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Chi combatte lo stato islamico? #Singal (Reportage dal Kurdistan). Prima parte

Premessa

In questi giorni di attenzione sui fatti di Parigi, le emozioni e le paure delle persone sono strumentalizzate dai governi e dai media mainstream. Si fa un gran parlare di “guerra all’Isis”, “coalizione contro lo stato islamico” e “reazione dei paesi liberi”, ma là dove trovano agibilità forme di riflessione autonoma (ad es. sui social network) emergono dubbi sempre più diffusi sulla legittimità, da parte delle istituzioni esistenti, di presentarsi come politicamente innocenti rispetto a quanto è accaduto. Per troppo tempo chi abita in Europa ha creduto che le guerre portate avanti e/o fomentate dai governi occidentali in aree del mondo apparentemente lontane non avrebbero mai riguardato direttamente le nostre vite, e che una serata musicale nel centro di Parigi non avrebbe potuto essere un rischio quanto avventurarsi per le strade di Baghdad, Damasco, Beirut, Istanbul o Nairobi.

Il contributo che segue si rivolge a chi crede che percepire città lontane o sconosciute come prossime e importanti è, per la nostra generazione, un’attitudine rivoluzionaria. Singal, città del Kurdistan iracheno, ha vissuto un conflitto brutale nel 2014 e nel 2015, ed è un luogo conteso tanto sul piano militare quanto su quello simbolico da parte di diversi e talvolta opposti movimenti, interessi e stati che attorno o dentro le sue strade cercano di legittimarsi: è una piccola Berlino (o Varsavia) dei nostri tempi, che ha patito un genocidio e sta vivendo un’ambigua e sofferta liberazione. Sulle sue strade incombono le pretese storiche di movimenti sociali di massa anticapitalisti con le loro organizzazioni armate, un rinnovato tentativo di connessione delle lotte che oltrepassi lingue, religioni e identità, ma anche piani di dominio delle potenze mondiali in lotta tra loro tra tecnologia e propaganda, non senza un grande sforzo, da parte delle classi dominanti locali, di conservare il proprio potere con l’aiuto dell’occidente.

L’importanza della vicenda di Singal ha anche a che fare con il problema dell’informazione. Se i conflitti planetari che ci riguardano sono sempre più connessi con il problema dell’armamento e della violenza, della tecnologia, dei flussi finanziari (elementi potentemente intrecciati tra loro), non sono meno legati alla questione della circolazione e del possesso delle informazioni. Il possesso di informazioni è strettamente legato al potere sociale di questa o quella organizzazione politica, statuale o internazionale, ed infine delle popolazioni, ciò che giustifica il livello di distorsione programmata delle notizie e quindi della storia, tanto più sugli scenari dotati di un importante valore politico-simbolico.

Infoaut ha tentato di delineare una ricostruzione autonoma e di parte della vicenda di Singal, ciò che anche altre associazioni o organizzazioni politiche, anche legate al mondo forense, stanno cercando di fare. Visione di parte, per noi, non significa visione ideologica, preconfezionata specularmente rispetto a quelle dei media ufficiali; semmai, disposizione all’ascolto dei protagonisti come parte di un’opera collettiva in fieri che si compone degli sforzi delle persone accomunate dal desiderio di strappare il velo che i le istituzioni mondiali vogliono frapporre tra noi e i nostri coetanei, compagni o potenziali amici, dell’Asia occidentale. Tutte le informazioni raccolte sono frutto di testimonianze dirette. Le identità delle persone intervistate non possono essere rivelate per tutelare la loro sicurezza. Alcune testimonianze sono riportate in maniera diretta, altre in maniera indiretta perché attendono di essere pubblicate in maniera integrale in altre sedi.

Avvertenza: le foto pubblicate in questo report sono reperite sul web e non ritraggono le persone incontrate durante il viaggio.

 

Il massacro del 2014


Il 3 agosto 2014 le forze dello stato islamico si sono mosse da Mosul, importante città nord-irachena conquistata poche settimane prima, verso il distretto di Singal, nella provincia irachena nord-occidentale di Ninive. Il primo obiettivo dell’attacco era conquistare uno snodo autostradale per collegare Mosul (da cui l’Is attuava il principale rifornimento economico, attraverso i pozzi petroliferi, e di armi, sottratte all’esercito iracheno) e Raqqa, città del settentrione siriano che il califfato aveva dichiarato propria capitale. Il secondo la purga del territorio mesopotamico da una “setta di adoratori del demonio” che per troppo tempo aveva potuto vivere in relativa tranquillità: gli Yazidi, una popolazione di lingua curda che pratica una religione propria, diversa tanto dall’Islam quanto dall’ebraismo e dal cristianesimo, e per questo mal vista da gran parte delle popolazioni circostanti.

Tra il 3 e il 5 agosto 2014 i media occidentali hanno iniziato a descrivere, inorriditi, l’avanzata dello stato islamico. I banditi del califfo penetravano nella città e nei sobborghi sterminando migliaia di persone e rapendone altre migliaia, soprattutto donne e bambini, con l’intento di venderli come schiavi. Il massacro degli Yazidi è divenuto il simbolo delle brutalità dello stato islamico. Secondo i flussi d’informazione di quei giorni i Peshmerga, guerriglieri curdi iracheni, si trovarono costretti a ripiegare di fronte alle forze preponderanti dell’Is, e fecero da scudo come poterono a migliaia di profughi in fuga verso i monti Sinjar, a nord della città. I profughi furono inseguiti sui monti dall’Is e i loro villaggi attaccati. I media narrarono di massacri degli Yazidi anche sui monti, che i Peshmerga non riuscirono ad evitare. Migliaia di persone restarono per alcuni giorni bloccate sui monti e ricevettero viveri da aeroplani statunitensi.

yazidi2Nei giorni seguenti si svolse la gara, tra i premier europei, a promettere aiuti, sotto forma di viveri, bombardamenti o armi, alla popolazione Yazida. Gli Stati Uniti sostennero pubblicamente di aver effettuato efficaci raid aerei sull’area per bloccare l’avanzata dell’Is. Singal restò saldamente nelle mani dell’Is. Pochi giorni fa, il 12 novembre 2015, sono ricomparsi sui giornali articoli che annunciavano l’imminente liberazione della città da parte di una coalizione a guida Usa dove a bombardamenti aerei seguiva l’avanzata dei Peshmerga, tornati al contrattacco. Il 13 novembre è stato dato un annuncio della riconquista della città segnato da controversie e polemiche, a poche ore dall’attacco avvenuto a Parigi.

Questa ricostruzione ufficiale si rivela falsa, benché sia faziosamente riproposta da tutti i media occidentali che in questa vicenda, come in tante altre, scrivono la storia secondo un canavaccio atlantista che non ha  alcuna attinenza con la realtà. Basta invece parlare con qualche testimone dell’attacco per sapere che le cose sono andate diversamente. Proponiamo quindi questo reportage con la speranza che possa essere un tassello tra i tanti per costruire un sentire comune della guerra in corso.

 

Una testimonianza diretta dell’attacco dell’Is a Singal


yazidi5Abbiamo raggiunto alcuni dei campi profughi dove oggi, nel Kurdistan, vivono i profughi Yazidi scampati al massacro, per realizzare delle interviste. La persona che ci ha detto quanto segue è originaria di un sobborgo di Singal, e si trova in uno dei centri d’accoglienza istituiti dalle municipalità curde.

La vostra città ha subito un massacro terribile nell’agosto 2014. Qual era la vostra situazione, in Iraq, prima dell’attacco dell’Is?

La nostra situazione era piuttosto tranquilla. Vivevamo a Singal, una città nel nord Iraq vicina al confine siriano. L’unico aspetto particolare, per quello che concerneva le nostre vite, era la nostra religione, diversa da quella degli altri iracheni – la regione Yazida. Questo comportava qualche problema soprattutto sul piano della legge: non nel senso che fossimo attivamente discriminati, ma nel senso che, non possedendo tribunali autonomi, per ogni controversia (ad es. un divorzio) dovevamo ricorrere agli unici tribunali esistenti, quelli iracheni. Il divorzio, però, è una cosa diversa nella religione Yazida rispetto a quella musulmana, quindi in questo senso eravamo discriminati, perché sul piano legale eravamo forzati a sottometterci a un diritto a noi estraneo.

Cos’è successo successivamente? Come si è arrivati all’attacco da parte dello stato islamico?

All’inizio c’è stato un attacco a Mosul, una città che si trova a sud-est di Singal. Quando Mosul è stata attaccata, alcuni di noi hanno contattato le istituzioni autonome del Kurdistan iracheno chiedendo delucidazioni su ciò che stava avvenendo, ed esprimendo la preoccupazione che potesse essere imminente anche un attacco alla nostra città. Le autorità curde risposero che questo pericolo non esisteva, che non ci sarebbe stato alcun attacco contro Singal. In quel momento c’erano circa ottomila Peshmerga, le forze armate del governo autonomo del Kurdistan iracheno, dispiegate nell’area, per proteggere Singal; poi, però, è accaduto qualcosa. Le autorità curde irachene, in qualche modo, hanno venduto Singal.

Non c’è stato un confronto militare tra l’Isil e i Peshmerga?

Quello che noi riteniamo sia successo, è che siamo stati venduti dai Peshmerga all’Isis. Giungiamo a questa conclusione anzitutto da un fatto: non un solo Peshmerga è stato ferito o ucciso durante l’attacco a Singal, mentre, ad esempio, 450 giovani Yazidi sono morti nei villaggi circostanti [L’intervistato si riferisce probabilmente a persone morte cercando di difendersi. Il computo ufficiale totale dei morti, ancora impreciso, oscilla tra le 3.000 e le 5.000 vittime, NdR]. Se non vi fosse stato un accordo con l’Isis, come avrebbero potuto i Peshmerga non avere neanche un morto o un ferito?

Che cosa avete fatto quando Singal è stata attaccata?

L’attacco ha avuto inizio alle ore 14.00 del 2 agosto 2014 [Si tratta di un lapsus, si trattava in realtà del 3 agosto, NdR]. Prima dell’attacco, per una settimana, Is si trovava nei dintorni di Singal, ma non attaccava. Gli abitanti dissero allora ai Peshmerga: “Possiamo difenderci, dobbiamo attaccarli e cacciarli prima che ci attacchino”. Le autorità curde irachene risposero però che non c’era bisogno di farlo e che dovevamo stare tranquilli, che non avrebbero mai attaccato la città. I Peshmerga avevano buone armi, ma non le avrebbero mai usate, avremmo scoperto. Io stesso avevo delle armi perché ero un soldato dell’esercito iracheno, ma i Peshmerga ce le avevano confiscate tutte.

Come hanno fatto a confiscare le armi? Sono passati casa per casa cercandole e portandole via?

Ero un soldato, un ufficiale, sei persone erano sotto il mio comando nell’ambito delle truppe irachene del governo di Baghdad. Anche quando l’Isil attaccò Mosul, in realtà anche Mosul fu loro venduta, stavolta dal governo iracheno di Baghdad. Di nuovo, questo è reso evidente dal fatto che l’esercito iracheno si è semplicemente ritirato senza combattere. Ma quando noi, in quanto militari, siamo tornati alle nostre case a Singal, intendevamo come minimo tenere le nostre armi per difendere, se necessario, la nostra città. Eppure i Peshmerga, prima ancora che arrivassimo a Singal, le requisirono.

All’interno della città non c’erano armi pesanti, soltanto armi leggere. Queste armi non si trovavano nelle case delle persone, ma nei posti di guardia, ed è da lì che i Peshmerga le hanno fatte sparire. C’è inoltre un episodio che non posso testimoniare direttamente, ma di cui ho sentito parlare. Quello che ho sentito è che c’erano stati contatti tra il comune di Singal e il parlamento tedesco, e che la Germania aveva inviato un grosso quantitativo di armi alla città, si parlava di 8.000 armi di vario tipo che i Peshmerga, ancora una volta, non hanno fatto arrivare in città, bloccando i convogli fuori dal centro abitato. Questo episodio è avvenuto due mesi dopo il primo attacco, quando c’erano ancora scontri attorno alla città. Solo un piccolo numero di persone di Singal ottenne armi da questi convogli, e credo fossero tutti Peshmerga.

Ci sono state testimonianze che riferiscono che non soltanto le autorità curde irachene, ma anche i sindaci della città e dei villaggi dell’area di Singal avrebbero assicurato alla popolazione una protezione che poi non ha avuto luogo. Quando parli di autorità curde irachene, intendi il governo di Barzani o anche le istituzioni locali, comunali? Saresti in grado di fare dei nomi di questi politici?

Un uomo il cui nome è Serbest Bapir era responsabile del governo di Barzani [Presidente dell’autorità autonoma del Kurdistan Iracheno, NdR] per il distretto di Singal. Lui ha dato ordine ai Peshmerga di requisire le armi, lui è il responsabile per questo. Ciò che è avvenuto, in sostanza, è che coloro che accettavano di essere parte delle milizie Peshmerga potevano ottenere un armamento, del cibo o altro; chi non accettava di far parte di queste milizie non aveva accesso a nulla. Il governatore di cui ho parlato prima ha rivolto alla popolazione di Singal i tipici annunci riguardo al fatto che non c’era alcun pericolo, che i Peshmerga ci avrebbero protetti, e così via: “Non preoccupatevi: qualunque cosa accada, non permetteremo che Singal venga attaccata”.

Un altro nome è Kasem Seso, che aveva la responsabilità di organizzare delle unità che proteggessero Singal. Non era un Peshmerga all’inizio, è entrato nei Peshmerga nell’imminenza dell’attacco. È lui che si è rifiutato di fornire armi o viveri alla popolazione, a meno che gli abitanti non si inquadrassero nelle sue unità. Successivamente, è diventato il responsabile dei Peshmerga nell’area, e tuttora si trova di stanza nella zona al comando delle milizie di Barzani.

Qual è stata la tua esperienza personale durante l’attacco?

Ero un soldato, come vi ho accennato, di stanza a Duhok. Duhok era già stata attaccata dall’Isis e nei combattimenti ero stato ferito e congedato, per cui ero tornato a casa ed ero in città al momento dell’attacco. Quando abbiamo visto che i Peshmerga lasciavano la città di fronte all’approssimarsi delle forze dell’Isis, abbiamo preso la strada per le montagne. Tuttavia, le unità Peshmerga ci hanno sbarrato la strada e ci hanno impedito di proseguire, a circa due chilometri dal nostro villaggio, una distanza dalla quale potevano benissimo vedere cosa stava accadendo nel villaggio.

Ci sono state forze curde che, alla fine, vi hanno aiutato?

Una settimana prima dell’attacco, circa dieci persone del Pkk [partito dei lavoratori del Kurdistan, fondato in territorio turco, NdR] sono venute a Singal. Ci hanno detto: “Abbiamo sentito che potrebbe esserci un attacco contro la vostra città. Vogliamo contribuire alla vostra protezione, vogliamo entrare in guerra con l’Isis”. Tuttavia, i Peshmerga hanno impedito al Pkk di aiutarci. Hanno detto ai militanti del Pkk che non c’era bisogno di loro, che erano in grado di difendere autonomamente Singal. Questa è la ragione per cui il Pkk non ha potuto aiutarci durante l’attacco.

Dopo una settimana circa, però, dopo che i Peshmerga se ne erano andati, c’è stato un sostegno attivo attraverso l’arrivo di uomini del Pkk, dall’Iraq nord-orientale, e delle Ypg [unità di protezione popolare, organizzazione curda vicina al Pkk fondata nel Rojava, entro i confini siriani] dalla Siria. Entrambe queste organizzazioni sono scese dai monti Sinjar sopra la città, fino ai sobborghi di Singal, e ci hanno aperto la strada alle montagne, proteggendo circa un chilometro di strada per poterci mettere in salvo. Le Ypg ci hanno anche fornito delle auto per poterci spostare in fretta dalle zone più pericolose della città. Pkk e Ypg hanno agito assieme e ci hanno protetti, sono loro che ci hanno messi in salvo sulle montagne.

 

Continua

 

Di seguito due video e un documentario sul ruolo del Pkk nella lotta all’Isis nel Kurdistan iracheno:


 

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