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Israele: crolla il mito dei servizi di intelligence più efficaci del Pianeta

In Palestina dopo 56 anni di occupazione militare, colonizzazione, sterminio di civili e Apartheid in occasione del 50° anniversario della guerra dello Yom Kippur, Hamas reagisce con gli stessi strumenti utilizzati per decenni dagli israeliani per sottometterli.

Di Rodrigo Rivas, da Codice Rosso

Breve cronaca dei fatti e riflessioni a caldo sulle mutazioni politiche e geopolitiche in atto
Situazione in Israele secondo il riassunto del Tg2 alle 17,00 del 7 ottobre:
“Centinaia di terroristi di Hamas hanno attaccato Israele. Gli attacchi continuano. Ci sono almeno 100 morti tra gli israeliani e 200 tra i palestinesi. Ci sarebbero anche 150 ostaggi israeliani”.
A Washington Biden ha ribadito:
“Appoggio incondizionato a Israele. Il terrorismo non ha alcuna giustificazione. Nessuno (si legga Iran e Hezbollah) deve cercare di approfittare della situazione”.
Il corrispondente del Tg2 da Gerusalemme ha detto: “Avevo già visto un altro attacco terroristico un paio di anni fa”.
Israele, ovvio, si limita a difendersi.
Da Washington la corrispondente RAI ha denunciato I terroristi palestinesi e ha chiamato tutti alle armi: “Nessuno può restare neutrale”.
A Bruxelles, Ursula e i suoi fratelli hanno confermato “la totale solidarietà della Europa con Israele e l’orrore per gli ingiustificati attacchi del terrorismo”.
Osservazioni preliminari:
– se non si riesce a liberare gli ostaggi (con un massacro), Netanyhau dovrà trattare;
– per far fronte alla situazione, Netanyhau cercherà di formare un governo di unità nazionale;
– se ci riesce, questo durerà al massimo qualche settimana.
Poi, dovrà comunque spiegare come sia stata possibile un’operazione di tali dimensioni senza che se ne accorgessero i mitici servizi segreti e l’esercito.
– Hamas intende portare il conflitto a Gerusalemme. Se si considera che a Gerusalemme 4 abitanti su 10 sono palestinesi, sarebbe la guerra civile;
– il mondo arabo tace. Penso che continuerà a tacere. Al massimo qualcuno si offrirà come mediatore perché tra palestinesi e israeliani hanno scelto Israele (ma starei attento a cosa succede nella Giordania)
– presumo qualche massacro nel Libano. È la norma.
A Gaza Abu Mazen, che ormai sembra contare poco o nulla anche in Cisgiordania, ha detto che il colpevole è Israele, che ha distrutto ogni ipotesi di accordo e trattativa.
Mi limito a una piccola domanda: ho davvero sognato che Israele porta avanti una politica di sterminio dei palestinesi da qualche decennio?
Parrebbe di si perché, per dirla alla Macron: “Esiste solo un terrorismo e Israele ha il sacrosanto diritto a difendersi”.
Certo: secondo Medici Senza Frontiere, l’esercito israeliano ha bombardato stamane 2 loro ospedali ma, si sa, MSF è sempre una ONG.

Alcune rapide osservazioni sulla Palestina e, conseguentemente, su noi stessi

1. Le forze in campo

Nella triade USA + UE + Paesi Arabi, nessuno è favorevole alla creazione di uno Stato palestinese.
Gli USA perché Israele è il perno della loro politica nella regione.
La UE perché segue senza tentennamenti gli USA, procedendo con la fredda determinazione di un sonnambulo anche quando le posizioni dell’alleato padrone sono insostenibili.
I paesi arabi per ragioni diverse.
Non sono un blocco monolitico ma diversi tra di loro privilegiano apertamente il rapporto con gli USA e, quindi, con Israele (Arabia Saudita, Giordania, Marocco, paesi del Golfo); altri hanno una fottuta paura di un popolo in grado di costruire la sua libertà in modo autonomo (Iraq, Turchia, che non è un paese arabo, Siria); altri di un’alleanza tra uno Stato palestinese indipendente e parte significativa delle loro più che sfortunate e maltrattate popolazioni (Egitto e buona parte del Maghreb).
Nella regione, i palestinesi possono trovare l’appoggio della teocrazia iraniana, ma non è una buona compagnia perché toglie loro idealità, che è la loro vera forza.
Nemmeno la Russia è interessata a una Palestina forte. Non lo è mai stata, nemmeno quando era ancora l’URSS. E oggi è certamente più interessata allo scenario europeo.
La Cina non ha interesse alla diffusione di altri focolai di agitazione. Privilegia lo status quo, che si coniuga con i suoi piani economici (le Nuove vie della seta).
E, per dire il meno, parte importante della sinistra europea non è affatto contraria all’egemonia israeliana, pur se spesso è conscia della sua estremamente ingiusta brutalità.
In questo senso credo che bisogna abbandonare l’idea dei due popoli due Stati come un processo pacifico che arriva a coronare una deriva puramente politica.
Tocca certamente ai palestinesi decidere ma, dopo gli assassini di Arafat e di Rabin, penso sia del tutto ovvio che non si è fatto alcun passo avanti e che l’idea stessa dei due popoli due Stati sia diventata una sorta di pannolone o foglia di fico utile a nascondere i reali allineamenti e i giochi e giochini effettivi.
Detto terra terra: penso sia igienico togliere gli alibi ai tanti Fassino e compagnia in libera uscita.
Non penso che sia possibile una soluzione diversa a quella dei due Stati semplicemente perché non penso che sia ormai umanamente possibile evitarli.
Ma sono del tutto certo che non nasceranno da alcuna alchimia né trattativa, bensì dalla intensificazione del conflitto.

2. lo stato dell’arte

I palestinesi sono soli, ma non lo sono affatto riguardo parte significativa delle opinioni pubbliche.
In ogni dove, da Tokyo a Punta Arenas, da Vancouver ad Asmara, da Firenze a Stoccolma, astrologi, cartomanti, casalinghe, operai, studenti, vecchi dinosauri, poeti e analfabeti sono con la Palestina.
Sono stufi del moltiplicarsi delle atrocità. Sono stanchi della prepotenza e menefreghismo del governo israeliano nonché della complicità dei loro governi verso questi crimini.
Ma, chiese Stalin, quante divisioni ha il Papa?
Ovvero, quanta forza può l’opinione pubblica muovere per i palestinesi (o per i curdi)?
E continuo a pensare che non sia ozioso ricordare ai liberi sognatori che i rapporti di forza non sono una opinione. Salvo nelle fiabe, e non sempre.

3. E allora cosa fare?

Esiste, penso, un’altra lettura possibile: la crisi sistemica – economica, sanitaria, alimentare, politica, etica, militare, climatica – produce scricchiolii ovunque, le alleanze non sono poi così solide (parte del mondo arabo più retrivo, quello Saudita ad esempio, fa l’occhiolino a Pechino, flirta con la Russia nell’Opec + e ha aderito ai BRICS), un multilateralismo dalle caratteristiche anarchizzanti si diffonde dappertutto, le situazioni si modificano a velocità sorprendente.
Chi avrebbe mai pensato che la guerra in Ucraina sarebbe durata così tanto? Che l’Africa si sarebbe ribellata in massa a Parigi? Che Hamas avrebbe potuto mettere in scacco – anche per qualche ora – il più forte esercito del Vicino Oriente? Che le donne iraniane resistessero così a lungo? Che Petro avrebbe vinto in Colombia contro i narcos? Ma, anche, perché l’enciclopedia della infamia è sempre in fase di composizione, che il primo ex comunista a dirigere un governo occidentale, Massimo D’Alema, avrebbe bombardato Belgrado?
Gli arabi dovranno fare i conti presto con queste veloci mutazioni, come dovranno farle gli africani in rivolta contro l’Europa, i latinoamericani alla ricerca di una loro autonomia, gli asiatici e molti isolani dell’Oceania che andranno sott’acqua per i cambiamenti climatici (e saranno seguiti da molti altri), i piombinesi che si ritrovano la nave rigassificatrice sotto casa, nave che passerà presto nelle mani della BlackRock per diventare oggetto di moltiplicazione finanziaria?
Per questa lettura, che si vuole caratterizzata dalla non staticità (la dinamicità è solo un’aspirazione per ora), i tempi lunghi della storia sono molto più promettenti per i popoli e per tutti coloro che non si definiscono soltanto come antimperialisti ma, anche, come anticapitalisti.
Certo, essendo arrivati alla necessità di scegliere, obbligatoriamente e urgentemente, tra multilateralismo e caos – anche questo ci dice la rivolta palestinese in corso – questi sono anche tempi pieni di pericoli, per tutti, anche per quelli che non hanno opinioni nemmeno riguardo le invasioni d’insetti in fase di moltiplicazione in tutta Europa grazie ai cambiamenti climatici.
E già che ci siamo, occhio alle cimici e alle zanzare tigre, già presenti a Barcellona e a Parigi, ad esempio.
A me pare che sia arrivato anche il momento di aggiornare Rosa Luxemburg e il suo celebre “socialismo o barbarie”.
Quella nostra, penso, è un’ora segnata dallo scontro montante tra una democrazia progressiva con chiare e definite prospettive socialiste e un neoliberismo sempre più autoritario e barbarico.
Perché il capitalismo si è sempre accomodato meglio alle condizioni autoritarie in cui è nato che alle democrazie, il termine maggiormente modificato è il nostro, che ormai si declina in ogni remota landa partendo dalla idea acquisita di una democrazia senza fine, abbiamo un non piccolo problema: l’elaborazione della alternativa di destra è assai più avanti della nostra.
Ma Landini disse oggi, il pomeriggio del 7 ottobre alla manifestazione della CGIL a Roma, “Noi siamo molti di più”. Un Landini Epimeteo, “colui che pensa dopo”, ma ci arriva.
Nel lontano 1973 l’aveva detto un presidente prometeico, “colui che pensa prima” e regala il fuoco ai suoi, al secolo Salvador Allende, mentre nella terra dei pinguini nasceva il neoliberismo a sangue e fuoco: “La storia è nostra. E la fanno i popoli”.
Tra l’altro, i nostri Epimeteo e Prometeo ci dicono che recuperiamo, che possiamo recuperare, velocemente.

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