Cosa si nasconde dietro la nuova normativa UE sul copyright
Martedì 26 marzo il nuovo regolamento europeo per il copyright è stato approvato. Osannato in maniera unanime dalla stampa italiana contiene in realtà numerosi coni d’ombra criticati da più parti. Proviamo a fare luce sui punti più oscuri e controversi della legge europea
La procedura di voto del parlamento europeo avviene con l’utilizzo di pulsanti con cui ciascun parlamentare può esprimere la propria preferenza. L’azione non è reversibile, una volta premuto non si può cambiare, ma il regolamento prevede che, in caso di errore, il parlamentare può mettere agli atti la sua intenzione di voto originale. Però non cambia il conteggio.
Questo è lo scenario che si è presentato Martedì 26 Marzo quando il gruppo di europarlamentari svedesi ha reso noto che hanno “premuto il bottone sbagliato” durante la votazione per il regolamento europeo per il copyright. Ed è con queste premesse che l’unione europea si appresta ad approvare il cambiamento legislativo più radicale in materia di diritto d’autore dal 2001.
Il percorso di avvicinamento a questo voto è stato lungo e travagliato, iniziato come un massiccio lavoro da parte delle lobby dell’europarlamento che ha incontrato diversi ostacoli sul suo percorso. Nella primavera del 2017 si raggiunge un primo accordo sui nodi cruciali del provvedimento ed il suo viaggio nell’iter legislativo sembra privo di gravi difficoltà. Ma dal momento in cui Axel Voss (europarlamentare tedesco della CDU) diventa relatore (rapporteur) tutto precipita. Voss insiste per la reintroduzione di due articoli all’interno del regolamento che erano stati precedentemente esclusi perché considerati impossibili da applicare.
Articolo 11 – Link Tax
Link Tax, Google Tax, Snippet Tax, alcuni dei nomi con cui negli anni è stata conosciuta questa soluzione. Ma non è direttamente una tassa, è una vera e propria nuova forma di diritto che viene riconosciuta agli editori di contenuti, nel testo della legge i legislatori la chiamano “neighbouring right for publishers“. L’intenzione è quella di fornire ai grandi editori uno strumento di negoziazione con le piattaforme tecnologiche (Google, Facebook, etc). I beneficiari dovrebbero giovare del diritto esclusivo su qualsiasi condivisione di link o “frammenti” di un articolo.
La confusione dell’articolo 11 parte dalle definizioni assolutamente vaghe o inesistenti di “news site” e “snippet“. Queste vengono lasciate alle normative delle varie nazioni che dovranno recepire il regolamento europeo. La conseguenza pratica sarà che, ad esempio, in Italia si potrà citare liberamente dieci parole di un articolo, mentre in Francia solo cinque. Ma i siti coinvolti in questo caos non sono solamente le grandi piattaforme di diffusione di contenuti a scopo di lucro, ma anche singoli blog di opinione o siti no-profit, uno su tutti wikipedia.
Ma i danni che potrà causare questa nuova forma di diritto sono tutt’ora non chiari e potenzialmente sconfinati. Fornire completo controllo su come vengono citati e diffusi collegamenti ad articoli e contenuti può potenzialmente tradursi in una nuova forma di censura del dissenso e controllo della critica. Questi sono alcuni dei possibili risvolti di un goffo tentativo da parte della politica di contenere le ingenti perdite che il settore editoriale sta vivendo nella transizione verso una fruizione digitale dei contenuti.
L’idea di questa soluzione non è inedita. L’articolo fondamentalmente è la copia dell’esperienza realizzata recentemente in Germania e Spagna. Nel primo caso Google ed altre piattaforme hanno risposto chiudendo totalmente ogni tipo di collegamento con le piattaforme dell’editoria. Queste, vedendo crollare le loro entrate, sono frettolosamente corse ai ripari ritrattando accordi speciali con le piattaforme che di fatto sono andati ad annullare l’effetto desiderato dalla legge. In Spagna non è accaduto perché la legge era stata scritta in modo da impedire ai siti di informazione di rinunciare ai proventi della link tax. Ma l’effetto è stato lo stesso, Google News ha chiuso nel paese ed i siti di informazione hanno cercato disperatamente di ricreare le stesse dinamiche accentrando ancora di più la rete. Questa è una delle conseguenze più pericolose a lungo termine delle regolamentazioni centralizzate, pochi saranno in grado di stipulare accordi vantaggiosi per la condivisione dei contenuti rendendo impossibile per altri attori vivere la rete Internet. Una soluzione che si inserisce in un ampio spettro di tentativi (più o meno impacciati) che si sono susseguiti regolarmente in diversi quadri legislativi per piegare la natura decentralizzata e distribuita della rete Internet.
Articolo 13 – Il grande filtro
Il degno gregario dell’articolo undici è proprio il tredici che, se possibile, è la vera tragedia di questa triste vicenda. Questo pezzo del regolamento non è niente di meno che una completa riscrittura di come il copyright funziona su Internet. Ad oggi un servizio non è obbligato a controllare che tutti i contenuti pubblicati dai propri utenti rispettino o meno il copyright. L’obbligo si presenta nel caso in cui il beneficiario del diritto si faccia avanti richiedendo una “takedown notice” (richiesta di rimozione). L’articolo 13 non fa altro che capovolgere il rapporto. Le piattaforme che permettono il caricamento (upload) di contenuti da parte degli utenti saranno obbligate a controllare che tutti i contenuti rispettino il copyright.
Le conseguenze dell’articolo sono evidenti a tutti tranne che al legislatore. Non è assolutamente possibile per un servizio poter acquisire le licenze per ogni contenuto caricato sulla piattaforma, questo non solo perché non esiste alcun tipo di sistema che permetta di fare questo, ma anche perché potenzialmente qualsiasi contenuto caricato su Internet è soggetto a copyright e questo significa che tutti i tre miliardi di utenti presenti sulla rete sono potenziali detentori di copyright. Ma la legge non specifica neanche come il controllo debba avvenire. In una prima versione c’era un esplicito riferimento a “filtri” che le piattaforme dovrebbero introdurre, ma è sdtato rimosso in un secondo momento. Ma la sfida è impraticabile per le piccole o medie aziende e no-profit, le uniche entità esenti sono quelle che hanno un fatturato di meno di dieci milioni annui e meno di cinque milioni di utenti al mese. Numeri che acquistano un significato diverso se si pensa che Google ha detto di aver speso più di cento milioni di dollari per il suo sistema ContentId per il filtraggio dei video su YouTube. Sistema che da quando è in funzione è quotidianamente al centro di polemiche per quanto sia prono ad errori finendo per censurare per errore decine di miglia di video oscurandoli per settimane, o viene usato per ricatti a fini di estorsione. Da qualche tempo infatti si moltiplicano storie di utenti che vengono minacciati con false denunce di violazione di copyright e per paura di veder oscurati i proprio contenuti pagano ingenti mazzette.
Conclusione
Nell’analisi dei due articoli più critici sono evidenti le conseguenze che questo regolamento potrà avere nell’immediato futuro, ma c’è un’analisi complessiva che spesso manca quando si guarda a questo tipo di regolamenti. L’effetto principale non sarà quello voluto dal legislatore, ovvero intervenire nella bilancia economica tra i produttori di contenuti di massa e le piattaforme su cui vengono consumati, ma quello di spingere lo sviluppo e l’accumulazione di tecnologie e saperi tesi al riconoscimento, ricerca e filtraggio di contenuti. Se in un primo momento questi strumenti verranno usati come armi di natura economica il loro ambito di azione potrà essere facilmente cambiato. Spesso richiede uno sforzo enorme il primo sviluppo di una tecnologia, ma nel momento in cui viene inventata verrà usata in tutti i modi possibili. Il passaggio tra copyright e censura di massa si riduce ad una questione di parametri di configurazione della macchina.
L’opposizione contro questo provvedimento è forte, con il sostegno di diversi soggeti come il creatore di Internet Tim Berners-Lee e 70 esperti, accademici, studiosi e la petizione online più partecipata della storia di change.org. Ma il regolamento europeo per il copyright viene approvato con 348 voti favorevoli e 274 contrari. Un margine sufficientemente ampio. Ma prima del voto definitivo è stata richiesta un’altra votazione, questa volta sulla possibilità o meno di discutere ed emendare i singoli articoli del regolamento. La votazione si conclude con 312 favorevoli agli emendamenti e 317 contrari ed è in questo punto della storia che intervengono gli europarlamentari svedesi citati all’inizio dell’articolo. In tredici hanno ammesso di aver sbagliato a votare e che avrebbero voluto sostenere la discussione degli emendamenti, l’errore sarebbe stato causato da un cambiamento dell’ultimo minuto nell’ordine delle votazioni.
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