Estrazione mineraria negli altri mondi, la fase superiore dell’estrattivismo
di Peter Bloom*, Alberto Acosta** da ECOR Network
“Il problema con l’imperialismo extraterrestre è che aumenterà le disuguaglianze economiche tra le nazioni della Terra dando un accesso ineguale a quella che alla fine può essere una quantità significativa di risorse”.
(Alan Marshall) 3
La ricerca delle risorse naturali non si ferma. Al contrario, nel bel mezzo della pandemia, sono cresciute le pressioni estrattive. E mentre i limiti fisici appaiono con crescente chiarezza e le resistenze sociali si moltiplicano, favorendo la costruzione di indispensabili barriere ambientali, il capitalismo alza lo sguardo fuori dall’atmosfera. Nel mirino ci sono le risorse minerarie esistenti nello spazio. Nel tentativo di incoraggiare la discussione su questo tema, che meriterà approfondimenti e dibattiti più ampi, ci chiediamo perché vogliamo più minerali sulla Terra? Chi trarrà davvero vantaggio da questa offerta? Come risultato di questo estrattivismo siderale, creeremo un mondo più giusto e sostenibile? La possibilità di ottenere risorse nello spazio aprirà le porte a una gestione più responsabile delle risorse sulla Terra?
Conquista, colonizzazione e imperialismo, nella matrice degli estrattivismi
Rosa Luxemburg, nota economista tedesca di origine polacca, ancora in piena espansione imperialista, affermava che il capitalismo non potrebbe sopravvivere senza economie “non capitaliste”, cioè senza colonie da conquistare a fini di sfruttamento. Nel suo libro “L’accumulazione del capitale” (1913) 4, evidenziò come il sistema capitalista fosse geograficamente vincolato all’interno del pianeta, il che incoraggiava e incoraggiava conflitti di ogni tipo, al fine di garantire il controllo dei territori e della loro ricchezza naturale. Decenni dopo, l’imperialismo classico avanzò, elevando la ricerca dello “sviluppo” ad un’altra fase di espansione neoimperialista, in cui il controllo dei territori e delle loro risorse, compreso il lavoro, si ottenesse con mezzi più subdoli, ad esempio attraverso investimenti esteri o successivamente attraverso accordi di libero scambio.
Quando la Luxemburg pubblicò quel libro, l’Umanità era lungi dall’anticipare una serie di progressi tecnologici e altre azioni, specialmente nella sfera finanziaria, che sono andate ampliando le frontiere dello sfruttamento del capitale. Il sociologo e filosofo Zygmunt Bauman (2012), descrivendo ciò che sta accadendo oggi, ha allargato l’orizzonte di Rosa. Bene, come possiamo vedere oggi, il capitalismo ha sempre più difficoltà a trovare territori presumibilmente vergini o vacanti dove non è presente, e quindi ha cercato di espandere la sua orbita di influenza ad altre aree. Così Bauman osserva che:
“le terre premoderne dei continenti esotici non erano gli unici “anfitrioni” possibili di cui il capitalismo poteva nutrirsi per prolungare la sua vita e avviare successivi cicli di prosperità. Da allora il capitalismo ha rivelato la sua incredibile ingegnosità nel cercare e trovare nuove specie di anfitrioni ogni volta che le specie precedentemente sfruttate si indebolivano. Una volta annesse tutte le terre vergini “precapitaliste”, il capitalismo ha inventato la “verginità secondaria”.“5
Qui Bauman fa riferimento a quei nuovi spazi creati affinchéil capitalismo finanziario continuasse ad accumulare, come i fondi pensione e le carte di credito. Bauman ci ricorda che negli ultimi anni abbiamo visto come milioni di persone che “si dedicavano al risparmio invece di vivere a credito furono astutamente trasformate in uno di questi territori vergini non ancora sfruttati”.
E se ciò accade in finanza, vediamo anche come il capitalismo espanda sempre più la commercializzazione di molte aree della Natura, incorporando i mercati del carbonio 6 e i servizi ambientali nella sua logica di accumulazione, che in questo momento costituiscono una delle più recenti frontiere di espansione per sostenere l’accumulazione di capitale. In altre parole, si porta la conservazione delle foreste sul terreno degli affari. L’aria, l’acqua e la stessa Terra sono mercificate e privatizzate.
Nello specifico, oltre allo sfruttamento del lavoro, la Natura, le risorse naturali e ultimamente i servizi ambientali, convertiti in merce, consentono di accelerare il passo sulla via del progresso – padre dello sviluppo -, caratterizzato dalla sua versione materialistica e cumulativa senza fine. Così che, come nota José Manuel Naredo, «la metafora della produzione (e l’obiettivo indiscusso della crescita) è alla base della visione lineare della storia governata dal progresso».7 E, in questo scenario ideologico, l’estrattivismo è assunto come produzione – cosa che non è – e come fonte fondamentale di finanziamento per raggiungere quegli obiettivi. Negarlo chiuderebbe le porte del progresso e dello “sviluppo”, secondo questa visione tutt’ora abbastanza diffusa.
L’erosione dello spazio come bene comune
Quando Rosa Luxemburg scrisse il suo libro, non era accettato come possibile che gli esseri umani potessero andare oltre i limiti del pianeta, tranne – di certo – in alcune menti brillanti, come quella di Jules Verne, che pubblicò la sua famosa opera nel 1865, Dalla Terra alla Luna.8 Ora, dopo più di 100 anni, i progressi scientifici, così come la crescente avidità nel capitalismo, sono evidenti. Diamo un’occhiata agli sforzi di alcune potenze per accedere allo spazio, un’impresa iniziata negli anni ’50 quando gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, nel bel mezzo della Guerra Fredda, si lanciarono nella corsa allo spazio.
Ora il capitalismo, dimostrando la sua stupefacente e perversa ingegnosità nel cercare e trovare nuovi spazi di sfruttamento, in un rinnovato sforzo espansionistico, si appresta ad ottenere risorse minerarie al di fuori dei confini del nostro pianeta e addirittura a creare nuove colonie extraterrestri. Potremmo affermare che la logica mercantile del capitalismo ha messo gli occhi sull’Universo, nel tentativo di neoliberalizzarlo.
La visione estrattivista inizia a puntare allo spazio, nella misura in cui diminuiscono le possibilità di sfruttamento sulla Terra dei giacimenti minerari o che il loro accesso è sempre più problematico, a causa delle limitazioni tecnologiche o ambientali, a cui sarebbe necessario aggiungere le resistenze sociali in crescita. Lo spazio rappresenta una sorta di terra nullius 9 dove chi arriva per primo si assume come sovrano di quei territori e prende ciò che può. In questo modo si garantirebbe – come in altri tempi – nuove possibilità di accumulazione del capitale al di fuori della Terra stessa e, quindi, un meccanismo per evitare la stagnazione dello stesso sistema capitalistico a causa delle crisi di sovraaccumulazione.10
Uno strumento utile per comprendere questa evoluzione delle modalità e delle strategie di accumulazione è lo ‘spacial fix’, un concetto sviluppato dal geografo David Harvey. Per questo autore, il termine ‘spacial fix’ si riferisce al processo in cui “l’accumulazione di capitale costruisce una geografia a misura dei suoi bisogni e che, nei momenti di crisi sistemica, il capitale sposta, senza mai risolvere, le sue contraddizioni attraverso questo processo di costruzione dello spazio”. 11 Questa è una strategia per alleviare la minaccia della sovra-accumulazione e della stagnazione spostando il capitale o la manodopera in un territorio diverso. In questo caso letteralmente allo spazio… siderale.
Approfittando dell’enorme investimento, soprattutto statale, nello sviluppo di nuove tecnologie spaziali, che servono anche ad assorbire il capitale in eccesso, sono emerse con forza molte possibilità di accumulazione attraverso innumerevoli innovazioni tecnologiche e servizi di comunicazione nello spazio, a cui si aggiungerebbe lo sfruttamento dei giacimenti minerari e la colonizzazione dei pianeti.12
L’esplorazione spaziale – nota come corsa o conquista dello spazio – dalle sue origini, con il satellite sovietico Sputnik nel 1957, ad oggi – salvo eccezioni – è avvenuta in termini relativamente pacifici, anche collaborativi tra Stati Uniti e Unione Sovietica. Fin dall’inizio, questo trambusto spaziale fu caratterizzato da una sorta di pacifismo concordato tra le grandi potenze nonostante il contesto della già citata Guerra Fredda. Questo sforzo fu ratificato nel 1967 con il Trattato sullo Spazio Esteriore, che proibisce di collocare armamento, nonché l’appropriazione nazionale o privata di oggetti, territori o risorse celesti, poiché sono considerati patrimonio comune dell’Umanità.13
Ma al momento, tutto indica che:
“Il comunismo nello spazio era una possibilità solo finché lo spazio era materialmente inaccessibile all’umanità capitalista: quando lo spazio diventa un possibile luogo di affari redditizi, il proto-comunismo del Trattato sullo Spazio Esterno deve vacillare e scomparire”. 14
La militarizzazione dello spazio
Negli ultimi decenni, mentre la nostra capacità di esplorare oltre il nostro pianeta si è evoluta, gli interessi commerciali e di sicurezza nazionale convergono anche nello spazio siderale al punto che oggi sono quasi indistinguibili. Negli Stati Uniti, ad esempio, società di lancio spaziale private come SpaceX e United Launch Alliance beneficiano di enormi contratti governativi e ora forniscono la maggior parte della capacità di lancio di razzi statunitensi, sia per missioni scientifiche che militari. Sebbene gli stretti legami tra l’industria della difesa e quella aerospaziale non siano una novità, siamo in una fase decisamente nuova di questo rapporto a causa dei progressi tecnologici, delle nuove priorità politiche e dell’ascesa di attori privati.
Ci sono molte prove di ciò, sia nei fatti che nelle dichiarazioni politiche. Ad esempio, nel 2020, l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump firmò un ordine esecutivo chiamato Fostering International Support for the Recovery and Use of Space Resources 15. In questo ordine proclamava che gli Stati Uniti “non considerano lo spazio esterno una proprietà comune” e descrisse il Trattato sulla Luna del 1979 (mai ratificato dagli Stati Uniti) come “un tentativo fallito di limitare la libera impresa”. Durante l’amministrazione Trump, gli Stati Uniti hanno compiuto un ulteriore passo avanti nella vera conquista dello spazio creando un nuovo comando militare: la Space Force.
È necessario comprendere meglio i profondi legami delle nuove compagnie spaziali con i progetti egemonici degli stati più potenti sullo spazio. Recentemente, in cambio di 28 milioni di dollari, Starlink di SpaceX ha fornito i servizi dei suoi satelliti per dimostrazioni di fuoco reale (live-fire demo) dell’aeronautica statunitense per testare il suo Advanced Battle Management System e gettare le basi di un Internet destinato alle attività militari.16 I collegamenti di SpaceX con il complesso militare-industriale sono stati chiariti nei commenti del presidente di quella società, Gwynne Shotwell, che dichiarò nel 2018 che la sua azienda sarebbe stata disposta a lanciare un’arma spaziale per proteggere gli Stati Uniti, contravvenendo ai trattati spaziali esistenti.17 Nel 2020, SpaceX ha firmato un contratto con il Pentagono per sviluppare congiuntamente un razzo in grado di trasportare fino a 80 tonnellate di merci e armi in qualsiasi parte del mondo in una sola ora.18
Lo spazio ha avuto e ha tuttora un’importanza geostrategica militare. I centinaia di satelliti militari in orbita servono a controllare la Terra, avendo nello spazio un luogo privilegiato di osservazione. Tuttavia, attualmente si sta compiendo un ulteriore passo, si sta dando un passo ulteriore verso la militarizzazione dello spazio siderale stesso per controllarlo.
(1. Continua)
Traduzione Giorgio Tinelli
NOTE:
[*] Peter Bloom: attivista americano residente in Messico. È fondatore e coordinatore generale di Rhizomatica, un gruppo dedicato a reimmaginare le nuove tecnologie in contesti comunitari. Ricercatore presso il Centro di ricerca sulle tecnologie e la conoscenza della comunità (CITSAC).
[**] Alberto Acosta: economista ecuadoriano. Compagno di lotte dei movimenti sociali. Professore universitario. Ministro dell’energia e delle miniere (2007). Presidente dell’Assemblea Costituente (2007-2008). Autore di diversi libri.
[3] Cfr. Alan Marshall (1995); “Development and imperialism in space. Space Policy”, 1995 11(1) 41-52. Elsevier Scicne Limited. UK.
[4] Versione spagnola disponibile su https://www.marxists.org/espanol/luxem/1913/1913-lal-acumulacion-del-capital.pdf
[5] Si veda l’articolo Zygmunt Bauman (2012); “El capitalismo como sistema parásito”, disponibile su https://ssociologos.com/2012/09/14/zygmunt-bauman-del-capitalismo-como-sistema-parasito/
[6] Cfr. Larry Lohman (2012); Mercados de carbono – La neoliberalización del clima, editores Alberto Acosta y Esperanza Martínez, serie Debate Constituyente, Abya–Yala, Quito, disponibile su https://www.accionecologica.org/mercados-de-carbono-la-neoliberalizacion-del-clima/
[7] Cfr. José Manuel Naredo (2018); “La ideología económica en la historia y el medio ambiente – Claves para un cambio de paradigma”, disponibile su http://elrincondenaredo.org/wp-content/uploads/2018/09/LA-IDEOLOG%C3%8DA-ECON%C3%93MICA-EN-LA-HISTORIA-Y-EL-MEDIO-AMBIENTEcor.pdf.
[8] Libro disponibile su https://www.ellibrototal.com/ltotal/ficha.jsp?idLibro=6116
[9] Espressione latina che tanto era usata ai tempi dell’imperialismo classico e che serviva a nominare i territori che si stavano conquistando, ignorando anche brutalmente l’esistenza dei popoli originari. Una realtà che è ancora valida quando si allargano i confini dell’estrattivismo.
[10] A volte il caos della concorrenza spinge affinché i capitalisti accumulino capitale e incrementino la produzione oltre le capacità di consumo dei mercati (soprattutto se i salari sono bassi). Quando questa tendenza diventa generale, l’eccesso di accumulo provoca crisi dovute a squilibri nei settori produttivi e a una contrazione dei loro tassi di profitto. E se i tassi di profitto scendono al di sotto di un livello “adeguato” per i capitalisti, essi disperdono il loro capitale nella produzione (e possono spostarlo verso la speculazione), che può generare nuove crisi e accentuare quelle esistenti. Ecco dunque una delle cause delle crisi cicliche del capitalismo.
[11] Vedi l’articolo di Isidro López (2014), David Harvey: “La conquista del espacio”, disponibile su https://www.diagonalperiodico.net/global/24951-david-harvey-la-conquista-del-espacio.html
[12] Cfr. in Victor L. Shammas, Tomas B. Holen (2018); “One giant leap for capitalist kind: private enterprise in outer space”, disponibile su https://www.nature.com/articles/s41599-019-0218-9
[13] Qui vale la pena menzionare i “Tratados y Principios de las Naciones Unidas sobre el Espacio Ultraterrestre” (2002), disponibile su https://www.unoosa.org/pdf/publications/STSPACE11S.pdf
[14] Cfr. Victor L. Shammas, Tomas B. Holen (2018); “One giant leap for capitalistkind: private enterprise in outer space”, disponibile su https://www.nature.com/articles/s41599-019-0218-9
[15] Vedi https://trumpwhitehouse.archives.gov/presidential-actions/executive-order-encouraging-international-support-recovery-use-space-resources/
[16] https://www.investors.com/news/spacex-starlink-impressioned-air-force-in-big-live-fire-exercise/
[17] https://spacenews.com/spacex-president-gwynne-shotwell-we-would-launch-a-weapon-to-defend-the-u-s/
[18] https://observer.com/2020/10/elon-musk-spacex-military-rocket-contract-deliver-weapons/
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