Cina, rischi e trasformazioni dietro la bolla finanziaria
Più e più volte diversi economisti avevano pronosticato riguardo alla Cina la possibilità che esplodesse una bolla finanziaria di enormi proporzioni: questo per l’immensa crescita rispetto ai valori di capitalizzazione iniziale dei mercati azionari, che mal si accoppia ad una crescita economica reale, sempre più lenta ( e sicuramente incomparabile ai valori registrati negli ultimi venti anni), con alti rischi di una bolla immobiliare, in presenza di un sistema produttivo largamente squilibrato e con il sottofondo dell’impatto della crisi globale degli ultimi 7 anni.
Lo scorso week-end il governo cinese ha annunciato misure per prevenire un impatto sull’economia nazionale, già non più in grado di sostenere i tassi di crescita passati; eppure la situazione non sembra migliorare, con le Borse che continuano a chiudere con indici negativi. Negli ultimi tre mesi, al fine di favorire i prestiti, la Banca Centrale di Pechino ha tagliato per tre volte i tassi d’interesse, i quali però più che affluire nell’economia reale, rilanciandone dinamiche di crescita, si sono inserite nei canali della finanza.
E’ anche per questo motivo che il governo ha deciso di bloccare le Ipo (offerta pubblica iniziale) di 28 nuove start-up che avrebbero probabilmente drenato ulteriori fondi alle aziende attualmente quotate in Borsa. Il governo ha inoltre approvato l’aumento della quota di azioni acquistabili da parte di stranieri e l’aumento dei prestiti riservati agli investitori, nonché invitato i fondi legati al governo ad acquistare azioni, rassicurando con una serie di dichiarazioni pubbliche riguardo alla sua capacità di gestione del momento.
La relativa chiusura del sistema finanziario cinese fa sì da un lato che le problematiche siano contenute a livello globale in maniera diretta, a differenza di quanto può accadere in una crisi che riguardi gli Stati Uniti o l’Unione Europea. Dall’altro lato però un ulteriore rallentamento dell’economia interna potrebbe avviare un problema di sostenibilità da parte del governo di una pace sociale ottenuta soprattutto grazie all’aumento della ricchezza di un’ampia classe media di investitori ( i cosiddetti “gnomi” che hanno una quota di circa l’80% del totale investito in Borsa) preoccupata sempre più dal rallentamento economico.
C’è chi dice però che quanto successo sia un mossa del governo cinese per mettere finalmente in campo quel processo di cambiamento della struttura finanziaria adeguato alle nuove necessità economiche del paese. Descrive questa ipotesi il portale ChinaFiles:
“È però interessante valutare un’altra ipotesi. Diversi economisti parlano di semplice “volatilità dei mercati” e di normale “aggiustamento” per un settore finanziario, quello cinese, ancora giovane e in divenire. Cioè, in pratica, la Cina sta cercando di trasferire risorse dai settori meno innovativi (e quindi si determina l’attuale “crollo” degli investimenti tradizionali) a quelli innovativi (le tecnologie, le produzioni ad alto valore aggiunto, di cui però gli “gnomi” non si fidano ancora).
È il segnale di questa volontà politica del governo a rendere circospetti gli azionisti cinesi. Lo “gnomo”, tradizionalmente, investe nell’immobiliare, strettamente collegato alla crescita del credito ombra: così, mette i suoi soldi sia nei titoli immobiliari in borsa (favorendo la riproduzione del sistema basato su cemento e mattone), sia nella proprietà vera e propria (togliendo risorse agli stessi investimenti borsistici). Questo modello non è oggi sostenibile e Pechino ha più e più volte dato il segnale di volerlo cambiare, per veicolare altrove le risorse necessarie.”
Per Peter Drysdale di East Asia Forum,poi ripreso da CinaForum, una recente analisi della Banca Mondiale afferma come “il rallentamento della crescita economica cinese indica che il governo sta facendo progressi con gli aggiustamenti strutturali e con gli sforzi per affrontare le vulnerabilità finanziarie. Nel medio termine, questi sforzi aiutano la Cina a cambiare gradualmente il suo modello di crescita dalla manifattura ai servizi, dagli investimenti ai consumi, e dall’export ai consumi interni.”
Per alcuni insomma ci sarebbe, da parte del governo cinese, un processo di sfruttamento di quanto sta accadendo a livello finanziario per avviare percorsi di trasformazione dell’economia in senso complessivo, sebbene sia innegabile che anche se ciò fosse vero i rischi derivanti da questo crollo potrebbero essere difficili da controllare, scatenando panico tra gli investitori. Vedremo nelle prossime settimane quale sarà lo sviluppo di questa situazione, ma è certo che il processo di integrazione politico ed economico della Cina sempre più lega il futuro del Dragone ad un ambito internazionale che, come nel caso della situazione greca, vedrà la Cina dover intervenire volente o nolente a modificare l’ambiente politico e economico interno ed estero, stravolgendo la sua politica di relativo isolamento in campo finanziario e delle relazioni internazionali a cui ci aveva abituato fino ad oggi.
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