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Regeni: chi sa, chi mente, chi è complice

Due novità aggiornano nelle ultime ore gli sviluppi sul caso Regeni.

Un articolo del New York Times pubblicato ieri conferma che il dipartimento di Stato americano informò il governo italiano che dietro la morte di Giulio Regeni c’erano i servizi segreti egiziani con alti esponenti dell’entourage di Al-Sisi coinvolti. Gli americani non rivelarono le fonti né i dettagli delle figure coinvolte per non bruciare gli informatori. Renzi tacque la notizia e non approfondì la pista. La seconda novità riguarda l’annuncio dato, sempre nella giornata di ieri, dalla Farnesina dell’invio di un nuovo ambasciatore, Giampaolo Cantini, al Cairo. Per la famiglia di Giulio è il segnale di una resa. Il predecessore di Cantini, Massari, venne richiamato a Roma l’8 aprile 2016 per esercitare pressione verso le autorità egiziane in riferimento alle indagini sul caso Regeni. La tempesta è passata, la normalità delle relazioni diplomatiche, commerciali e di potere, ovvero quella normalità che ha ucciso Giulio Regeni, va ristabilita.

In un’intervista sul Corriere della Sera del 4 giugno Minniti già preannunciava il riavvicinamento diplomatico con l’Egitto per affrontare l’emergenza migranti. La sopravvivenza del governo italiano, costruita tutta sulla muscolarità poliziesca della guerra in mezzo al Mediterraneo, può ben passare sopra il cadavere di Regeni. E poi, oltre a quella sui migranti, altre partite si giocano… prima di tutto quella relativa agli interessi di Eni nel paese nord africano. La verità sulla morte di Giulio Regeni è ormai chiara: la sua era una presenza scomoda e per le autorità egiziane era meglio sbarazzarsi di chi ficcava troppo il naso nei movimenti post-rivoluzionari dell’Egitto di Al-Sisi. Ma fu una morte scomoda perché svelava il compromesso della politica con gli assassini di ogni risma. La credibilità del carnefice andava ristabilita nel ruolo dell’interlocutore politico, seguendo le etichette della diplomazia e dei solenni impegni per affermare la giustizia dei tribunali. La mobilitazione doveva essere totale, da una sponda all’altra del Mediterraneo, avrebbe dovuto coinvolgere l’intera stratificazione del potere: dal regime della parola a quello del comando la menzogna andava costruita con cura e ad arte per sopprimere la verità. Se c’è una novità reale nel caso Regeni nelle ultime ore, qualcosa che prima non si sapeva, qualcosa che non confermasse che il Governo italiano sapeva delle responsabilità degli alti funzionari egiziani nella morte di Giulio Regeni, riguarda proprio il modo in cui le autorità italiane hanno scelto di non sapere, di non andare a fondo e di costruire un’altra verità. Declan Walsh, nell’articolo del New York Times, rivela infatti come fossero stati gli stessi servizi segreti italiani, poche settimane dopo la morte di Regeni, ad organizzare l’intervista di Calabresi con Al-Sisi su Repubblica. Troppi sospetti. Il Colonnello andava riabilitato.

A un anno e mezzo dall’assassinio feroce del giovane studioso italiano non si hanno colpevoli, si conosce la verità, nessuno la rispetta, tutti la tradiscono.
In quanto scrisse in un deplorevole corsivo sul Corriere Sergio Romano pochi giorni dopo il ritrovamento del corpo del ricercatore resta comunque una traccia autentica di questa vicenda: “non si saprà mai cosa è successo a Giulio Regeni”. Non si saprà mai finché regge e viene riprodotto l’ordine che occulta la verità, quello a cui concorreva la stessa penna di Romano invitando alla rassegnazione, perché la verità ha un prezzo: affermarla significa sovvertire l’ordine che organizza la menzogna e la rende accettabile… come unico mondo veritiero. La menzogna delle promesse di autorità in grado di denunciare i propri crimini compromettendo i propri interessi, la menzogna delle promesse di governi capaci di ristabilire sullo sfruttamento un ordine più giusto. Giulio Regeni ha sfidato quell’ordine morendo per la verità. Ma questo non è un destino fatale: chi vive rinnova la sua ricerca e accetta di correre il rischio pur strappare quel velo insopportabile. Non c’è fiducia nelle missioni giudiziarie italiane ed egiziane. I mandanti e giudici sono gli stessi. Loro sanno, loro mentono, loro sono complici.

 

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