#Bologna Horror Story: gli sgomberi e le menzogne dell’amministrazione Merola
Se però la situazione a Roma e Firenze sembra stabile, lo stesso non si può dire per Bologna, in cui negli ultimi tempi si rovesciano le tensioni presenti nella politica nazionale. Si sperava che il sacrificio dell’Ex-Telecom rappresentasse la fine di una stagione di sgomberi. Macché. Il 7 dicembre in 180 (68 famiglie, 74 minori) occupano una palazzina delle Poste Italiane vuota da 10 anni, situata nella periferia della città. Protagonista dell’azione è ancora una volta il collettivo di Social Log che grazie al suo lavoro contro gli sfratti entra in contatto con molte persone toccate dall’emergenza abitativa. Neanche il tempo di esultare che la polizia, mandata dal questore Ignazio Coccia, arriva per effettuare un nuovo sgombero con conseguenti scene di tensione all’esterno.
Le forze dell’ordine entrano nello stabile e molti occupanti vengono fatti uscire, ma settanta di loro si rifugiano sul tetto: dopo due notti passate all’addiaccio sono ancora lì e non hanno la minima intenzione di scendere fino a quando non sarà garantita una risposta dignitosa alla loro esigenza di avere una casa. La vicenda è ancora aperta ed è difficile capire cosa succederà. Per seguirne gli sviluppi è possibile fare riferimento al profilo Twitter di @SocialLogBo, dove potrete anche trovare i materiali che fanno riferimento alle violente operazioni della polizia all’interno dello stabile.
Una situazione così tesa avrebbe bisogno di un intervento tempestivo da parte delle istituzioni, come richiesto fin da subito dagli attivisti. Invece l’amministrazione comunale ha atteso più di 24 ore per dire la sua, accusando gli occupanti di “usare i bambini” . Il Sindaco Merola ha dichiarato: «il Comune condanna l’occupazione dello stabile ex Poste di via Agucchi, stigmatizzando l’uso di minori per fini esclusivamente politici». Amelia Frascaroli, assessore al Welfare di Bologna (eletta in quota Sel), e fortemente sostenuta dal Sindaco, ha invece scritto quanto segue:
L’assessore Frascaroli non è nuova a queste uscite. Un anno fa accusava Social Log di rastrellare persone povere per convincerle a occupare, negando il fatto che a Bologna esistesse un problema abitativo. Oggi gli attivisti userebbero strumentalmente i bambini per occupare. Interessante anche la seconda parte del post dell’assessore, quella in cui Frascaroli rimpiange il mancato recupero degli stabili abbandonati, definendoli “a tutti gli effetti beni comuni”. E chi avrebbe dovuto progettarlo questo recupero, se non l’amministrazione comunale di cui lei stessa fa parte come assessore al welfare?
Che dire poi dell’accusa di “usare” i bambini? Basta andare poco poco indietro nel tempo per scoprire che a “usare” strumentalmente i bambini è stata proprio la giunta comunale. Era il 27 gennaio 2013 quando il collettivo Bartleby, sgomberato pochi giorni prima dall’edificio di via San Petronio Vecchio (tuttora in disuso, anche se due anni fa secondo l’Ateneo era urgentissimo sgomberarlo per farci aule studio), occupava la struttura di Santa Marta, uno stabile situato di fronte all’abitazione dell’assessore Frascaroli. Fino a quel giorno l’assessore aveva sostenuto che in città non ci fossero stabili vuoti disponibili, ma una volta svelato l’inganno dichiarò: «Bartleby deve lasciare quel posto. C’è già un progetto per farci residenze per anziani e un asilo nido. Cosa vogliono, fare la guerra ad anziani e bambini?». Lo stabile fu sgomberato pochi giorni dopo e da allora è rimasto vuoto, in barba ai bambini che vi dovevano essere ospitati. Grazie a Zic.it sappiamo però che lo stabile è stato invece destinato a privati (di area ciellina). Niente bambini, dunque, ma uno studentato riservato alle “eccellenze”.
In quegli stessi mesi a Bologna si apriva una battaglia per il referendum consultivo sulla scuola pubblica. I promotori del referendum criticavano il sistema integrativo della scuola materna che garantiva fondi pubblici alle scuole private. Si chiedeva quindi che almeno i fondi comunali fossero reindirizzati alla scuola pubblica, fortemente colpita dai tagli degli ultimi anni, tanto che nel 2012 erano ben 103 i bambini rimasti esclusi dalle scuole materne pubbliche. La giunta comunale sosteneva (e sostiene) invece che il miglior sistema per garantire il diritto alla scuola era quello integrativo, senza il quale i bambini sarebbero rimasti per strada, senza scuola. Lanciando questo allarme chiedeva pertanto ai cittadini di votare al referendum per l’opzione B. «B come bambini» era lo slogan della loro campagna. Sui manifesti si leggeva “Zero ideologia. 100% bambini”, o “C’è una sola scuola pubblica: quella che non abbandona i bambini”. Nessun riferimento era riservato a quei bambini che rimanevano esclusi dal sistema integrato.
La sfida venne ampiamente persa dagli esponenti della Giunta e dalla destra bolognese: Bologna votò a favore della scuola pubblica, ma la voce degli elettori rimase inascoltata.
Non è finita: 15 ottobre 2015, il questore Coccia fa sgomberare un’occupazione abitativa in via Solferino senza nemmeno avvisare il Comune. Uno smacco, tanto più che nell’occupazione ci sono dei bambini e le loro foto sui giornali causano sdegno in tutta la città. Il Sindaco Merola tenta di smarcarsi dall’azione della questura, ma è un’operazione difficile, dal momento che egli stesso si è sempre schierato contro le occupazioni: come mantenere lo sdegno per lo sgombero e al contempo criticare una situazione illegale come un’occupazione? Si fa appello ai bambini: Merola si indigna per non essere stato avvisato, dato che in una situazione del genere devono essere allertati anche i servizi sociali. Per il Sindaco equilibrista quindi il problema non è né di ordine sociale né di ordine pubblico, bensì di ordine tecnico: sgomberate pure, ma coi servizi sociali, perché ci sono i bambini. Poco importa che fine hanno fatto dopo lo sgombero, tanto che gli occupanti di via Solferino non vengono presi in carico dalla gestione comunale, ma finiscono in un’altra occupazione abitativa.
Così il giorno dello sgombero dell’Ex-Telecom, i servizi sociali vengono avvisati tempestivamente, ma serve a poco, tanto che esistono fior di filmati che mostrano minori trascinati di peso dalle forze di polizia, mentre tentano di sfuggire scalciando.
Per essere sicuri di non prendere posizione, per dire la loro le istituzioni cittadine aspettano che la giornata si concluda. A fine sgombero Frascaroli propone una soluzione: le famiglie (dunque chi ha bambini) finiscono negli alloggi dell’ex-residence Galaxy (di proprietà dell’Inail), mentre per gli altri ci sono i dormitori (già pieni con l’arrivo dell’inverno) o gli alberghi (messi a disposizione per un mese). Il Comune si fa bello per aver risolto il problema dei bambini che ora hanno un tetto, ma per chi non ha figli i diritti vengono nuovamente negati, a meno che un albergo o un dormitorio da cui sei costretto a uscire durante il giorno non vengano considerati delle case.
All’inizio della mattinata del 7 dicembre la polizia è arrivata di gran corsa allo stabile di via Agucchi, tentando di sfondare a spallate la porta d’entrata. Gli occupanti, che in quel momento festeggiavano il loro ingresso nello stabile, si sono rifugiati ai piani superiori.
Durante le operazioni di sgombero si è assistito a scene di terrore peggiori di quelle avvenute nell’ex-Telecom, con tanto di madri con bambine in braccio trascinate di peso dai poliziotti, persone spintonate e calpestate, insulti, documenti strappati agli occupanti che venivano identificati. Questo clima di terrore è e non può non essere un problema per chi si occupa dei minori coinvolti. Se non altro perché quanto accade oggi a Bologna rappresenta una violazione dell’articolo 3 della Convenzione Onu per i Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, che l’Italia recepisce in toto:
«in tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente.»
Nessun rappresentante dell’amministrazione è intervenuto per interrompere l’orrore che si stava verificando nello stabile, né per impedire che alcuni dei minori coinvolti dormissero all’addiaccio, sul tetto di un edificio il cui ingresso è tuttora presidiato dai carabinieri. Su questo nessuno ha manifestato la propria indignazione. Al contrario, Merola, Frascaroli e altri hanno speso parole contro gli attivisti che userebbero strumentalmente i minori, nel tentativo di delegittimare il movimento di lotta per la casa. Bisogna chiedersi davvero: chi viola i diritti di chi?
Tuttavia nel clima da campagna elettorale che si respira in città, Frascaroli e Merola sono ancora convinti che sia possibile far dimenticare i cinque anni mediocri del loro mandato. Per questo tengono la parte degli indignati paladini del sociale. Il fatto è che in Comune si avverte che assessori e Sindaco stanno perdendo la faccia sulla questione abitativa. Eppure un anno fa, l’emergenza casa non esisteva e gli occupanti di Social Log “rastrellavano” persone pur di occupare stabili. Poco meno di un anno dopo, il Comune si vanta di aver trovato 35 alloggi «per chi è in difficoltà» . La verità è che sono proprio azioni come quelle di Social Log a fare emergere il problema. E’ proprio grazie a queste occupazioni che l’opinione pubblica è venuta a sapere di quanti stabili vuoti e abbandonati ci sono a Bologna. Ed è ancora grazie a questa emersione alla ribalta delle cronache che l’amministrazione è costretta a correre ai ripari, rivelando in questo modo di non avere alcun piano strategico complessivo sull’emergenza abitativa, a fronte di un generale aumento degli sfratti e dei senza casa.
Emblematico è il fatto che il capogruppo Pd in comune, Claudio Mazzanti, avesse segnalato l’edificio delle Poste di via Agucchi, chiedendo che le Poste lo cedessero al Comune. Nessuno però si è curato di queste dichiarazioni e le Poste hanno fatto orecchie da mercante. Social Log a questo punto ha portato il caso in superficie, svolgendo un compito di utilità pubblica, per il quale gli attivisti dovrebbero essere ringraziati.
Altrettanto emblematica è la vicenda dell’Ex-Galaxy, lo stabile recentemente recuperato dall’Inail. Una struttura pronta ad accogliere numerose famiglie che è stata impiegata per ospitare le persone sgomberate dall’Ex-Telecom, con una sorta di travaso da un posto all’altro. Se si fossero cercate per tempo strade alternative allo sgombero, molti posti del Galaxy sarebbero rimasti liberi e gli occupanti avrebbero continuato a vivere dignitosamente senza essere legati ad alcun intervento assistenzialista, che peraltro poco si adatta alla loro situazione.
Nonostante il tentativo da parte degli attuali amministratori di ripulire la propria immagine il problema rimane: a furia di appaltare la gestione della città ad altri, come la questura o i soggetti privati, Merola e la sua giunta di “rattoppatori” hanno contribuito a svuotare l’istituzione comunale di qualsiasi funzione. La voce del Sindaco non è riconosciuta, quella dei suoi assessori è poco credibile. Demandare alla forza pubblica il confronto che dovrebbe essere politico significa abdicare al governo della città; lasciare che altri controllino e reprimano le insorgenze sociali, invece di cercare soluzioni strutturali, significa dargliela su a qualunque ipotesi di gestione della cosa pubblica (perfino a quelle più velleitarie).
Così si agita lo spauracchio di Salvini, aspirante emulatore di Marine Le Pen, per provare a compattare il proprio elettorato, quando invece è il basso profilo e il disimpegno degli amministratori “democratici” a lasciare margine per la guerra tra poveri e a cedere spazio di manovra alla destra classista e razzista.
testo di plv, foto di Michele Lapini
articolo tratto da Giap
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