Il gioco (geopolitico) delle tre carte
Appena il volo MH17 è caduto a terra, il governo di Petro Poroshenko (il “re del cioccolato” ucraino) stava accusando le milizie pro russe e il suo pari russo Vladimir Putin di aver lanciato il missile che lo ha abbattuto, senza presentare prove. Quasi immediatamente, la Casa Bianca la ha fatta propria, assicurando che si trattava di un missile Buk che è stato consegnato dalla Russia ai ribelli che controllano la zona. Dapprima il governo russo si è smarcato dai fatti e successivamente ha presentato la propria versione, comunicando che il missile letale era partito da un aereo ucraino SU-25 che volava insieme al Being 777 sinistrato. Poroshenko è andato più lontano: “Sono sicuro che il mondo sia diviso in due: da un lato, quasi tutto il mondo, che condanna risolutamente i terroristi, e, dall’altro, gli stessi terroristi. E ora ciascuna persona deve decidere in che campo stare, così in modo semplice” (La Jornada, México, martedì 22).
In un clima di linciaggio è difficile dare retta a ragioni e spiegazioni. A chi credere? All’oligarca ucraino alleato senza condizioni di Washington? Al presidente russo che ha dato abbondanti prove di autoritarismo? Alla Casa Bianca, che ha una nera storia che include evidenti menzogne come le “armi di distruzione di massa” nelle mani di Saddam Hussein?
Ciò che si può affermare è che un aereo passeggeri è stato abbattuto da un missile, uccidendo 298 persone; che il chiarimento dei fatti tarderà per un certo tempo e che, probabilmente, mai si saprà ciò che è avvenuto; che gli Stati Uniti sono impegnati ad isolare la Russia dall’Unione Europea, per la qual cosa hanno promosso un riuscito colpo di stato in Ucraina; che la Russia è impegnata a proseguire il suo avvicinamento all’Unione Europea, ma in particolare con la Germania, per cui deve muoversi con cautela. Insomma, giochi geopolitici.
In casi come questo, la verità è la seconda vittima (dopo quelle di carne ed ossa), mentre il “diritto internazionale” viene applicato solo ai paesi deboli, giacché i grandi lo usano appena come perizoma dei propri interessi. Per orientarsi in un simile scenario, nel quale abbondano gli indizi manipolati e le falsificazioni, bisogna sia fissarsi sui precedenti che sulle letture marginali di fonti poco sospette.
Precedenti
In questi giorni i media hanno ricordato diverse tragedie provocate da attacchi militari ad aerei civili, nelle quali sono coinvolte le due principali potenze, ma anche Israele, Italia e la stessa Ucraina. In alcuni casi sono stati errori, in altri c’è stata intenzionalità, e in altri c’è stato l’intervento di gruppi irregolari. Uno dei casi più clamorosi fu la caduta del volo 455 della Cubana, il 6 ottobre 1976, per lo scoppio di due bombe collocate da esiliati cubani a Miami con l’aiuto della CIA. Non ebbe conseguenze per gli autori.
Uno dei casi che ha suscitato più polemiche avvenne 24 anni fa nell’ambito della guerra tra Iran e Iraq, quando Saddam Hussein era un fermo alleato di Washington contro la rivoluzione degli ayatollah. Il 3 luglio mattina del 1988, una nave da guerra statunitense sparò due missili contro un Airbus A300 dell’Iran Air, uccidendo 290 persone che erano a bordo, inclusi 66 bambini. Fino ad ora era stato il più mortale degli attacchi di questo tipo.
Il volo era partito dalla città di Bandar Abbas con destinazione Dubai e l’aereo fu raggiunto quando stava volando a bassa quota. I missili furono sparati dalla USS Vincennes, che aveva invaso le acque territoriali dell’Iran. Nel 1996 la Corte Internazionale di Giustizia obbligò Washington ad indennizzare le famiglie. La Casa Bianca ha sempre mantenuto la versione che fu un errore, cosa che le autorità di Teheran rifiutarono, e non si è mai assunta le proprie responsabilità. Il comandante della Vincennes, William C Rogers, fu decorato con la Legione al Merito, una delle più importanti onorificenze militari del paese.
In una intervista concessa al Newsweek nell’agosto del 1988, il presidente Geroge Bush fu perentorio: “Mai chiederò scusa per gli Stati Uniti. Mai”.
La versione russa
Il Ministero della Difesa della Russia ha presentato il suo primo rapporto dettagliato sull’abbattimento del MH17, affermando che i suoi radar hanno localizzato un secondo aereo vicino al Boeing 777, un caccia SU-25 appartenente all’Ucraina. Questa versione aggiunge che l’Ucraina ha mobilitato il suo sistema di missili verso l’area dell’incidente.
Con l’aiuto di una presentazione di immagini di radar e satelliti, il capo della forza aerea ha mostrato vari sistemi di missili terra-aria Buk, dislocati vicino a Donetsk, appartenenti all’esercito ucraino. Il tenente generale Andrei Kartapolov, capo del Dipartimento delle Operazioni dello Stato Maggiore, ha detto alla stampa: “Questi sistemi terra-aria sono capaci di raggiungere dei bersagli fino ad una distanza di 35 chilometri e ad una altitudine di 22 chilometri. Con quale scopo e contro chi hanno posizionato questi sistemi di missili se la milizia non ha aerei” (Russia Today, lunedì 21).
Il volo MH17 ha deviato dalla sua rotta di circa 14 chilometri, e fino ad ora non si è potuto sapere la ragione. Nemmeno Kiev e Washington hanno presentato prove che gli scoppi siano partiti da missili in possesso delle milizie pro russe. Una delle dieci domande formulate dai militari russi dovrebbe permettere di far luce su questi fatti: “I funzionari statunitensi affermano di essere in possesso di immagini satellitari che provano che l’aereo della Malaysia Airlines sia stato abbattuto da un missile lanciato dalla milizia, ma fino ad ora nessuno ha visto queste fotografie. Per quanto sappiamo, è certo che il 17 luglio un satellite degli Stati Uniti si trovava nel sudest dell’Ucraina”, ha detto il generale Andréi Kartapólov (Russia Today, martedì 22).
La versione russa ha il vantaggio di apportare foto ed altre prove grafiche. Ciò non vuol dire che sia veritiera. Un ostacolo addizionale per giungere alla verità è che tanto le milizie come l’esercito ucraino possiedono missili Buk, e che tra le batterie di ambedue le fazioni non c’è molta distanza.
Senza argomenti
Il giornalista statunitense Robert Parry, famoso per la copertura giornalistica sul caso Iran-contras per conto dell’Associated Press e della rivista Newsweek, vincitore nel 1984 del premio George Polk, mette focalizza la sua analisi su ciò che considera il tentativo di “avvelenare il giurato”, realizzato dal segretario di stato, John Kerry, nelle sue cinque apparizioni pubbliche (http://consortiumnews.com/, lunedì 21).
“In più di quattro decenni di lavoro come giornalista non avevo mai visto da parte dei principali media statunitensi un approccio così bieco e ingannevole”, ha scritto Parry. Il giornalista crede che in questo caso i russi siano stati più seri dei suoi compatrioti: “C’è qualcosa di totalmente orwelliano nell’attuale copertura giornalistica della crisi dell’Ucraina, per esempio le accuse che l’altra parte faccia ‘propaganda’, quando in realtà le sue informazioni, nonostante non siano perfette, sono molto più oneste e precise di quelle che produce il corpo mediatico degli Stati Uniti”.
Considera che i media stiano facendo un “miserevole giornalismo” e afferma che la cosa più probabile è che le agenzie di spionaggio statunitensi abbiano ricevuto le immagini satellitari della zona, che mostravano che il lanciamissili è di proprietà delle truppe di Kiev, per cui al governo di Obama risulterebbe negativo renderle pubbliche.
In un incontro con vari giornalisti la cosiddetta “comunità dello spionaggio” statunitense ha cominciato a riconoscere alcuni problemi nelle versioni iniziali: “I funzionari dello spionaggio si sono mostrati prudenti nelle loro valutazioni, tenendo conto che, anche se i russi stanno armando i separatisti nell’est dell’Ucraina, gli Stati Uniti non avevano nessuna prova diretta che il missile utilizzato per abbattere l’aereo passeggeri sia venuto dalla Russia” (cablogramma dell’agenzia AP, martedì 22).
In un secondo articolo pubblicato dopo la riunione dei giornalisti con degli agenti dello spionaggio, Parry evidenzia che “il missile può essere stato lanciato da qualcuno che lavora per l’esercito ucraino” (http://consortiumnews.com/, martedì 22).
Quando ancora non è cominciata l’indagine, il linciaggio mediatico del presidente russo (basta vedere la stampa britannica, incluso il moderato Independent) è andato in frantumi. Poco a poco le prove cominciano a puntare su un’altra direzione, ponendo la Casa Bianca in una situazione abbastanza compromettente.
Di Raúl Zibechi per Comitato Carlos Fonseca
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