dietro la copertura della politica e a copertura della politica. Interi uffici di funzionari di polizia lavorano incessantemente per schedare gli “antifascisti” di questo paese, altrimenti detti, “antagonisti”, oppure “violenti”. Parole da giornalisti che si fanno spazio nel vocabolario per distinguere ciò che è ufficialmente accettato e quello che non lo è. Parole, ma la sostanza dei fatti è che in questo paese c’è una sistematica persecuzione del dissenso politico.
I ministri approntano pacchetti sicurezza, Minniti rispolvera i fogli di via contro chi si organizza per lottare. Misure medievali? No inventate durante il ventennio, mai cancellate a tutt’ora a disposizione dei nuovi uomini forti al comando. Alla vigilia del 25 aprile tre fogli di via sono stati comminati dalla questura di Modena a tre antifascisti che pochi mesi fa avevano contestato una parata nazista subendo dure cariche da parte della polizia. Una provocazione, verrebbe da dire, ma è quasi la regola. Dopo l’attentato di Macerata a febbraio un’ondata di manifestazioni antifasciste ha investito in tutto il paese ogni momento pubblico di propaganda da parte delle formazioni neofasciste. Una necessaria opposizione in una campagna elettorale che si ha quasi sempre dovuto sfidare la passività delle forze democratiche e del loro gioco finto volteriano che con la nenia del “non sono d’accordo con quello che dici ma darei la mia vita per farti esprimere la tua opinione” hanno di fatto accordato piena agibilità a ogni razzista e a vecchi e nuovi nostalgici del ventennio. Un giovane antifascista, Giorgio, un cuoco, è da più di due mesi recluso nel carcere di Piacenza per essersi opposto assieme a migliaia di persone all’apertura di una sede di Casa Pound. Un suo compagno, Lorenzo, porta pizze a Bologna, è stato scarcerato solo ieri e messo agli arresti domiciliari mentre Moustafa, operaio della logistica, si trova nella stessa condizione. A Torino, sempre per un corteo di opposizione a Casa Pound, un altro ragazzo, Nicolò, si trova al carcere delle Vallette. L’arresto è arrivato dopo un’ondata di perquisizioni all’alba nelle case di giovani militanti. A Valeria, una studentessa torinese, sono stati sequestrati migliaia di adesivi “qui abita un antifascista”, uno sticker in risposta alla provocazione squadrista che a Pavia ha visto segnalate dai fascisti locali le abitazioni di diversi militanti antifascisti. Giovani colpevoli di rivendicare di essere antifascisti… con degli adesivi…
Gli oltre cinquanta ragazzi e ragazze che si muovono verso piazza Santa Croce pensano che tutto questo non sia normale e non esprima alcuna forma di giustizia. Sono gli antifascisti oggi: giovani, lavoratori, , decisi a contare di più. All’imbocco della piazza trovano uno schieramento di polizia. Neanche la vedono la piazza. “Via da qui, vi spezziamo le ossa” urla il dirigente di polizia fiorentina Lucio Pifferi, un habitué delle piazze, in servizio durante il G8 di Genova, presente alla Diaz come dirigente della digos di Padova. Un gruppo di agenti in borghese attacca gli antifascisti che si avvicinano alla piazza strappandoli ai propri compagni. Uno viene gettato in terra con una presa al collo. Subito quattro fermi. Un operaio, un edicolante, una receptionist, un artigiano dottorando universitario. Parte la carica. Gli altri cinquanta vengono respinti indietro. Agli antifascisti viene impedito di parlare nel giorno che commemora la Liberazione.
In piazza nel frattempo arriva anche Renzi. Ospite a sorpresa. Pubblica sui social network una foto dalla piazza, per metà vuota. Formula il suo pensierino: “niente polemiche, festa della libertà, della liberazione…” una confusione disarmante. “Non ce ne siamo ancora liberati, anche per questo siamo qui”, dice qualcuno tra gli antifascisti che dopo qualche minuto ripartono in corteo. Diventano più di cento. Altri arrivano, erano rimasti chiusi dall’altro lato della via, erano andati direttamente in piazza Santa Croce e non si erano potuti unire ai propri compagni. In Borgo Albizi, mentre le cerimonie ufficiali si spostavano in piazza Signoria, il corteino viene imbottigliato dalla polizia e fermato per almeno un’ora e mezzo: cordoni dietro e davanti. La polizia tiene in ostaggio i manifestanti: “Volete che non ci muoviamo, state tranquilli, siamo ben fermi nelle nostre idee e sono quelle che ci confermano che oggi c’è ancora bisogno di resistenza, per liberarci di quelli come voi”. Il corteo riparte e sfila per il centro. Tanti pugni chiusi accompagnano i cori degli antifascisti. Uno spunta da una finestra aperta di una cucina. Un cuoco di una trentina d’anni festeggia il suo 25 aprile dietro ai fornelli. A lavoro.
Più tardi sotto la questura di Firenze una nuova carica sugli antifascisti che avevano raggiunto gli uffici per chiedere il rilascio dei fermi, poi tramutati in arresto con processo fissato domattina per direttissima con l’accusa di resistenza, lesioni e oltraggio. “Volevamo prendere parola perché siamo quelli che più hanno bisogno di una nuova liberazione da questi nuovi fascisti: autoritari, protetti dalla polizia, usurpatori di una memoria partigiana. Il nostro 25 aprile non finisce oggi”. Domani alle 9.30 un appuntamento di sostegno agli arrestati si ritroverà sotto il tribunale di Firenze.
Vogliamo la libertà per Luca, Aida, Simone, Franco e tutti e tutte gli antifascisti e le antifasciste in arresto.
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