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8 tesi sulle catastrofi “naturali”

Il seguente testo è frutto di un lavoro collettivo svolto in Cile, a seguito delle catastrofi naturali occorse nel 2014 nella regione, quando questo è rimasto colpito dal terremoto nei territori del Grande Nord e a seguito dell’incendio della città di Valparaiso.

Oggi a seguito del terremoto che ha colpito il centro dell’Italia, seminando morte e distruzione, è interessante cogliere alcuni dei ragionamenti nel testo proposto, astraendoli dal calendario e dalla geografia in cui sono stati scritti, e che possono servire da strumento per problematizzare le conseguenze e gli elementi comuni a tali avvenimenti catastrofici ovunque questi si manifestino.

Partendo dai momenti emergenziali subito successivi all’evento, fino alla futura ricostruzione, con i relativi profitti che ne conseguiranno, passando per lo sciacallagio perpetrato dai media mainstream e dal ferreo controllo della vita degli sfollati, trattati dalle istituzioni come persone incapaci di tornare a condurre un esistenza autonoma al di fuori delle soluzioni ufficiali proposte.

Questo testo cerca di tracciare una linea di demarcazione chiara, che permetta di identificare chi paga veramente le conseguenze di tali eventi e chi invece li utilizzerà come ulteriore possibilità di profitto.

Potete scaricare le tesi in PDF o leggerle direttamente sul sito.

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1. GLI ULTIMI FATTI ACCADUTI NON SONO CATASTROFI NATURALI 

Nonostante i mezzi di comunicazione e il governo continuino a ripeterlo, le conseguenze del terremoto nel Grande Nord e l’incendio di Valparaiso non sono avvenute per motivazioni “naturali”, ma sono state causate dalla configurazione data dal capitalismo ai luoghi colpiti. Sappiamo che i terremoti e gli tsunami sono eventi che hanno modellato la geografia terrestre per milioni di anni. E che per migliaia di anni, i differenti popoli originari hanno vissuto in questo territorio con la consapevolezza della sua mutabilità perenne. Essi infatti consideravano i terremoti e i maremoti come una caratteristica inseparabile dalle altre attività terrestri, essendo integrate nella cultura personale dei suoi abitanti, che hanno sempre saputo adattarsi leggendo e interpretando i segnali della terra.
Senza dubbio, il fatto culturale (non naturale) che le case nel nord siano costruite male e crollino con il tremare della terra o che la gente viva abbarbicata sopra le colline di Valparaiso, in zone propense all’incendio, non è il prodotto di ragioni “naturali”, ma è in stretta relazione con la forma specifica con cui si struttura la nostra società: quello che chiamiamo economia e sistema politico. L’esempio più lampante per rendere comprensibili queste affermazioni è quando si produce un terremoto, una valanga o un altro fatto violento in una parte del pianeta che non è abitata
da esseri umani: lì nessuno parla di “catastrofe”.
È solo nel caso in cui delle persone siano coinvolte in un evento simile che si parla di catastrofe, e le persone non vivono per aria, vivono in un determinato modello di società, e quindi il sarà il modello secondo cui si struttura questa società a determinare le conseguenze nel caso in cui si verifichi un incendio, un terremoto o un maremoto. Un esempio banale può essere dato confrontando la magnitudo di differenti terremoti: un terremoto di grado 7° come quello di Haiti nel 2010 può causare centinaia di migliaia di morti nel paese più povero di tutta l’America Latina, mentre in Cile una scossa della stessa magnitudo probabilmente non causerebbe né tanti danni né tante vittime quante ad Haiti. I milioni di morti in Cina dovuti alle inondazioni causati dalle crescite naturali e poi dalle colossali opere statali di modifica dei grandi affluenti del fiume Giallo durante il corso del secolo XX sono un esempio ancora più brutale. Le attuali società, quelle che si sviluppano sotto l’ottica della soddisfazione della produzione di merci piuttosto che dei bisogni umani reali, sono probabilmente le più fragili di tutta la storia.
Non siamo mai stati così alla mercé di una tragedia costante: la fame e le mancanze di circa un terzo dell’umanità, le malattie oramai curabili che continuano ad uccidere milioni di persone (come la diarrea) e la violenza prodotta dalla miseria subita dagli sfruttati della cintura equatoriale e delle zone periferiche di tutte le megalopoli del mondo. Il capitalismo riproduce la propria popolazione umana in maniera vertiginosa, facendola crescere fino a livelli mai visti nella storia, e così, piccoli cambi nei sistemi climatici, o ancora di più gli eventi straordinari come terremoti o tifoni, provocheranno sempre maggiori quantità di vittime in maniera diretta per l’evento in sé , e in maniera indiretta per il collasso dei fragili sistemi di supporto alla vita della maggior parte della popolazione del pianeta. Ogni volta il proletariato mondiale è sempre più indifeso e impreparato di fronte ad una natura che è brutalmente allontanata dalla sua realtà. E a causa di questo, la sua capacità di sopravvivere a un evento imprevisto, o di svilupparsi come un’entità autonoma fuori dai fragili circuiti delle merci delle società contemporanee diminuisce.
Riguardo gli incendi peri-urbani o rurali, la probabilità che si verifichino durante un anno arido è sempre alta, senza dubbio , durante le ultime decadi questo fenomeno si è accresciuto a causa dell’avanzamento delle monoculture agricole e forestali che degradano i suoli e influiscono sui climi locali, prosciugando le fonti d’acqua e favorendo le condizioni fisiche e chimiche affinchè le piantagioni industriali, riempite di alberi affastellati e senza margini tagliafuoco adeguati , ardano fuori controllo. Alla stessa maniera, la maggior parte delle periferie urbane del centro sud del Chile, sarebbe a dire la gente più povera di ogni città o villaggio, è vicina diretta di questi alberi-cloni di proprietà delle famiglie Angelini (Forestal Arauco) e Matte (Forestal Mininco-CMPC) e quindi è costantemente esposta al pericolo di incendio. Dal fiume Mataquito fino a Valdivia le piantagioni affogano i territori. L’incendio di Quillòn nel gennaio del 2012 causò la morte di 2 persone, più di mille feriti, la distruzione di più di 224 case, e l’incendio di più di 28mila ettari di bosco nativo, piantagioni, pascoli e macchia fino a comprendere l’area di Paneles dove si trovano le piante da cellulosa, stella di Angelini (Nueva Aldea) che è stata distrutta.

Quello che intendiamo dire è che quello che è stato veramente catastrofico non è la dimensione e la magnitudo del terremoto a Iquique o la voracità del fuoco in Valparaiso, il fatto veramente catastrofico è vivere in una società che permette che migliaia di persone vivano abbandonate alla propria sorte di fronte a questo genere di fatti. La catastrofe non è mai “naturale”, la catastrofe è sempre sociale.

2. È INEVITABILE CONDURRE UN’ANALISI DI CLASSE 

Visto che è chiaro non si tratti di catastrofi “naturali”, ma sociali, è facile notare come le conseguenze di questi disastri si ripercuotano nella maniera in cui una società è strutturata. Nel nostro caso, viviamo in società di tipo capitalistico dove convivono differenti classi sociali, e il “ livello catastrofico” di questi eventi è differente per ogni gruppo sociale. I poveri sono senza dubbio quelli che soffrono con maggior intensità questo tipo di fatti, mentre i mega-impresari possono trovarvi una incredibile opportunità di profitto (ricordiamo la gift-card con possibilità di acquisto nelle mega-imprese di Retail o le prelazioni riservate alle imprese immobiliari sui nuovi terreni disponibili adesso liberi da poveri grazie al terremoto).
Siamo a conoscenza di ristoranti di lusso che nel Nord hanno continuato a funzionare dopo il terremoto, nonostante la mancanza di acqua in alcuni quartieri periferici. Sappiamo
che nel quartiere studentesco
di Concepcion sono stati risolti i problemi dovuti all’inondazione nello stesso 2010 mentre in altri luoghi, come a Dichato ( dove si trovava l’accampamento più grande del Cile post-terremoto), hanno dovuto fare blocchi stradali e scontrarsi con gli sbirri per farsi ascoltare.

Un altro esempio del fatto che le catastrofi siano prodotte socialmente, può emergere dall’analisi della frequenza di uragani nei Caraibi e nel Golfo del Messico. Nel 2005, il gigantesco uragano Katrina colpì la costa del sud degli Stati Uniti causando gravissimi danni, inondazioni e svariate migliaia di morti, soprattutto nei quartieri più poveri e vulnerabili in località come New Orleans o nel Missisipi. L’esercito più addestrato e moderno del pianeta non ha voluto – e probabilmente neanche avrebbe potuto- riscattare i propri compatrioti che sono morti affogati, di fame o per mancanza di cure mediche. Le autorità della seconda amministrazione Bush diedero mostra di un’incompetenza esemplare durante l’emergenza. Successivamente, i ricchi profitti sulla ricostruzione favorirono la nuova pianificazione capitalistica della città, escludendo ai margini latini e neri (le principali vittime)in ghetti più nascosti. Senza dubbio, c’è una differenza sostanziale con un altro Stato capitalista della stessa regione la cui configurazione politico-sociale è molto differente. A Cuba, per esempio, l’economia pianificata e i piani d’emergenza e ricostruzione furono sempre meglio preparati che nella società estremamente “commercializzata” di New Orleans.
Non vogliamo portare avanti un’apologia del regime cubano, però riconosciamo che le iniziative di pianificazione funzionarono in maniera più efficiente di quelle del suo vicino del nord, dimostrando una volta ancora che le conseguenze delle catastrofi sono sempre in relazione diretta con il modello politico dominante in un territorio.

Che un fatto sia o no catastrofico dipende dalla tua classe sociale e dal tuo livello di potere e influenza, questa è una realtà che torna a dimostrarci che non siamo di fronte a catastrofi “naturali”, ma sociali.

3. I MILITARI NON SONO PRESENTI PER AIUTARE LA POPOLAZIONE: ESISTONO PER PROTEGGERE LA NORMALITÀ CAPITALISTA

In molte e molti già abbiamo avuto la possibilità di renderci conto a cosa servano i militari notando su cosa si basano la maggior parte dei presupposti dello Stato: armi per uccidere, corsi di guerra e strategie di sorveglianza e controllo etc. E’ ovvio che l’istituzione militare non esiste per aiutare, ma principalmente per uccidere e governare, e infatti è evidentemente strutturata e preparata per questo. Senza dubbio non resta che sbarazzarsi di questa convinzione, nutrita da molti, secondo cui i militari potrebbero “essere utili” in altre situazioni, soprattutto nelle così dette catastrofi “naturali”. Il fatto concreto che dimostra che questo è falso è accaduto dopo il mega-terremoto che abbiamo vissuto nel centro-sud della regione cilena nel 2012. Dopo l’evento, centinaia di persone nella zona rimasero senza elettricità, acqua, combustibili e alimenti, mentre altre migliaia rimanevano senza casa. Alcuni morirono sotto le macerie o inghiottiti dallo tsunami. Fin dall’inizio i militari non si mobilitarono ad aiutare nessuno, e neanche a distribuire una bottiglietta d’acqua. L’uscita dei militari nel 2010 non fu per dare l’aiuto necessario alla popolazione civile, ma per proteggere le mega strutture Retail dal saccheggio. Fu solo quando migliaia si sbilanciarono a espropriare alimenti e altre merci alla borghesia commerciale, che i militari scesero per le strade con l’obbiettivo principale di proteggere la proprietà privata , non per “aiutare” la gente. Il fatto che gli aiuti e la solidarietà per l’incendio di Valparaiso vengano portati avanti principalmente da civili appartenenti alle comunità rafforza il fatto che i militari non esistono per proteggere la gente, ma per proteggere la normalità capitalista, la libera circolazione di persone e merci, e senza dubbio per proteggere la sacralità della proprietà privata della borghesia, minacciata con maggior enfasi in questi contesti di catastrofe.

Se i militari sono in grado di allestire un ospedale da campo a Iquique, è esclusivamente perché hanno il monopolio di esecuzione di questo tipo di azioni, chi mai altrimenti avrebbe le capacità per farlo? Inoltre questi ospedali da campo non sono stati comprati per aiutare la gente, ma soprattutto per essere utilizzati in guerra, se non fosse così non li avrebbero i militari. Metterli a “disposizione” della gente in questi contesti gli serve come esercizio di addestramento militare e per aumentare la loro legittimità come istituzione “civile”.

Le catastrofi sono inoltre una grande opportunità per permettere ai militari di realizzare i loro giochi di guerra: occupare città, sparare a gente indifesa (una delle loro attività principali quando entrano “in combattimento” durante una guerra reale), muovere materiale, fare approvvigionamento, spostare navi verso le baie del nord, ecc, così come hanno sempre fatto. Dopo il terremoto che distrusse Valparaiso nel 1906, un marinaio, di nome Gomez Carreño si dedicò a fucilare i saccheggiatori, e oggi c’è un quartiere in questa stessa città che porta il suo nome. Quasi cento anni dopo, la mattina del 10 marzo del 2012, Daniel David Riquelme Rui, di 45 anni, fu ritrovato morto nel campo da calcio vicino al villaggio El Triangulo de Halpen (nell’ottava regione del Bio-Bio). Secondo l’autopsia del Servizio Medico Legale, l’uomo fu colpito brutalmente e le lesioni erano compatibili con gli scarponi e il calcio delle armi che portavano i cinque cadetti di Marina detenuti grazie alla diligenza della PDI.
Di esempi come questi ce ne sono molti e probabilmente andranno dimenticati.

In più un altro fatto poco conosciuto è che le forze armate si dimenticano molto rapidamente dello stesso popolo che hanno giurato di difendere, e che nella pratica si trasformano molto facilmente nel suo nemico quando la situazione lo necessita. “Durante lo tsunami del 27 febbraio, la Marina a Telcahuano aveva informazioni riguardo quello che sarebbe successo. Le navi che erano uscite dal porto li informarono dell’imminente catastrofe. Per questo fu ordinato lo sgombero della base militare di Tecahuano, in cui rimasero soltanto due persone che morirono affogate. Senza dubbio i dirigenti dell’Armata non avvertirono la popolazione del pericolo. E questo non fu casuale. I minuti vissuti per la tribolazione del sottomarino “scorpione generale carrera” (ss-2) mostrano chiaramente cosa successe in questi momenti”.[2] Quanto sarebbe costato far suonare gli allarmi dei boschi? O sparare delle munizioni in aria per avvertire la popolazione? No, i gufi della guerra evacuarono silenziosamente in alto mare per evitare le onde dello tsunami lasciando la popolazione del porto alla sua sorte.

4. I MEZZI DI COMUNICAZIONE TRASFORMANO LE CATASTROFI IN MERCE VENDIBILE COME RATING 

L’obbiettivo principale dei mezzi di comunicazione di massa non è informare, ma costruire un “opinione pubblica” che permetta ai suoi capi (borghesi in generale, liberali o conservatori) di continuare a generare profitti (grazie alla pubblicità o grazie alla riaffermazione di questo sistema). Quando succedono catastrofi naturali questo non cambia, per questo se tutti i media si mettono a trasmettere informazioni riguardo le catastrofi non è per altruismo o per una vocazione ad aiutare il prossimo informandolo di quello che succede, ma principalmente per aumentare i propri livelli di audience e quindi aumentare i propri profitti[3]. Questo fu chiaro quando i mezzi di comunicazione, dopo l’incendio di Valparaiso, dimenticarono completamente quello che era successo a nord, attitudine motivata dal loro sensazionalismo e dalla loro necessita di cercare qualcosa di più interessante per attrarre più consumatori sui loro prodotti culturali innocui (notiziari, programmi mattutini, programmi di appuntamenti e qualsiasi programmazione che possa lucrare da questi fatti). Per questo trovando una catastrofe che “ vendeva di più” si sono tutti dimenticati in un attimo della gente del nord.

I media sono consapevoli del fatto che questi eventi generano grande interesse e per questo motivo li sfruttano al massimo, perché il sangue che gli permettere di vivere è rating. Infatti nei loro “pacchetti informativi” non comunicano le cause profonde delle catastrofi: segregazione di settori popolari nelle periferie e sulle colline, case povere, cattiva strutturazione urbana, inefficienza del sistema politico, etc. Mai che osino fare una critica strutturale al problema, perché questo significherebbe criticare loro stessi (sono solo capaci di costruire un discorso più critico quando questo può portare rating, sarebbe a dire, una merce comunicativa vendibile e che genera profitti, o quando l’ ”opinione pubblica” li supera e devono recuperarla). È per questo che a fronte dell’incapacità di generare un discorso di critica globale, si preoccupano sempre di episodi particolari, per evitare spiegazioni molto complesse e mettere in discussione il modello. Per questo si concentrano a domandare più e più volte ai bambini rimasti senza casa “ti si sono bruciati tutti i tuoi giocattoli?”, o fare un servizio di 10 minuti sul caso particolare di una nonnina che ha “perso tutto”, facendo mostra della loro presupposta “sensibilità giornalistica”, che non è niente più che una strategia morbosa per vendere una merce comunicativa, con primi piani sulle facce piene di pena, musica che evochi tristezza e differenti stratagemmi visti e rivisti, che però continuano a funzionare. Inoltre i media beneficeranno dell’accaduto come successe nell’Ottava Regione. Dopo il maremoto che isolò Dichato nel 2010, i mezzi di comunicazione montarono uno spettacolo con il presunto obbiettivo di aiutare la gente. Sono passati già 4 anni dal terremoto e il famoso “Viva Dichato” continua ad essere trasmesso su una frequenza a pagamento del canale TV “Mega”.

5. LE CATASTROFI POSSONO ESSERE UN ECCELLENTE PROFITTO PER LA BORGHESIA

Dopo questi eventi, il potere inizierà con il pericoloso discorso della ricostruzione. Per loro, questo significa sempre la ricostruzione dei loro interessi. Come dopo il 27 febbraio, lo Stato e i privati hanno tentato di impossessarsi di numerose terre di valore. Imprese immobiliari vorranno occupare zone colpite con alto valore, mentre lo Stato vedrà nella catastrofe un’eccellente opportunità per nascondere i poveri nelle zone ancora più periferiche, allontanando così la “sporcizia” e il “sottosviluppo” dai suoi centri commerciali, finanziari e turistici. Quelle persone che non si trovano in possesso degli atti di proprietà delle terre che abitavano prima della catastrofe si vivranno la minaccia di ritrovarsi senza un luogo dove tornare a rialzare le proprie case, visto che lo stato o i privati cercheranno di appropriarsi di molti dei loro terreni. Nel centro di Talca, per esempio, dove abitano ancora settori popolari in case antiche che durante il 27F erano cadute, ora ci sono enormi palazzi. A Gran Concepciòn, quartieri come Villa Futuro o Aurora de Chile, che non hanno sofferto danni dovuti al terremoto, sono stati oggetto di pressioni affinché si spostassero secondo supposti motivi tecnici di inabitabilità e inganni di ogni tipo, poiché le loro terre valgono molto. A Dichato si approfittò della distruzione del lungomare, affinchè interessi tutirstici e statali si appropriassero dello stesso. Anche il mega-maremoto del 2004 in India servì per espellere i poveri dalle zone costiere di alto valore commerciale dove oggi posiamo trovare percorsi turistici e grandi hotel.

Non ne traggono benefici solo gli impresari. I tecnocrati attendono le catastrofi di questo tipo per sostituire i propri meccanismi di controllo e per provarne altri. Sono le opportunità migliori per riconfigurare l’assistenza statale (welfare) ai flussi di merci che attraversano il territorio, per sradicare villaggi e quartieri interi, inventare nuove norme e protocolli di sicurezza etc.
Così come i meccanismi di risposta di organismi come le ONEMI imparano da ogni evento per poi riutilizzarli in futuro.

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6. DI FRONTE ALLA CATASTROFE IL POTERE GRIDA: CARITÀ, CARITÀ, CARITÀ! 

Lo stato cercherà di far intervenire i suoi “cittadini” sul problema in una determinata maniera: la carità. Chiameranno ad “aiutare” attraverso il consumo e sempre con la mediazione di denaro (come succede con Telethon). “Donate dei soldi sul nostro conto”, “comprate in questo centro commerciale che sta aiutando i vicini”, “lasci la sua donazione in questo centro di sottoscrizione”, vociferavano i mezzi di comunicazione. Le azioni che trascendono dal denaro come mezzo di azione saranno discriminate considerandole inefficienti, illegali o con scarsi risultati, come si è già visto a Valparaiso. I media diranno per esempio che non servono volontari, questione smentita dai molti solidali che oggi si trovano a ripulire il disastro e aiutare le e gli abitanti dei luoghi colpiti dall’incendio (dopo queste critiche i media sono tornati a dire che erano necessari volontari). In realtà quello a cui si riferiscono i mezzi di comunicazione di massa è che non sono più necessari volontari autonomi, se non appartenenti a una qualsiasi ONG. Per lo Stato la maniera corretta di aiutare, oltre la donazione di denaro, sarà il volontariato istituzionale sovvenzionato da ONG vincolate ad imprenditori come “TECHO”, uno spazio dove i giovani e le giovani di buona famiglia possano apportare in maniera legale, sempre all’interno della logica verticale della carità, per auto compiacersi (“Guardatemi! Sto aiutando, mi sono guadagnato un pezzo di paradiso aiutando i poveri!”); o semplicemente per cominciare la loro carriera politica nei ranghi giovanili di un qualche Partito. Lo stato cercherà di tenere tutto sotto il suo controllo e grazie alla sua arroganza (ovviamente per difendere i propri bisogni) non crederà possibile che possa esistere una organizzazione spontanea da parte della popolazione civile. Chiunque si imbarchi in un azione di solidarietà autonoma oltre il denaro e queste istituzioni, vedrà subito la situazione e capirà che il problema non è quantitativo, ovvero che non si risolve con più denaro o con più baracche, ma che ci sono problemi strutturali e più profondi, di carattere qualitativo. Di fronte a questa denuncia il volontariato autonomo sarà anche represso dallo Stato come si è visto nella “marcia delle pale” a Valparaiso, dove furono attaccati dalla polizia il che, detto en passant, rafforza la tesi numero 3 di questo testo.

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7. QUELLO CHE È VERAMENTE CATASTROFICO È L’URBANISTICA CAPITALISTA

Le città attuali sono abitate da noi, ma disegnate da altri. Il nostro unico grado di partecipazione nella costruzione di queste stesse è abitarle e basta. Sono lo sviluppo edilizio e i Piani Statali a decidere cosa, come e quando costruire. Questo ha fatto in modo che sia prodotta una città altamente segregata, dove lo sviluppo è l’equivalente di costruire mega-autostrade, ponti, centri commerciali, cliniche e ospedali, casino etc. I poveri devono stare il più possibile lontani da questo. Finchè le loro case non si vedono possono vivere con il miraggio di questo “progresso”. Il territorio è occupato così in maniera differente dalle varie classi sociali, e le più basse saranno sempre quelle che ne vivranno le peggiori conseguenze dovute a qualsiasi imprevisto (inondazioni, incendi, terremoti, tsunami, alluvioni, etc), perché sono abbandonate alla loro sorte. Senza dubbio, la critica all’urbanismo capitalista non può fermarsi ad una mera denuncia della diseguaglianza, c’è una povertà qualitativa nelle forme di vita che trascende tutte le classi sociali (ovviamente colpendole differentemente).

La città attuale mantiene le moltitudini isolate le une dalle altre, rinchiuse in una circolazione senza fine da casa al lavoro in lunghi viaggi che impegnano una parte considerevole del tempo di vita. Ciò che si stila come aspirazione è sempre più la figura del cittadino isolato nella sua macchina, con il suo i-phone in mano e vivendo in un sicuro e funzionale appartamento dove non ha bisogno di conoscere nessuno dei sui vicini per sopravvivere. Si sono rotte le relazioni comunitarie che alcune volte sono esistite in alcuni luoghi delle città.

L’individualismo e la mancanza di fiducia nell’ “altro” sono estremi, come mai nella storia. L’unico luogo dove questi legami comunitari ancora persistono, anche se con livelli sempre minori, sono i quartieri più remoti poiché i loro abitanti necessitano ancora dei propri vicini e vicine per sopravvivere (dal chiedere una tazza di zucchero, controllare le bambine e i bambini, protestare contro la costruzione di una autostrada che passerà sopra le loro case, fino ad allacciarsi insieme alla rete elettrica). Nonostante tutto, l’urbanistica capitalista aliena la popolazione in generale, sono i poveri i più disposti a combatterla. Questo non deriva dal fatto che abbiano una coscienza più rivoluzionaria, o dall’idea che esista un “popolo” che abbia un’essenza più combattiva o nobile (come se il fatto di essere sfruttato nobiliti la gente e dovessimo essere orgogliosi di essere schiavi). Anche se deriva da un semplice fatto materiale, che è che l’urbanistica capitalista che si stringe direttamente con i suoi interessi, perché ogni volta soffoca sempre più i territori occupati dai poveri per generare più sviluppo immobiliarie, una delle fonti di alimentazione dell’economia capitalista.

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8. LE CATASTROFI EVIDENZIANO IL MODELLO E SVELANO LE SUE CONTRADDIZIONI (TESI CONCLUSIVA)

Il sistema economico-politico-sociale attuale incrementa costantemente la vulnerabilità del proletariato mondiale, spogliandolo della sua capacità umana naturale di far fronte a qualsiasi tipo di cambiamento considerato normale nel suo ambiente. La tacnologizzazione costante delle funzioni umane, dei pensieri e delle emozioni, la dipendenza assoluta dal sistema commerciale-speculativo e la sua evoluzione verso astrazioni tecniche ogni volta più complesse, si sono proposti di sradicare tutto quel modello di vita che mantiene relazioni al di fuori di quelle mercantili con il territorio e sia connesso a questo attraverso i suoi conoscimenti culturali ancestrali.

Le ultime catastrofi dimostrano che, come nel passato (che sembra ogni volta peggiore), le nostre città sono fragili di fronte a determinati avvenimenti. Nonostante i nostri satelliti nello spazio, cellulari super tecnologici, macchine di videosorveglianza volanti, chirurgia estetica e altre “meraviglie” della nostra civiltà, ancora in milioni vivono in assoluto pericolo in tutto il mondo. D’altra parte, notiamo la dipendenza estrema dall’apparato industriale che ci ha trasformato in esseri completamente dipendenti (o stupidi, basta guardare WhatsApp, Facebook, Twitter o la fronte alla TV per ora, o anche per giorni interi). Basta immaginarsi cosa succederebbe alla nostra civiltà urbana mondiale con un mese senza somministrazione di acqua potabile o elettricità, o ancora più catastrofico, senza petrolio. Senza l’utilizzo della telefonia e di internet per alcune settimane, potremmo addirittura cadere in un caos mondiale. È paradossale che la “tecnosfera” ultra sviluppata che ci avvolge completamente costituisce contemporaneamente il nostro principale “orgoglio” come civilizzazione e insieme la nostra più grande minaccia. Di fronte alla sua caduta riamarremmo in miliardi di persone totalmente incapaci, come disconnessi dall’utero artificiale che ci contiene. Bisogna ammettere che pochi e poche di noi sanno fare qualcosa di così semplice come piantare e raccogliere alimenti, o un qualcosa di poco più complesso come costruire una casa. Il monopolio della tecnica e la dipendenza dall’apparato tecnico-industriale hanno distrutto conoscenze collettive ancestrali che la maggior parte della popolazione poteva mettere in pratica da molto tempo, e così conservare una propria autonomia dallo Stato e da chi monopolizza la tecnica, i saperi e il potere. La conformazione del capitalismo [4] come unico modello ha necessitato (e necessita ancora) di sottrarre suolo alle comunità, sottrargli il conoscimento ancestrale della natura che li circonda e dei loro corpi di donne e uomini, medicare per normalizzare e attaccare i sintomi – stress, ansia, depressione – anziché curare le cause di questi problemi.

D’altra parte notiamo come questi fatti svelino alcuni cardini del sistema. Per esempio la fusione economico-statale, o la mancanza di antagonismo tra interessi statali e privati. Questo può essere notato chiaramente con l’sempio della Gift-Card che consegnò il governo per mezzo delle grandi imprese di vendita di merci. Qui si dimostra che lo Stato e il mercato collaborano tra di loro e si smentisce le tesi della nuova sinistra “cittadinista” che aspira a far crescere lo Stato come possibile antagonista degli interessi del mercato, nonostante alcuni settori di popolazione organizzata cerchino di manipolare e dirigere le intenzioni e le necessità di quello che chiamano “le masse”. Una crescita economica dello stato non implicherebbe che la gente acquisisca più capacità di decisione riguardo le questioni che la circonda, al massimo potrebbe ridistribuire le merci il più equamente possibile, però in nessun caso abolirebbe la cultura del consumo e la dittatura dell’economia nelle restanti sfere della vita umana. Saremmo di fronte a un remake del riformismo che anziché indebolire il modello potrebbe restituirgli nuovo respiro.
Come se il sistema presente si potesse modificare e potesse continuare nella sua frenesia di distruzione di relazioni sociali e di sottomissione delle maggioranze, che vedono come la loro vita gli passi davanti agli occhi come se fossero reali spettatori di un’opera teatrale nella quale non hanno avuto e non avranno mai nessuna partecipazione, ma dove possono sempre ottenere una scarpa NIKE, un super-cellulare intelligente o una macchina fotografica per registrare la propria opera individuale e soggettiva per “condividerla” attraverso i social network. Tutto questo fa parte della miseria della dittatura del mercato mondiale e del denaro.

Nonostante questo messaggio un po’ pessimista, possiamo anche dire che la speranza rinasce quando ci rendiamo conto che il potere del mercato e dello Stato non sono onnipresenti, per lo meno nel cosiddetto processo di “ricostruzione” che sta vivendo Valparaiso, poiché si può notare come la stessa comunità, i volontari, i vicini e le vicine e la gente in generale sono stati quelli che hanno eliminato le macerie e occupato nuovamente il territorio. Non sono né lo stato né il mercato, ma le relazioni comunitarie storiche quelle che hanno protetto le persone colpite dal “disastro”. La burocrazia statale e l’avarizia imprenditoriale non potranno risolvere un imprevisto del genere, è solo la gente del luogo quella che realizza le autentiche azioni di solidarietà (dal punto di vista orizzontale, a differenza della carità che come dicevamo prima si dà dall’alto verso il basso). Questo ci rivitalizza almeno per il momento, perché dimostra l’inettitudine, l’inefficienza e la stupidità di un metodo che è inutile per confrontarsi con questi fatti. Solo la comunità aiuta la comunità.

Anche se la classe dominante oggi si approfitta della precarietà della popolazione durante le catastrofi naturali per permettere ai propri interessi di avanzare, il violento avanzare delle placche tettoniche alcune volte ci ricorda che niente è immobile, che le strutture del Potere possono cadere facilmente e le relazioni comunitarie possono recuperare un’enorme forza in questi momenti critici.

Senza dubbio questo è solo un “calmante”, perché è noto che le relazioni comunitarie vengono distrutte giorno dopo giorno e non sembra possibile che si ricostruiscano tanto facilmente. In qualsiasi maniera la nostra forza sarà dedicata a questa strada, rafforzare le pratiche che ricostruiscano i legami di solidarietà che il capitalismo è riuscito a distruggere.

Riappropriarci della nostra vita. Scoprire la certezza nascosta che questa città non può darci quello di cui abbiamo bisogno per svilupparci e vivere a pieno il nostro tempo, ma invece i suoi meccanismi ci sottraggono vita (lavoro, ozio al centro commerciale, tempo in famiglia davanti alla TV o tempo individuale davanti a FB, etc). Per combattere questo è necessario smetterla di essere una massa strumentalizzabile da questo o quel partito o pseudo-partito (con aspirazione al potere) e costituirci come esseri pensanti che, insieme con la messa in discussione e la critica di questa realtà, ci organizziamo con i nostri pari per prendere le terre, recuperare l’autonomia sulla nostra alimentazione, ricostruire la nostra educazione, il nostro linguaggio e le forme di condivisione. Noi ci divertiamo, noi amiamo, affinché in questa maniera, possiamo recuperare e ricostruire un’esistenza degna, libera da dominio e sfruttamento.
Il “progresso” è un cancro che si espande, uccide la terra e di conseguenza uccide noi stessi. Non ha un “lato buono” che possiamo utilizzare per emanciparci come si credeva all’inizio della modernità, compresi i rivoluzionari. La sua logica richiede sempre di scavare montagne, instupidirci con nuovi gadget tecnologici, avvelenare l’acqua e la terra, reificare tutto al suo passaggio, costruire abitudini e renderci alienati per servirlo.

In molte e molti crediamo che questa società sia costruita sopra menzogne e fondamenta marce. E sopra queste non si può costruire qualcosa di nuovo e cadrà presto. Dobbiamo dare tutto per costruire.

Concepcion, Maggio 2014

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Sta generando molte polemiche il nuovo aggiornamento di ChatGpt che permette di creare immagini nello stile dello Studio Ghibli. A gettare benzina sul fuoco l’utilizzo spregiudicato che l’amministrazione Trump sta facendo di questo generatore di immagini per propagandare la sua campagna di deportazione degli immigrati. Sono molti i temi che apre questo aggiornamento: dal dibattito […]

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Approfondimenti

Conflitto sociale, repressione, media: ancora il caso Askatasuna

Richieste di risarcimenti stratosferici, interventi a gamba tesa di vertici giudiziari, aggressioni mediatiche a catena: la criminalizzazione del conflitto sociale si arricchisce di nuove pagine.

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Approfondimenti

Marx nell’Antropocene

Un convegno a Venezia dall’approccio interdisciplinare invita a ripensare le possibili traiettorie di convergenza tra marxismo ed ecologia.

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Approfondimenti

Islam politico e religione: reazione o possibilità emancipatrice? 

A gennaio 2025 a Torino è stata organizzata una auto-formazione con Said Bouamama, storico militante algerino che abita in Francia e con cui avevamo già avuto modo di confrontarci in passato. Le pagine che seguono sono la trascrizione (e traduzione) di una parte di quel momento e quindi restituiscono il flusso del discorso direttamente dalle sue parole.

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Approfondimenti

Geopolitica e lotta di classe nella crisi di sistema

0. Si apre un tempo di incertezza, che non fa ancora epoca. Per conquistarne l’altezza, occorre rovesciare il punto di vista. E cogliere, nell’incertezza del tempo, il tempo delle opportunità. da Kamo Modena 1. «La fabbrica della guerra». Abbiamo voluto chiamare così un ciclo di incontri dedicati a guardare in faccia, da diverse angolature e […]

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Approfondimenti

Intervista esclusiva all’Accademia della Modernità Democratica e Foza Yusif, membro del comitato di co-presidenza del Partito di Unione Democratica (PYD)

Abbiamo avuto l’occasione di realizzare questa intervista all’Accademia della Modernità Democratica con al suo interno un contributo (citato tra virgolette) di Forza Yusif, membro del comitato di co-presidenza del PYD..

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Approfondimenti

Tecnotrumpismo. Dalla Groenlandia al caso DeepSeek

Trump è diventato il referente politico delle Big Tech e non è una congiuntura.

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Bisogni

Stop al riarmo, contro il Partito della Guerra. Organizziamoci verso e oltre il primo maggio

Le parole d’ordine uscite dall’assemblea per la costruzione dello spezzone del primo maggio torinese parlano chiaro: organizzarsi per stoppare il riarmo generale, contrastare il partito della guerra

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Divise & Potere

Pavia: condanne senza processo per l’azione di Fridays 4 Future alla Raffineria di Sannazzaro

Riceviamo e pubblichiamo… In queste settimane ci sono stati notificati 5 decreti penali di condanna in riferimento all’azione di Fridays For Future Pavia del 14 settembre 2023, quando 4 attivisti si sono incatenati all’ingresso principale della Raffineria di Sannazzaro de’ Burgondi, uno dei principali hub dell’azienda energetica italiana, per portare l’attenzione sugli effetti delle politiche […]

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Antifascismo & Nuove Destre

Per liberarsi dalle guerre: resistenza. Da ottant’anni il nostro modello. Il 25 aprile a Quarticciolo

“Per liberarsi dalle guerre: Resistenza. Da ottant’anni il nostro modello”: con queste parole d’ordine è stato lanciato il 25 aprile 2025 del quartiere Quarticciolo, a Roma, nell’ottantesimo anniversario della Liberazione dal nazifascismo.

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Conflitti Globali

Levante: il Giappone oggi ad 80 anni dalle bombe nucleari USA su Hiroshima e Nagasaki

Nella puntata odierna andiamo in Giappone, facendo il punto sulla politica domestica del Paese nipponico e sugli scenari internazionali del quadrante asiatico.

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Divise & Potere

Un processo profondamente ingiusto

È iniziata il aprile a L’Aquila la sessione in Corte d’Appello del processo all’attivista cisgiordano Anan Yaeesh, arrestato in Abruzzo con Alì Irar e Mansour Doghmosh (e ancor oggi detenuto) per fatti accaduti a Tulkarem.

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Editoriali

La lunga frattura – Un contributo al dibattito su guerra e riarmo

In questi mesi la storia corre veloce, in poco tempo alcuni dei capisaldi su cui si è retto l’ordine mondiale definitivamente consolidatosi dopo il crollo del muro di Berlino stanno vivendo profonde tensioni e ristrutturazioni.

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Confluenza

“Se non trova ostacoli il capitale si prende tutto”: rilancio e progettualità dal convegno di Livorno. A metà settembre il prossimo appuntamento. 

Di seguito una sintesi di quanto uscito dalle due ricche giornate di convegno nazionale No alla Servitù energetica tenutosi a Livorno il 29 e 30 marzo scorsi. Prossimo appuntamento a metà settembre!

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Editoriali

Sulla morte di Papa Francesco

In un mondo in cui comanda la prevaricazione e l’ipocrisia la morte di Papa Francesco segna un passaggio politico della nostra storia.

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Crisi Climatica

Non chiamiamola emergenza!

Le notizie e le immagini che si susseguono in queste ore, ci parlano di una valle alpina che non ha bisogno di grandi opere e nocività ma di interventi strutturali che possano salvaguardare e mettere in sicurezza un territorio.