Giulio Regeni: mandanti, colpevoli, complici
Negli ultimi due mesi del 2015, in Egitto ci sono stati circa 340 sparizioni forzate. In media, tre persone ogni giorno vengono prelevate da membri dei servizi segreti e delle forze dell’ordine egiziane per essere portati in diverse zone del paese dove subiscono torture, stupri e violenze. Il governo, denunciavano a fine anno alcuni attivisti, ha dato carta bianca agli ufficiali per gestire come meglio credono “le minacce alla sicurezza nazionale”, mentre i media locali passano sotto silenzio i rapimenti di Stato.
Il 25 gennaio Giulio Regeni esce di casa per andare a prendere la metro. Il giovane studente italiano si trova al Cairo per un dottorato e collabora occasionalmente con Il Manifesto. Quella sera scompare, i suoi amici lo cercano senza successo. Parte una campagna per ritrovarlo, vengono interrogate le autorità che, come sempre, dichiarano di non sapere dove si trovino le persone sparite.
Martedì, a una settimana dalla scomparsa di Giulio, il ministro dello Sviluppo economico italiano, Federica Guidi, atterra al Cairo alla testa di una delegazione di 60 aziende e dei rappresentanti di Sace, Simest e Confindustria per uno di quei numerosi viaggi d’affari travestiti da missioni diplomatiche in cui rappresentanti di governo sono inviati a fare i valletti del grande capitale italiano. Il Ministro si intrattiene amabilmente con il presidente egiziano Abdel Fatah al Sisi in persona che rivolge un accorato appello ad investire nel paese, vantando la possibilità d’interessanti profitti per le aziende nostrane grazie all’apertura di sei nuovi porti lungo il canale di Suez. L’Italia ha scambi con l’Egitto per quattro miliardi di euro, la visita di Guidi serve a preparare l’atteso vertice inter-governativo tra i due paesi programmata tra qualche settimana durante il quale Renzi e il presidente egiziano firmeranno nuovi accordi commerciali per la gioia dei capitani d’industria di entrambe le coste del mediterraneo.
Ieri, mentre il Ministro Guidi stringeva mani a notabili e uomini di affari egiziani, la scoperta del corpo di Giulio Regeni. Le autorità egiziane parlano inizialmente di un incidente d’auto ma la realtà è un’altra: morto ammazzato e, sembra ormai certo, atrocemente torturato dai suoi rapitori.
Nel pomeriggio c’è la chiamata di rito tra il presidente Renzi e Al Sisi. Condoglianze e le rassicurazioni sull’imparzialità indagini, ovviamente. Ma la Presidenza dei ministri egiziana, forse talmente abituata a certi episodi da evitare con candore ipocrisie che sono d’obbligo alle nostre latitudini, ci ha tenuto a precisare con un comunicato stampa che ci sono anche state reciproche garanzie dell’assoluta necessità di continuare l’integrazione economica tra i due paesi e la coordinazione in materia di sicurezza. La guerra in Libia è alle porte, i contratti sono pronti, non ci facciamo distrarre.
Non c’è nessun mistero intorno alla morte di Giulio.
C’è un paese che a cinque anni dall’insurrezione di piazza Tahrir ha sdoganato le esecuzioni extra-giudiziarie di militanti, giornalisti e dissidenti con il beneplacito di un Occidente pronto a sostenere le rivoluzioni solo quando si concretizzano in rapidi e lucrosi regime change. Un paese con cui l’Italia ha sempre intrattenuto proficui rapporti, da Mubarak ad Al Sisi, dimostrando che la puzza di sangue non sarà mai abbastanza importante da coprire l’odore dei soldi.
Verità e giustizia, certo, perché vogliamo sapere esattamente come, perché e per mano di chi è morto Giulio Regeni. Ma che i Gentiloni, i Renzi, ci risparmino la loro ipocrisia.
Ancora una volta, sono i loro affari che fanno i nostri morti.
Ciao Giulio, che la terra ti sia lieve.
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