E la sua maturità politica si è vista anche e soprattutto nei momenti più alti di repressione quando, a fronte di molti arresti, non solo si è saputo mantenere una forte unità e rilanciare la lotta, ma addirittura il movimento no tav è diventato un centro di mobilitazione per tutta l’Italia anche contro la repressione e contro il carcere.
I no tav arrestati, le loro famiglie, i loro compagni hanno vissuto in diretta l’esperienza carceraria e, in molti casi, non solo sono stati interni alle lotte che in molte carceri i detenuti portano avanti ma hanno dato nuova carica e vitalità alle lotte. Questo patrimonio collettivo va valorizzato ed è tutto interno alla lotta no tav.
Quando parliamo di strategie repressive va allora analizzata anche la questione carcere e la sua funzione. Chi abbiamo di fronte nell’elaborazione e dispiegamento delle strategie repressive? Insomma, chi è il nostro nemico? L’esperienza concreta del movimento no Tav ci insegna che il nemico non è una deriva particolarmente repressiva/autoritaria dello stato, ma è lo stato stesso e le forze che vi fanno riferimento direttamente o indirettamente. Lo stato, beninteso, che si presenta come democratico ma che invece è, in sostanza, il comitato d’affari militarizzato delle Cmc, della Fiat, di Impregilo, di Eni, delle Fs di Moretti e delle grandi banche, cioè dei grandi gruppi capitalistici. Anche quando questo stato si è presentato nelle forme della mediazione, della rappresentanza e del cittadinismo lo ha fatto semplicemente per illudere, dividere, indebolire e contenere il movimento contro il Tav. L’esperienza collettiva non può che confermarlo. Quando si è trovato di fronte la Resistenza della Valle questo stato non ha dispiegato solo i chili di carta prodotti dalle inchieste della magistratura e l’infame inchiostro dei giornalisti di regime, ma la realtà concreta del suo apparato di massima deterrenza e annientamento: il carcere. Questo tema non può essere rimosso. Anche perché una delle dimostrazioni maggiori della forza raggiunta dal movimento contro il Tav è stata proprio quella di aver fatto fronte al “mostro” del carcere e anzi di aver manifestato la tendenza a mutare questo luogo di punizione e isolamento in un campo di lotta. È ciò è avvenuto perché i compagni incarcerati nelle varie inchieste dirette a colpire il movimento contro il Tav, hanno saputo portare nel carcere spazi di Resistenza e, all’esterno, hanno trovato continue e ostinate manifestazioni di solidarietà. Aldilà di ogni retorica, possiamo dire veramente che un po’ di Valsusa è stata portata all’interno e all’esterno di tutte le galere dove si è voluto rinchiudere gli oppositori al Tav. Anche perché, se la Valle vive sotto il tallone dello stato, nel carcere si vive fra gli anfratti di questo tallone e a viverla questa condizione sono quasi esclusivamente i figli del popolo, coloro che finiscono seppelliti nelle contraddizioni economico-sociali di un sistema in crisi che immiserisce, deruba e opprime. La Valsusa lo sa bene con la sua storia di eretici, contrabbandieri, streghe e partigiani.
Il carcere può e deve diventare un luogo di Resistenza, come ci insegnano i prigionieri che, lo scorso settembre, hanno lanciato la mobilitazione a livello nazionale, in tutti i “lager democratici” dello stato italiano, per opporsi alle infami condizioni di detenzione a cui sono sottoposti. Questa mobilitazione ha rivendicato con la lotta l’amnistia generalizzata per tutti e non “amnistie sociali” riservate a pochi antagonisti e senza rapporti di forza, per farne una battaglia che possa farci avanzare rispetto allo stato. E ha indicato nei regimi del 41 bis e del 14 bis la tortura dell’isolamento che concretamente lo stato porta avanti quotidianamente nelle galere. Riteniamo importante che ogni parola d’ordine che viene lanciata debba essere reale espressione della lotta che settori di proletariato conducono e al tempo stesso debba contenere la capacità di unire e non di differenziare. Oggi le carceri sono piene di proletari che il capitale nella crisi estromette dal suo sistema (forza lavoro in eccesso, scappati da guerre ecc) oltre che da coloro che lottano come i no tav, studenti, lavoratori, immigrati. Anche in carcere alzano la testa e anche loro hanno dato manifestazione di solidarietà con la lotta no tav.
In conclusione possiamo dire: la forza di una lotta sta nella sua capacità di far fronte ai tentativi dello stato da un lato di contenerla con la mediazione “democratica” dall’altra di annientarla con la repressione. E quando gli stessi strumenti e strutture della repressione, il carcere innanzitutto, diventano essi stessi terreno di lotta, allora non solo si vede la forza di una lotta, ma si vede la forza della lotta che saprà seppellire questa società sfruttatrice e devastatrice.
Assemblea di lotta “Uniti contro la repressione”.