Chile, legge sulla pesca e le risorse marine
Un approfondimento a cura del nostro collaboratore Enrico su una recente legge sulla pesca in Chile.
Il governo cileno vende il suo mare e tutte le sue risorse idriche a 7 famiglie, spingendo fino in fondo la logica liberalista.
Questa produzione al 90% é utilizzata per soddisfare le esigenze del mercato internazionale. Il Cile è il settimo paese al mondo per volume di produzione Idrobiologica, principalmente pesci, molluschi, crostacei e alghe. A sua volta, è uno dei principali produttori di farine di pesce per la produzione di mangimi per gli animali e il secondo più grande produttore mondiale di salmone e trota per pescicultura. Qualche anno addietro ne era anche diventato il primo, ma una malattia, che i cileni attribuiscono alla concorrenza, lo aveva riportato al secondo posto.
Tuttavia, questa grande ricchezza marina non è mai stata al servizio degli interessi e bisogni della società cilena e le loro comunità costiere, a causa del modello extractivista-exportatore del tipo “minatore”, imposto negli ultimi cinquant’anni dal cartello di pesca con l’aiuto della dittatura militare prima e poi dei successivi governi civili. Esempio di questo è che il Cile è uno dei paesi in cui la popolazione ha uno del più bassi consumi di pesce per abitante: 7 kg. l’anno. Questo lo mette sotto il consumo medio del mondo, 17 kg per abitante all’anno.
Oltre ad apparire nelle statistiche, questa situazione salta agli occhi quando si gira un po’ per il paese, i mercati di pesce fresco sono rarissimi, al di fuori di alcuni storici, Valparaiso e Santiago, (particolarmente frequentati dai turisti), e quello di Valdivia egualmente storico e il più frequentato per la polazione locale, é raro trovare duesti tipi di mercato. Ad Aysén, uno dei principali luoghi di produzione del salmone, ma anche centro della lotta che nel febbraio e marzo scorso polarizzò l’attenzione di tutto un paese, non ci sono mercati pubblici di pesce fresco, tutta la produzione parte verso gli USA e Canada, e in piccola misura verso l’Europa. Mangiare pesce nei ristoranti, aldifuori di quelli di lusso, é praticamente impossibile, e nei supermercati locali c’é solo pesce congelato di dubbia qualità.
Cinque decenni di saccheggio industriale hanno portato ad uno sfruttamento eccessivo e al crollo del 68% delle attività di pesca nazionale, che é principalmente organizzato nell’ambito di un sistema di quote individuali trasferibili. Esempio di questa situazione drammatica è quello della “Trachurus murphiyii”, principale società di pesca del paese, il cui tonellaggio è sceso da 4,5 milioni di tonnellate nel 1995, 252 mila tonnellate nel 2012. A questa situazione si aggiunge una elevata concentrazione economica, una transnazionalizzazione crescente delle società di questo settore, e per conseguenza una esclusione sociale dei piccoli produttori, questo tanto nella pesca che dell’acquacultura.
Nel dicembre 2011 il governo di Sebastián Piñera, attraverso il suo ministro dell’economia, Pablo Longueira, lanciò una procedura legislativa alfine di modificare la legge vigente sulla pesca e l’acquacoltura che istituiva un sistema di quote individuali trasferibili, (temporaneamente creato per 10 anni dal governo di Ricardo Lagos), e che si applicava alla pesca praticata dai grandi imprenditori, e il cui termine scadeva il 31 dicembre 2012.
Il progetto legge presentato da Longueira, la cui procedura legislativa si é svolta in tempo tempo record se si tiene conto della sua importanza da un punto di vista economico, sociale e dell’indipendenza nazionale, ha abolito la proprietà statale sulle risorse marine. Al contrario l’ha sostituita con la riconoscenza esclusiva di “diritti storici” dell’industria monopolistica, concedendo licenze di pesca di 20 anni rinnovabile per uguale periodo, che possono essere vendute, acquistate, affittate, ipotecate ed ereditate, permettendo di ingrossare il patrimonio delle sette famiglie che compongono il “cartello” della pesca in Cile.
Quattro Conglomerati industriali che controllano la pesca in Cile sono coloro che trarranno vantaggio da questa legge scellerata: Blumar, Pesca Camanchaca Sur S.A. e cibo Corp, di proprietà delle famiglie Angelini, Lecaros, Sarquis, Yaconi-Santa Cruz, Stenjel, Izquierdo Mogster (Norvegia). A loro deve essere aggiunta la transnazionale Nipon Suissan Kaisha (Giappone) in alleanza con la famiglia del Fiume e PescaNova (Spagna), che dominano la pesca nelle regioni del centro e sud del paese.
La legge Longueira costituisce un’espropriazione dei beni pubblici, che privatizza uno degli ultimi settori dell’economia. È paradossale che siano i figli politici di Pinochet (Longueira, Larroulet, Chadwick, Melero e Larraín) che hanno spinto il Parlamento, con l’adesione totale del UDI e il sostegno di settori del PS, come i senatori Fulvio Rossi e Juan Pablo Letelier, ad approvare una tale legge. E da ricordare che un progetto similare, di privatizzazione della pesca, era stato presentato senza successo nel 1989 dall’ almirante José Toribio Merino.
La nuova legge sulla pesca consegna al “cartello” della pesca il godimento esclusivo dei 740 milioni di dollari all’anno generati dalla pesca cilena.
Secondo i dati riportati dallo stesso sottosegretariato della pesca, lo Stato, attraverso la precedente normativa, aveva consegnato gratuitamente durante 12 anni un beneficio di oltre 8,9 miliardi dollari per l’industria peschiera, senza un meccanismo trasparente di allocazione delle risorse, né imposta versata allo Stato per l’uso delle risorse, che sono beni comuni.
La legge Longueira cerca di approfondire l’approccio extractivista-exportatore, rafforzado i processi di concentrazione economica e l’articolazione tra pesca e acquacoltura con banche e la borsa, eliminando il ruolo dello Stato nella proprietà del pesce e nel’uso e accesso alle risorse marine, trasferendo questo ruolo al ”mercato” per via di mercati di rivendita, locazione delle quote individuali di pesca e acquacoltura, concessi dallo Stato.
Verrà avviata la fase speculativa nella pesca cilena, dove avranno più valore in borsa e nelle banche i contingenti di pesca attribuiti o acquisiti, che l’esistenza fisica della risorsa un pesce nell’acqua.
L’insolita elaborazione a tempo di record che ha avuto il progetto Longueira, soffre anche di gravi difetti di forma e di sostanza. Questi includono la partecipazione alla discussione e votazione di senatori-azionisti delle imprese di pesca, (5 senatori che fanno parte delle 7 famiglie che controllano l’industria peschiera nazionale); egualmente non c’é stata una previa consultazione obbligatoria ai popoli nativi (lafkenche mapuche, huilliche, rapanui e kaweskar), come previsto dalla Convenzione 169 dell’OIL, (Organizzazione Internazionale del Lavoro).
Il Governo e il Parlamento hanno dunque violato una convenzione internazionale adottata dallo stesso governo cileno con una legge nazionale del 2009.
Secondo il parlamentare di sinistra Rene Alinco, questa legge significherà anche licenziamenti massivi nell’industria peschiera cilena; a dimostrazione di quanto affermato, Alinco fa notare che la legge stessa prevede un accompagnamento sociale alla sua messa in opera, il che vuol dire che la legge stessa prevede dei futuri licenziamenti. Questo stesso deputato conclude ironicamente il suo intervento facendo notare che il cittadino cileno non solo ha perso il mare ma anche il diritto di cantare l’inno nazionale nella parte: “e questo mare tranquillo che ti bagna”, bisognerà chiedere permesso alle 7 famiglie che si sono impossesate del nostro mare
Di fronte a questa legge imposta al Parlamento, ai cittadini di un pescatori e Popoli Originari resta solo la mobilitazione sociale e la disobbedienza civile. Le ultime mobilitazioni di rifiuto della legge Longueira hanno riunito un fronte molto ampio: al Fech, Confech, Aces, Federazione nazionale dei sindacati del settore bancario, Consiglio nazionale per la difesa della pesca e del patrimonio (Condepp), organizzazioni di popolazioni mapuche lafkenche, l’Alleanza per la difesa del mare, tra le altre. L’identità di Lafkenche e il neo-eletto sindaco di Tirúa, Adolfo Millabur, hanno sottolineato che per i mapuche-Lafkenche, la legge Longueira non ha alcuna validità; è per questo che la Condepp, che riunisce 50 mila pescatori, ha lanciato una chiamata alla disobbedienza civile contro la legge Longueira, che potrebbe diventare l’icona della resistenza popolare contro il sistema politico cileno.
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