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Nuovo regolamento AGCOM: ennesimo, reiterato pastrocchio censorio all’italiana

Il processo avviene tramite la piattaforma telematica del portale ddaonline.it messa a punto dalla Fondazione Ugo Bordoni – misconosciuta referente del Ministero dello Sviluppo Economico. Il cui sontuoso appalto di 533.958,88 di euro in tre anni (oltre alle spese dell’authority) si riduce alla predisposizione di un modulo di segnalazione online, in cui qualsiasi “autore” o suo delegato con una casella di posta certificata a disposizione sarebbe titolato a segnalare una violazione. In questo modo non viene peraltro escluso di principio il ricorso alla magistratura ordinaria; ma, ponendolo come esclusivo rispetto alla procedura telematica (potenzialmente molto più veloce ed efficace per il segnalatore), lo renderebbe estremamente oneroso e sconveniente. L’Ufficio diritti digitali della Direzione servizi media di Agcom infatti avvierebbe d’ufficio la procedura di valutazione, della durata di un periodo compreso tra i 12 ed i 35 giorni, con l’oscuramento parziale o completo (automatico quest’ultimo nel caso di pagine su server ubicati all’estero) del sito incriminato a seguire.

Già in passato giuristi come Guido Scorza ed intellettuali come Noam Chomsky si sono espressi contro lo smodato potere che verrebbe ad assumere l’authority: quello di controllo effettivo sul web, per un’agenzia nei fatti di nomina politica (esecutivo e parlamento). Che andrebbe a scavalcare il potere giudiziario (in maniera sgradita a Bruxelles ed alle associazioni dei provider e dei pubblicisti) sanzionando in via amministrativa illeciti già previsti dai codici penale e civile. In maniera parallela alla Turchia di Erdogan, in cui con la legge 5651 viene stabilita la possibilità per la TIB (corrispettiva locale dell’Agcom) di bloccare impunemente l’accesso a qualsiasi sito web – cosa avvenuta in seguito alla condivisione su social network e portali video di materiale compromettente per l’esecutivo.

Il provvedimento presenta infatti diversi punti oscuri. Ad esempio, secondo l’avvocato Fulvio Sarzana, uploaders (chi carica un contenuto coperto da diritto d’autore), gestori dei siti e provider potrebbero non essere avvertiti della procedura di inibizione del sito in oggetto se “non rintracciabili” (con tutta la discrezionalità che porta in sé una simile dicitura).

Non solo, diviene possibile bypassare le normali procedure di notice and take down messe a disposizione dai portali di condivisione online: è pensabile che canali come YouTube o Facebook possano sobbarcarsi gli oneri di rendere operativa la moderazione globale dei propri contenuti, nei tempi e nei termini richiesti da Agcom? Di converso, uno degli aspetti che potrebbero verosimilmente affossare la delibera è rappresentato propriodalle (fumose) modalità della sua implemenzione rispetto alle richieste di soggetti esteri; sia per le risorse da impiegare nella loro analisi che per l’effetto dirompente di stravolgimento del diritto interno ed internazionale. Come Sarzana incalza, con un efficace paragone:

“Immaginiamo per un attimo che le regole stabilite da Agcom valessero nel Paese di Obama. Cioè che l’organo amministrativo Americano permettesse alla corrispondente della SIAE delle Isole Tonga o della Russia, o della Corea del Nord, di ottenere in pochi giorni, senza l’ordine di un giudice Americano o l’avallo del Congresso, un ordine di inibizione  di provider ed operatori statunitensi e, che, in barba al primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti,  ai cittadini a stelle e strisce  fosse impedito l’accesso attraverso un blocco amministrativo a beneficio di soggetti esteri. Il Presidente di un’Autorità amministrativa che facesse una cosa di questo tipo,  non avrebbe nemmeno il tempo di fare gli scatoloni e portarsi via dall’ufficio gli effetti personali. Grazie all’utilità e alla praticità del sistema informatico pensato dalla Fub-Agcom tutti i soggetti esteri che non hanno sedi stabili in Italia, che non pagano le tasse nel nostro Paese e che non portano benefici e lavoro all’Italia, saranno “allegramente” in grado di determinare rimozioni selettive nel nostro Paese o blocchi di siti.”

Insomma, i bachi di questa ennesima sortita delle vecchie lobby dei contenuti (e di loro referenti istituzionali sempre più megalomani e maldestri) nell’annoso conflitto con i nuovi intermediari di rete sono tanti e tali da comprometterne potenzialmente l’operatività. Resta da vedere che posizione prenderà in merito il governo Renzi, al bivio tra il maggiore controllo sulla rete – che, con tutti i limiti di cui sopra, prevede una semplificazione del diritto ed una maggiore discrezionalità in merito dell’esecutivo, in linea con le promesse di quest’ultimo – e le sicure pressioni dei suoi alleati d’oltreoceano e della sinistra liberale, di respiro molto più strategico. E qualora, nonostante tutto, il regolamento andasse avanti, non mancheranno gli adeguati strumenti di cultura digitale popolare – dai filesharing parties alla diffusione delle VPN, dal cambio dei DNS al possibile rifiorire del Peer-to-peer,i cui canali di fatto sono alieni al nuovo regolamento – a rendergli la vita difficile.

 

Vedi anche il commento di Radio Blackout (Nuove tecnologie, vecchie censure) all’avvocato Fulvio Sarzana e l’intervista allo stesso che qui riproduciamo…

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