Città invisibili e città proibite
Nel suo libro del 1972, “Le città invisibili”, Italo Calvino narrava alcuni frammenti di città e storie di vita nelle città. Per dirlo con le sue parole, dava vita ad “immagini di città felici che continuamente prendono forma e svaniscono, nascoste nelle città infelici“.
Chissà a quali immagini avrebbe potuto dare vita se avesse visto la Shanghai di oggi. Un mix di antichità e modernità, di grattacieli che si innalzano sulle rive dello Huangpu (il fiume che attraversa la città) così come di vicoli strettissimi (lilongs) che contengono al loro interno tutte quelle immagini con cui associamo popolarmente la Cina. Di treni superveloci e di risciò. Di quartieri ad altissimo sviluppo tecnologico e di zone che sembrano ancora rimaste a secoli fa. Di nuovi ricchi e vecchi poveri. La città più “occidentale” della Cina (per storia, data la colonizzazione, ma anche per il tipo di sguardo, business-oriented, che ha verso il suo futuro) che si candida a sostituire le grandi piazze euro-americane ai vertici della finanza globale.
E quali immagini gli avrebbe suggerito Pechino, dove gli antichi hutongs, i vicoli formati da tante case a corte una affianco all’altra, si mischiano agli enormi 3 anelli autostradali che smistano il traffico. Dove i vecchi enormi capannoni delle fabbriche di Stato sulle quali si era basata la strategia economica maoista vengono sostituiti da nuovi progetti a sfondo culturale come il 798 Art District; oppure vengono invasi, come nelle vie adiacenti al quartiere di Sanlitun (uno dei centri della movida dei locali e degli internazionali) da ondate di nonmingong, lavoratori che dalle campagne migrano verso una speranza di lavoro e di futuro nella metropoli che simboleggia il potere sin dall’era delle dinastie imperiali.
Pechino e Shanghai, rispettivamente simbolo del potere politico e di quello economico cinese, sono città che però, essendo le più popolate e allo stesso tempo le più ricche della Cina, vedranno l’immigrazione al loro interno (o almeno quella proveniente dalle zone rurali) sempre più limitata. La volontà del governo cinese, del Presidente Xi Jinping e del premier Li Keqiang, rispetto ai processi di urbanizzazione del paese è quella di limitare sempre più l’afflusso dei lavoratori migranti alle città cosiddette tier-1 (Pechino,Shanghai,Guangzhou e Shenzhen) per concentrarlo nelle città medio-piccole, verso il cui sviluppo è concentrato il principale sforzo del Partito.
Un processo di urbanizzazione di importanza enorme a livello storico. Si parla di gestire lo spostamento da campagna a città di più di 250 milioni di persone, che dovrebbero andare a costruire la crescita economica delle aree centrali e occidentali del paese, alleggerendo la pressione su quelle costali.
E qui ritornano le città invisibili. Invisibili però in questo caso poiché assolutamente spopolate. Sono le new towns che sorgono in serie nelle regioni meno abitate nel paese, diventando spesso vere e proprie ghost cities. Città formate da centinaia e centinaia di palazzi e di grattacieli desolatamente vuoti. Città fantasma abitate solamente dagli operai e impiegati nel settore edile che giorno dopo giorno continuano ad ingigantirle..in attesa che vi arrivino le masse dalla smisurata zona rurale del paese.
Molti analisti a proposito parlano di una bolla immobiliare pronta a scoppiare, argomentando questa convinzione con i dati sulla caduta del prezzo delle abitazioni che inizia a manifestarsi, accompagnata dall’ancora basso dato della domanda interna che si riflette sul basso acquisto di immobili. Una bolla che potrebbe essere un enorme shock per l’economia del Dragone, il cui PIL dipende fortemente dalla crescita del settore edile; ma conseguentemente per quella mondiale, come noto non ancora ripresasi del tutto dallo shock del 2008 partito anch’esso dal settore del real estate sebbene in termini differenti.
Altri commentatori, più filo-governativi, parlano invece di altro, nei termini di un processo che porterà buona parte di quei 269 milioni di lavoratori migranti che affollano le fabbriche del paese a diventare cittadini urbani. Un obiettivo necessario da raggiungere per i governanti, forzati da una minore forza dell’export del paese, dovuto alla crisi della domanda estera ma soprattutto dalla formazione di una nuova coscienza all’interno del paese.
La middle-class che si va formando diventa sempre più status-symbol, i salari si alzano a livello nazionale grazie alla forza dei centinaia di conflitti, spesso vincenti, che si accendono in tutto il paese in risposta alle malversazioni padronali che avvengono nel silenzio complice dei media locali e globali.
Ma soprattutto l’aumento dei livelli della domanda interna è sempre più l’obiettivo principale del governo per continuare a fare crescere l’economia, la quale per il 2014 sembra difficilmente in grado di tenere i livelli ritenuti ottimali. Creare una middle-class sempre più estesa è il vettore per assicurare profitti alla sempre più forte industria dei servizi; industria che guadagna quote sempre più grandi della dieta produttiva del paese, diventando lobby di importanza sempre maggiore da coltivare per il Partito, al fine di mantenersi al potere.
Un’economia quella cinese che ha ancora margini di crescita enormi, soprattutto nelle città meno sviluppate, ovvero quelle che non fanno parte delle zone costali. La cui crescita esponenziale negli ultimi trent’anni è merito delle cosiddette “politiche dell’apertura” di Deng Xiaoping; sono città cresciute nella deregulation più totale, che permetteva agli Usa e all’Europa post-rapprochement tra Mao e Nixon di delocalizzare la produzione, spostare il conflitto dal proprio cortile di casa e allo stesso cancellare definitivamente la minaccia del comunismo cinese da quelle che lambivano il potere globale egemonico a stelle e strisce. Basti pensare Shenzhen, divenuta una città di 8 milioni di abitanti quando vent’anni fa era un villaggio di pescatori..
Nella capitale Pechino la Città Proibita, luogo storica del potere imperiale dove si sono alternate decine e decine di sovrani, è un appuntamento con la storia di rara bellezza per il turista. Ma tutte le città, comprese quelle delle zone interne del paese, sono al momento Proibite a tutti gli effetti per chi arriva dalle campagne del paese. Proibite da quel dispositivo sulla registrazione della residenza, o hukou, che impedisce di poterne godere le prestazioni di welfare a chi non è registrato nella città in cui lavora, ovvero a centinaia e centinaia di milioni di lavoratori migranti in via di arricchimento che potrebbero costituire la base di un nuovo boom economico cinese e sulle quali si è puntata l’attenzione del governo.
L’hukou è un provvedimento nato nel 1958 in epoca maoista e via via riadattato in base alle esigenze del capitalista collettivo cinese; il quale se ufficialmente lo narrava in termini di assicuratore di ordine, stabilità, crescita armoniosa di città e campagna, ben ne conosceva invece il suo significato materiale di segmentazione, frontiera, sfruttamento. Il miracolo cinese di cui oggi tutti siamo a conoscenza nasce proprio nel ricatto dell’hukou, dalla figura del lavoratore migrante impossibilitato ad avere una sicurezza sociale accettabile nelle città globali dove andava a portare la sua prestazione lavorativa. Venendo cosi costantemente esposto a orari di lavoro infinito per poter sostenere la famiglia confinata nelle zone rurali di provenienza: poiché accedere alla sanità, iscrivere il proprio figlio a scuola, persino registrarsi un’automobile non è permesso a chi non è in permesso della residenza giusta.
Una tragedia quotidiana distruttrice di milioni di storie di vita, e che oggi sembra però essere sempre di più oggetta a modificazioni; il governo ha infatti intenzione di alleggerire queste restrizioni in tante delle città (ma non, ovviamente, delle iper-popolose tier-1) ancora da sviluppare, permettendo ai lavoratori di potersi registrare la residenza urbana in una delle tante ghost cities in formazione, in qualcuna delle province ancora fuori dal miracolo economico e dallo sviluppo vorticoso del Dragone. Tutto torna quindi: gestione delle tensioni sociali, urbanizzazione armoniosa, mantenimento dei profitti, stabilità per le elites al potere; in uno dei più grandi piani di ingegneria sociale che si possa immaginare nella storia dell’umanità.
Questa operazione politica è troppo importante: per la Cina e per gli interessi dei suoi costruttori e speculatori immobiliari, delle sue banche, delle sue industrie dei servizi, del PCC. Città invisibili e città proibite dunque, si stagliano nell’immagine che raffigura la Cina di oggi, che a quanto risulta da alcune proiezioni potrebbe essere già oggi la prima economia del mondo. Città felici per chi è parte della classe media arricchita ed infelici per chi ne sta ai margini senza potervi entrare ed ottenerne parte della ricchezza. Un mondo urbano in piena espansione che rivela le luci e le ombre del miracolo cinese.
Chongtu
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