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Crashing Stocks. La trasformazione cinese arriva ad un punto di svolta

Continuano gli approfondimenti d’infoaut sulla crisi cinese (vedi Finanza, lotte, scontri di potere. La Cina e una complicata transizione e l’analisi di Raffaele Sciortino Crash tutto cinese?). Abbiamo chiesto a uno dei redattori del portale gongchao.org (un interessante progetto d’inchiesta delle/nelle lotte dentro la “Repubblica popolare”) di contestualizzare lo scoppio dell’ultima bolla e di analizzare quali equilibri interni potrebbe eventualmente spostare.

In questi giorni di epidemie di panico e di scoppi di bolle, la borsa cinese sembra un casinò nel quale gli scommettitori fanno il loro gioco sulle tendenze future. Mentre è senza dubbio difficile prevedere gli alti e bassi delle azioni, ci sono ancora interessi e fattori visibili dietro gli sviluppi attuali.

 

L’indice della borsa cinese (basato sul mercato azionario di Shanghai e Shenzhen) è stato volatile per anni ma ha cominciato a crescere in maniera straordinariamente rapida nel novembre del 2014 – anche rispetto agli indici principali di altri paesi. In totale è cresciuto di oltre il 100% in sei mesi, fino a metà giugno. Il 12 giugno 2015 il mercato è crollato. Il governo ha cominciato a comprare grossi quantitativi d’azioni, cancellato le IPO (offerte pubbliche iniziali di quotazione sui mercati finanziari), limitato le vendite allo scoperto, ordinato alle imprese di Stato (state-owned enterprises – SOE) di non vendere azioni e utilizzato altri tipi di misure per fermare la crisi. Dal momento in cui la metà delle azioni sono state ufficialmente ritirate dal mercato e molte delle restanti sono state comprate da agenzie di Stato ci sono stati alcuni effetti. Tuttavia, l’indice è continuato a scendere, e alla fine di agosto, è rimasto di circa il 40% al di sotto dei livelli del 12 giugno – con altri brevi periodi si shock e panico intorno al 27 luglio ed al 24 agosto [1].

 

Settore finanziario

Questi eventi si sono verificati nel quadro di un settore finanziario rimasto più protetto e controllato dallo Stato rispetto a quello di altri paesi capitalisti durante il periodo di riforma capitalista – ossia grosso modo da fine anni ’70 a oggi. Il mercato azionario è stato creato a Shanghai e Shenzhen solo nel 1990-1991, in parte per sostenere la ristrutturazione delle SOE. In ogni caso, la borsa ha giocato un ruolo minore fino ai primi anni 2000 quando il governo ha effettuato più tentativi di  mercificare ulteriormente il settore finanziario al fine di renderlo più adatto all’espansione capitalista. Una grossa bolla finanziaria è scoppiata all’inizio del 2007. Le azioni sono scese dopo le voci sul fatto che il governo avrebbe aumentato il tasso d’interesse di riferimento e rincorso la speculazione con denaro preso a prestito. Ciò nonostante, il settore finanziario è stato ampliato ulteriormente nel quadro delle politiche governative per fare da cuscinetto agli effetti della crisi economica globale cominciata nel 2007 – ad esempio attraverso gli enormi programmi di stimolo economico basati sull’indebitamento. Gli effetti della crisi hanno anche portato all’espansione di un settore bancario “ombra” che è ampiamente al di fuori del controllo del governo ma che gioca un ruolo importante nel business privato. Alla fine del 2013, il governo ha lanciato nuove misure per “liberalizzare” il settore finanziario con la creazione di una nuova free trade zone (zona esentasse) a Shanghai, tentativi di internazionalizzare la valuta renminbi ed un’ulteriore liberalizzazione dei mercati azionari a Shanghai e a Shenzhen.

 

Bolle

La bolla odierna risale a diversi eventi più recenti: Primo, nel 2014 il governo ha allentato le restrizioni sull’acquisto di azioni con denaro preso a prestito (prestito/scambio marginale). Secondo, sono diventati disponibili maggiori quantitativi di moneta “a basso costo” dopo che, il 21 novembre 2014, la banca centrale cinese ha abbassato i tassi (per la prima volta dal 2012) – e da quel momento l’operazione è stata ripetuta più volte. Terzo, i prezzi dell’immobiliare stanno calando dal 2012 – si tratta dell’allentamento della pressione sulla bolla immobiliare cominciato alla metà degli anni 2000 -, quindi nel 2014 tra le classi medie in molti erano pronti ad investire in azioni piuttosto che nel mattone. Quarto, vista la campagna dei media (controllati dallo Stato) per una partecipazione dei privati nel mercato azionario dopo il crash del 2014, i nuovi investitori privati cinesi hanno creduto nel governo, nella sua volontà di sostenere l’aumento del valore delle azioni e nella sua capacità di controllare il mercato, e possedono quindi molte più azioni acquistate con i propri soldi o con soldi presi in prestito. In questo senso la precedente bolla immobiliare è stata in qualche modo rimpiazzata con una bolla azionaria. I primi segni d’instabilità e di una possibile caduta sono apparsi nella primavera del 2015, e persino i media cinesi hanno parlato per mesi di una “bolla”. Ma non è stato prima della metà di giugno – dopo che le misure del governo per restringere i margini di prestito sono state annunciate e che i primi interventi per “salvare il mercato” (jiushi) sono falliti –  che la fiducia è diventata ansia e l’ansia è diventata panico e quindi molti investitori hanno cominciato a vendere a prezzi sempre più bassi.

 

Punto/i di svolta

Il crash della borsa è arrivato nel momento in cui il modello di sviluppo cinese è arrivato ad un punto di svolta, e il caos finanziario riflette i problemi centrali dell’economia e della società nel suo insieme. Il boom fin dall’inizio degli anni ’90 è stato trainato dall’export di beni di consumo prodotti col lavoro migrante “a basso costo”, ma la composizione sociale che era alla base del boom sta cambiando. I settori più dinamici dell’economia cinese – manifattura, costruzioni e servizi – si basano ancora sui circa 280 milioni di lavoratori migranti [2]. Ciò nonostante, la Cina ha ormai raggiunto ciò che è definito come il punto di svolta di Lewis, ciò significa che il surplus di manodopera rurale  – la fonte delle migrazioni – sta arrivando alla fine. Tutte le caratteristiche del periodo della crescita – crescita economica rapida, disuguaglianze in aumento, alti livelli di risparmio e investimento, forte surplus nella bilancia commerciale – sono stati legati all’offerta di lavoro migrante “a basso costo”, ma ormai osserviamo una crescita più lenta, meno investimenti, surplus commerciale più contenuto e domande di aumenti salariali generalizzate (il che ha un effetto sulle disuguaglianze di reddito).

 

Il meccanismo dei lavoratori migranti “a basso costo” che riempiono le fabbriche dell’export, i cantieri e i servizi urbani ma che ritornano in campagna nei periodi di crisi e disoccupazione  –come è successo nel 1997/1998 e nel 2008/2009 – sta cambiando e potrebbe anche sparire. L’urbanizzazione è rallentata perché meno persone lasciano le campagne e le differenze di salario tra città e campagna sembrano diminuire. Ufficialmente, il 48% della popolazione vive ancora in campagna, ma gli osservatori stimano che solo il 20% della forza di lavoro è ancora impiegata nell’agricoltura – la maggior parte dei quali sono persone di mezza età o ancora più anziani [3]. Per di più, la popolazione nel suo insieme sta diventato più vecchia, un effetto della politica “del figlio unico” iniziata all’inizio degli anni ’80, e quindi ogni anno sempre meno persone entrano nel mercato del lavoro. Tutto ciò ha portato a un aumento di carenza di manodopera in alcune regioni, fenomeno che è iniziato circa 10 anni fa. I migranti di seconda o terza generazione non vogliono tornare in campagna, danno voce alle loro richieste di migliori condizioni di vita, hanno maggiori esperienze nell’organizzarsi e lottare e dalla metà degli anni 2000 sono stati capaci di usare la carenza di manodopera (ed i tentativi del governo di aumentare il consumo domestico come parte di un ribilanciamento economico) per spingere con successo i salari verso l’alto. Mentre il modello di lavoro a poco prezzo non è sparito in Cina, esso si trova sicuramente sotto pressione “dal basso” da parte di lavoratori migranti con un maggiore potere [4].

 

Nel frattempo, il governo del Partito comunista cinese (PCC) vuole stabilizzare il proprio  regime, assicurare ulteriore crescita e mantenere i lavoratori sotto controllo – anche se ciò implica concessioni materiali. Perciò, esso ha attivamente promosso il passaggio da un’economia basata principalmente su lavoro a basso costo, manifatture esternalizzate ed esportazioni ad una trainata da produzione ad alta tecnologia (upgrading, “Industry 4.0”) e un grosso mercato interno che diminuisca la dipendenza dalle esportazioni (ribilanciamento). Questi tentativi risalgono agli anni 2000, si sono intensificati nel corso del 12° piano quinquennale (2010-2015) e saranno probabilmente il tema principale del 13° piano (2016-2020) sul quale sta attualmente lavorando il PCC.

 

La crisi, dopo il 2007/2008, ha accelerato questo processo di ristrutturazione, ma ha anche prodotto nuovi problemi. Ha portato al collasso delle esportazioni cinesi di beni di consumo e il governo cinese ha predisposto enormi programmi di stimolo dell’economia. Le esportazioni, ossia il profitto generato dalla vendita di beni ad attori economici in altri paesi, sono ancora un fattore importante ma non sono più la principale forza trainante. Quel ruolo è ormai stato rilevato dagli investimenti statali nelle infrastrutture e dagli investimenti nell’immobiliare – basati sul credito e, perciò, che portano a crisi del debito.

 

Distorsioni

Le lotte sociali, gli sforzi di ristrutturazione, gli effetti delle crisi globali – incluse quelle in Europa e in paesi in via di sviluppo come il Brasile o la Russia – e i problemi dell’economia interna hanno portato a una serie di cambiamenti e di distorsioni. Dopo due decenni in cui la crescita del PIL è stata in media del 10% annuo, la crescita economica è rallentata a circa il sei o sette percento – ufficialmente definita come la “nuova normalità” (xin changtai) dal governo del PCC [5]. Allo stesso tempo, il consumo interno è rimasto cronicamente basso (nonostante gli aumenti dei salari), come d’altronde gli investimenti privati. Recentemente, le esportazioni stanno stagnando o addirittura diminuendo. Ciò è dovuto in parte all’euro debole e al renminbi forte, e infatti nel tentativo di aumentare le esportazioni la Cina ha iniziato a svalutare la sua moneta l’11 agosto scorso. Tuttavia, i salari in aumento hanno anche aumentato il costo del lavoro – ciò significa che la Cina ha perso forza competitiva, il che ha ulteriormente ostacolato le esportazioni. Alcuni complessi industriali sono stati rilocalizzati nelle province dell’entroterra con salari più bassi, alcune industrie labor-intensive persino in altri paesi. In generale, i profitti del settore industriale sono scesi [6], mentre diversi settori soffrono di sovraccapacità dovuta ai grossi investimenti recenti. Ultimo dato, ma non meno importante, il debito totale è cresciuto dal 153% del PIL nel 2008 al 282% di oggi [7], incluse le SOE, fortemente indebitate. Dopotutto, il governo vuole che la classe media investa in azioni perché vuole accedere a questi immensi risparmi [8] e avere così la possibilità di usare quei soldi per trasfusioni finanziarie, per esempio per le SOE indebitate, i fondi pensione insufficienti e le assicurazioni sanitarie statali – e, quindi, si sobbarca il rischio di creare bolle azionarie.

 

Effetti

Bisogna aspettare e vedere se il governo del PCC sarà in grado di scaricare (ulteriormente) la tensione dei mercati finanziari in maniera controllata. Comunque, l’impatto economico generale del crash attuale potrebbe essere più limitato di ciò che i resoconti di panico sui mercati lascino supporre. Molti osservatori dubitano che il crash e i suoi effetti influiranno seriamente sulla posizione della Cina nell’economia mondiale o fermeranno i processi di ristrutturazione dell’economia “reale”. I mercati finanziari cinesi non sono ancora completamente “globalizzati” ma in qualche modo protetti, e il governo sta controllando saldamente le attività degli investitori stranieri, mantenendo la valuta renminbi non completamente convertibile, etc. Ciò dà ancora al governo del PCC un controllo maggiore sulla crisi rispetto ad altri paesi. In più, il mercato azionario cinese è piuttosto piccolo rispetto a quello statunitense o europeo. Le aziende cinesi sono finanziate più attraverso le banche (controllate dallo Stato) che attraverso il mercato finanziario – e il numero d’imprese quotate in borsa è piuttosto piccolo. Ultimo dato, ma non meno importante, una gran parte (85%) delle azioni è posseduta da circa 90 milioni di piccoli investitori (privati) – la maggior parte dei quali ha iniziato ad investire solo negli ultimi due anni. Ciò significa che meno del 10% delle famiglie cinesi ha un portfolio azionario (USA: 55%), e investono solo una piccola parte dei loro soldi in azioni (circa il 15%) [9].

 

Detto ciò, ovviamente il crash ha degli effetti sul (funzionamento del) mercato finanziario. I mercati azionari cinesi sono diventati una specie di mercato azionario “zombie” perché il governo pompa soldi per tenerli in vita ma essi sono in qualche modo morti, nel senso che hanno ampiamente smesso di funzionare come mercati. Come risultato di ciò, molti investitori stranieri hanno ritirato i capitali, e non è chiaro come il governo del PCC possa riguadagnare la fiducia degli investitori che vogliono speculare su un vero mercato azionario.

 

L’impatto politico potrebbe invece essere maggiore. Alcuni osservatori suggeriscono che la posizione di alcuni “riformisti” nel PCC, i quali sostengono una maggiore espansione dei meccanismi di mercato e di liberalizzazione potrebbe risultare indebolita e la posizione dei “conservatori” che difendono un ruolo forte dello Stato e delle SOE potrebbe rafforzarsi. Comunque, la leadership del PCC nel suo insieme non è opposta a maggiori liberalizzazioni, e la resistenza in seno al partito è stata spazzata via con le campagne anti-corruzione, intensificate di recente.

 

Più impressionante è il fatto che la maggior parte dei nuovi investitori privati vengano dalle classe medie – professionisti, impiegati statali o imprenditori che hanno investito i soldi risparmiati per l’educazione dei figli, o pensionati che hanno messo a repentaglio i propri risparmi, ecc. Questa classe media ha beneficiato dei due decenni di boom e, perciò, ha sostenuto il PCC sin dagli anni ’90. Ora il PCC potrebbe perdere legittimità, visti i crescenti dubbi circa la sua capacità di controllare l’economia o, più precisamente, circa la sua capacità di creare opportunità per la classe media di accumulare ulteriore ricchezza. In più, una parte della classe media è già poco contenta dell’intensificazione della campagna anti-corruzione che disturba le transizioni commerciali e crea una paralisi tra i funzionari del governo, vista la loro paura di purghe. Per ora, non solo più di cento quadri di livello provinciale o superiore sono stati puniti, ma anche centinaia di migliaia di piccoli quadri, i quali rappresentano un pilastro importante del dominio del PCC [10]. Sia gli effetti del crash del mercato azionario che gli effetti della campagna anti-corruzione – come d’altronde lo scontato abisso di corruzione e di dilettantismo delle autorità illustrato dall’esplosione di sostanze chimiche nel porto di Tianjin il 12 agosto scorso – potrebbero indebolire la posizione dell’attuale leadership del PCC sotto Xi Jinping.

Ralf Ruckus (gongchao.org) per infoaut, settembre 2015


[1] Nonostante la caduta, l’indice della borsa cinese è ancora considerabilmente più alto (circa del 45%) rispetto alla fine del mese di agosto 2014. Per lo sviluppo del mercato azionario cinese vedi per esempio : http://www.bloomberg.com/quote/SHSZ300:IND

[2] La Cina ha un complesso sistema per controllare e restringere le migrazioni interne tra città e campagna. Ampiamente disatteso, l’hoku pone comunque i lavoratori migranti in situazione di ricattabilità e di accesso limitato ai servizi (NdT)

[4] Il governo ha reagito con un incremento della repressione contro gli scioperanti e gli attivisti, le ONG che si occupano di lavoro e ambiente, le attiviste femministe ma anche gli avvocati dei « diritti civili »

[5] Sulla « nuova normalità » vedi, per esempio : http://en.people.cn/n/2014/1110/c90883-8807112.html

[8] Il tasso di risparmio della Cina è il più alto del mondo (oltre il 50%) ; la media mondiale è del 20% ; vedi, per esempio: http://en.people.cn/90778/8040481.html

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