La chiamano periferia ma è il nostro quartiere
Storia recente della lotta nel quartiere di Sant’Ermete, Pisa.
Progetto di riqualificazione. A che punto è la notte?
Quando nel febbraio 2011 il Sindaco di Pisa Marco Filippeschi assieme all’assessore comunale alle politiche abitative Ylenia Zambito e quello regionale Salvatore Allocca vennero nel quartiere ad inaugurare il progetto per 18 milioni di euro per le nuove case, molti furono i residenti degli alloggi popolari che li applaudirono. Con l’entourage del Partito Democratico cittadino le promesse di vita dignitosa passavano dal consenso verso quell’amministrazione. Dopo 7 anni quel consenso si è rotto, e gli stessi personaggi non s’immaginano neanche una visita al quartiere per il timore di dover “subire” contestazioni. Il progetto che prevedeva, con una variante urbanistica, la ricostruzione e l’incremento del patrimonio pubblico per “sanare” alloggi definiti pericolosi, insalubri, non a norma, dallo stesso autore istituzionale del progetto, si è arenato sullo scoglio della “mancanza di risorse” e sulla scelta politica di continuare ad ignorare i bisogni delle periferie da parte del Partito Democratico, privilegiando le Grandi Opere e l’utilizzo dei soldi pubblici per la stabilità finanziaria delle Banche.
Ciò che è successo nel frattempo è un cronico ritardo dei lavori di abbattimento e costruzione delle case che ne ha, dopo 6 anni, sancito la paralisi. Su 200 alloggi previsti in un tempo di realizzazione stimato in 4 anni, ad oggi solo 48 appartamenti (quelli degli edifici “volano”) sono stati costruiti. Più di cento nuclei familiari, da anni, aspettano risposte.
E’ in quest’attesa, che dal 2013 si è formato il Comitato di quartiere, per impedire che la rassegnazione prendesse il sopravvento, per capire il perchè di queste promesse tradite, per individuare – da subito – delle soluzioni al crescente degrado degli alloggi e del quartiere. La pretesa di manutenzioni straordinarie che rendessero migliore la permanenza “temporanea” nei vecchi alloggi ha attivato decine di persone nel rivendicare un abitare dignitoso, anche a partire da una diversa concezione dello spazio pubblico. Un luogo comune per il quartiere, iniziative di studio e di socializzazione per bimbi, anziani e famiglie. Ma più di ogni altro aspetto, è la crescente riappropriazione popolare della politica, intesa come progetto e come scelta collettiva, che ha fatto del Comitato di quartiere un esempio cittadino (e non solo) di partecipazione sociale e di solidarietà. Una politica dei e sui bisogni, per una ricomposizione del tessuto sociale, che la politica liberista vorrebbe sempre più atomizzato nella guerra tra poveri, disintegrati in una “concorrenza” i cui esiti non debbano mai mettere in discussione le “scelte” dettate dall’Alto.
La battaglia sull’esonero
Nell’aprile del 2016, l’Amministratore delegato di Apes – il gestore delle case popolari – ammette, durante un animato colloquio con gli inquilini di Sant’Ermete, che il mega-finanziamento pubblico regionale di 10 milioni, la seconda tranche di quello complessivo, è “scomparso” dai bilanci regionali, “armonizzato” per le esigenze del patto di stabilità. Fino all’aprile 2016 le manifestazioni ed i cortei che negli anni si sono susseguiti avevano animato la rivendicazione “case nuove subito!”. La protesta contro l’abbandono del quartiere, contro la condizione “inabitabile” dei vecchi appartamenti di Sant’Ermete ha messo di fronte i gestori Apes e la giunta Comunale ad un fatto compiuto: non è possibile prendere in giro gli abitanti delle periferie; le persone non sempre si “scordano” dei propri diritti; i progetti di riqualificazione non sono “spot” pubblicitari ad uso e consumo delle elezioni politiche; e soprattutto ci sono delle priorità che vanno rispettate negli impegni istituzionali. Quale democrazia può esistere se si permette l’abbellimento del centro storico, la costruzione di centinaia di alloggi di mercato, l’investimento just-in-time di infrastrutture modernissime, di cassonetti ad alta tecnologia, se nel mentre i bisogni elementari e primari di un tetto e delle mura sopra la testa “sicuri e dignitosi” non vengono rispettati per centinaia di persone?
E’ la notizia della “sottrazione di 10 milioni di euro” al progetto delle nuove case che dà il via ad una nuova fase. Assemblee di centinaia di inquilini in cui ci si informa di quelle “novità” che le Istituzioni cercavano di tenere ben nascoste; riunioni con giuristi, geometri, architetti che danno vita a perizie in cui si dimostra scientificamente “l’insalubrità e l’insicurezza degli alloggi”; consulenze con medici e questionari di quartiere per conoscere le conseguenze sanitarie della presenza di muffa continua nelle mura delle case. Questa nuovo ciclo di lotta si apre con una nuova rivendicazione: l’esonero dal pagamento del canone di affitto. Una richiesta che si poggia sulla violazione del principio di uguaglianza esercitata nella discriminazione di trattamento per coloro che vivono nelle case popolari non a norma ma sono soggetti al rispetto dei doveri contenuti nei contratti di locazione. Una richiesta basta sulla relazione della ASL, datata giugno 2016, inviata anche al Sindaco e al Direttore di Apes, dalla quale risulta che “[…] si evidenzia una situazione igienico sanitaria estremamente precaria determinata da un degrado strutturale evidente ( forti infiltrazioni di umido, muffe, mancanza di acqua calda in alcune abitazioni, distacco di intonaco etc..) e soprattutto una situazione impiantistica ( elettrica e riscaldamento) molto a rischio per la sicurezza degli abitanti, requisiti questi ultimi non di competenza di questa UF e per i quali si suggerisce un’urgente verifica da parte degli organi competenti. Tutto quanto sopra relazionato determina la possibile perdita dei requisiti igienico sanitari di abitabilità degli immobili.”
La rivendicazione dell’esonero infatti mette in luce l’illegittimità e la decadenza dei doveri del Locatario (Apes) nei confronti dell’inquilino. Tale rapporto infatti si è infranto per stessa ammissione istituzionale, contenuta originariamente nei presupposti del progetto di riqualificazione delle case e del quartiere, laddove si evidenziava che tali alloggi, costituiti nell’immediato dopoguerra (1947), erano oramai talmente fatiscenti da non poterne neanche prevedere una ristrutturazione efficace per farne rispettare i requisiti di abitabilità previsti dalle norma di edilizia pubblica, e che quindi avrebbero dovuto procedere all'”evacuazione” del quartiere.
L’attesa infinita ed interminabile dei “nuovi alloggi” è quindi un tempo dove in modo arbitrario e prepotente vengono violati dai Proprietari degli alloggi (Comune di Pisa ed Apes) i diritti degli inquilini, continuamente sottoposti non solo a condizioni di precarietà abitativa, bensì a ricatti economici per i quali si pretende il pagamento di affitto per immobili che non rispettano gli elementari requisiti di abitabilità. Il riconoscimento dell’esonero dell’affitto quindi è un conflitto che tende evidenziare l’emergenza abitativa come condizione subita e non cancellabile dalla “difficoltà” istituzionale di trovare le risorse necessarie a completare il progetto di costruzione delle nuove case. Sempre di più i diritti vengono infatti sacrificati sull’altare della “stabilità” ordinata dalle Istituzioni finanziarie, e l’abitare dignitoso viene trattato come una variabile dipendente dal mercato. A tutto questo gli abitanti del quartiere hanno detto NO, ponendo come intransigenza il rispetto degli impegni presi “ai tempi delle campagne elettorali”. Una determinazione popolare che, nella consapevolezza dei propri gesti, ha scelto di organizzarsi per non pagare più il canone di affitto intero, fino all’ottenimento degli alloggi nuovi. Ogni mese infatti vengono compilati collettivamente dei bollettini di un euro, con l’intestazione ad Apes e con la motivazione dell’autoriduzione. Ciò viene visto anche come rimborso per tutte le spese che le persone di Sant’Ermete – tra cui moltissimi anziani – in questo periodo (la maggior parte abita da 40 anni in queste case) hanno dovuto illegittimamente subire: per mettere termosifoni, stufe, per gli impianti elettrici ed idraulici nonchè per le spese sanitarie causate dai malesseri come allergie, asma ed altre patologie provocate dalla muffa oramai strutturale infiltrata nelle mura delle abitazioni.
Promesse tradite. La responsabilità della politica Istituzionale: lo scaricabarile Apes – Comune – Regione
E’ sempre colpa di qualcun altro, basta non assumersi mai le proprie. Così potremmo sintetizzare anni di relazioni politiche tra cittadini dei quartieri popolari e rappresentanti istituzionali. Quando nel 2016 l’amministratore delegato di Apes ammise che la paralisi del progetto era causata dalla “fuga” di 10 milioni di euro dal bilancio della regione, le responsabilità di quella scelta furono annebbiate e disperse tra le pieghe burocratiche dei regolamenti istituzionali. Solo l’incalzare del popolo di Sant’Ermete ha permesso di de-naturalizzare il destino di quartiere-fantasma in lotta contro dei precisi meccanismi attuati da figure Istituzionali. Molto semplicemente, i vertici della Politica, e delle Aziende municipali che li controlla, non sono abituati a rispondere del loro lavoro, non si sentono tenuti a dare spiegazioni, non pensano di dover ricevere domande né tanto meno di chiedere scusa o di ammettere di avere compiuto degli errori. Questa superbia istituzionale è dovuta non tanto al carattere di singoli amministratori, i quali piuttosto si sono formati dentro un contesto che li legittima per il rispetto solo di determinati impegni indirizzati a precisi stakeholders, quelli che vedono ad esempio le lobbie essere grate alle amministrazione pubblica per le alienazioni di immobili pubblici o quelle per esempio degli equilibri delle varie cordate di partito. Mai possono essere interpellati e giudicati dai destinatari finali delle loro scelte, i cittadini protagonisti dei servizi pubblici, gli operatori che li producono e gli utenti che ne usufruiscono. Quando questa supponenza viene messa in discussione “dal basso”, come nel caso dei dieci milioni di Sant’Ermete, ammettere l’errore significa immediatamente dover rimediare, e quindi mettersi contro non più la gente, bensì risalire le catene di responsabilità evidenziandone la natura politica. Nell’aprile del 2016, invece di riconoscere l’esonero e quindi ammettere l’emergenza abitativa – puntando il dito contro chi ha tolto e saccheggiato le risorse pubbliche – gli amministratori locali decisero di continuare una pantomima con la Regione Toscana. Un nuovo coniglio da far uscire dal cilindro nello spettacolo della politica: al posto del finanziamento pubblico, un mutuo privato da 100 milioni che la Regione doveva contrarre per finanziare gli interventi di edilizia pubblica, compreso quello di Sant’Ermete. Ma quando i cittadini da sudditi consumatori diventano soggetti pensanti, che s’informano lottando per i propri interessi, queste nuove promesse si sgonfiano come bolle di sapone. Nel febbraio 2017 la BEI (Banca Europea d’Investimento) soggetto cui era stato chiesto l’erogazione del mutuo, non concede il prestito – non considerandolo vantaggioso. Ancora una volta le Istituzioni vengono sbugiardate ed il Comitato di quartiere ne denuncia le responsabilità che ricadono interamente sulle loro condizioni di vita. Le costruzioni sono ferme e gli abitanti proseguono con le manifestazioni, con l’autoriduzione e con la denuncia dello sperpero delle risorse pubbliche nei vari project financing, come quello utilizzato a vantaggio di imprese indagate per la collusione con apparati criminali nella realizzazione di Opere Inutili come il People Mover (80 milioni di euro!).
Alla richiesta di esonero dell’affitto la risposta dell’Apes è “non è possibile accettare l’autoriduzione o l’esonero del canone da parte degli abitanti del quartiere , perché contrario alle leggi e per rispetto di giustizia per tanti cittadini che abitano nelle stesse condizioni, che rispettano le regole e fanno sacrifici per pagare il canone”. Poco importa che sentenze di ridefinizione del canone siano state portate ad esempio; a nulla vale il buonsenso espresso nella semplice equazione che deve far corrispondere un affitto ad un immobile “locato a norma di legge”. Per l’Amministratore unico Apes quello che conta è impedire che si affermi un diritto per paura che si debba riconoscere anche a tutti gli altri! Infatti è il timore di invertire una rotta che vede la gestione degli alloggi erp sempre più contrarre i diritti degli inquilini, assegnando case a nuclei numerosi in sovraffollamento, che vede alloggi cadere a pezzi senza che vengano svolti lavori di manutenzione straordinari adeguati. Che la battaglia di Sant’Ermete segni un precedente da poter fare applicare per tutti, rappresenta la rigidità con cui le Istituzioni si rapportano alle richieste legittime di diritti, in uno schema autoreferenziale di governo che penalizza e discrimina gli abitanti delle periferie. Dallo scaricabarile delle responsabilità alla criminalizzazione dei soggetti che lottano, il passo è compiuto…
Dissenso, partecipazione, legame sociale. La lotta è contro il privilegio del potere
L’atteggiamento delle Istituzioni diviene in modo esplicito nemico agli interessi ed ai diritti degli abitanti del quartiere. Prima, in modo maldestro, gli assessori tentavano di dividere tra buoni e cattivi gli inquilini delle case popolari, suggerendo in modo fantasioso una strumentalizzazione di pochi antagonisti dei problemi reali della gente. Poi, l’evidenza dei fatti e la partecipazione diretta e consapevole di tutti coloro che hanno smesso di avere pazienza e fiducia nelle false promesse dell’Assessore, ha trasformato questo rapporto in una vera e propria vendetta nei confronti del quartiere. Conosciamo il valore delle parole, proprio per questo chiamiamo le cose con il loro nome. Questa chiusura istituzionale ha diversi motivi. Il primo è di ordine economico: dal governo fino all’Apes – passando per la regione e gli “enti locali” – c’è una tendenza unica che struttura l’agire di ogni livello Istituzionale quota Partito Democratico: la violenta e progressiva riduzione dei finanziamenti statali nelle opere pubbliche che non producono rendita e profitto. Che non a caso sono quelle di cui di più la gente comune sente il bisogno: investimenti sul territorio per la manutenzione e la cura stradale e del verde urbano, case popolari, servizi sociali, edilizia scolastica e sanità pubblica. La contrazione della spesa pubblica non ammette alcuna redistribuzione delle risorse: anche quelle che servivano a mantenere in piedi clientele. Le spese per riprodurre i bisogni delle “comunità” devono – secondo questo schema – essere privatizzate, ovvero ognuno deve provvedere a sé stesso. Chi possiede i soldi, se le compra; chi non li ha si indebita o si arrangia, individualmente. Perciò c’è un accanimento nei confronti di coloro che rivendicano collettivamente l’utilizzo di tali risorse e l’appropriazione dal basso, dai e per i territori, di ciò che serve. C’è una insostenibilità finanziaria che niente ha a che vedere con la scarsità di soldi – basti vedere gli sprechi connessi agli affari di cui le varie amministrazioni si ammantano. E’ un’insostenibilità che nasce dal preciso diktat di impiegare la spesa pubblica esclusivamente dove si dà un ritorno economico per i soggetti che comandano il mercato: banche e grandi imprese. Aumentare il costo sociale per i propri bisogni – per non essere poveri, per uscire dal ricatto della precarietà – interrompe questo schema di profitto e lo rende, istituzionalmente, intollerabile.
L’altra è una ragione politica, di Potere. Per governare questo processo d’impoverimento generale, le Istituzioni devono essere immuni dalle rivendicazioni sociali. Cioè non possono rischiare di accettare una crescita di domanda politica che viene dai territori. Da qui il loro carattere elitario, privatistico, da qui i loro linguaggi criptici incomprensibili alla stragrande maggioranza della popolazione e la proliferazione di norme e regole che valgono solo per i comuni cittadini – tese esclusivamente ad allontanare la gente dalla comprensione e dalla lotta contro questa realtà insensata. Perciò chi si organizza e si ribella, deve pagare un prezzo anche nei termini dell’isolamento, perciò la norma istituzionale diventa l’abuso e la ritorsione. Affinché quei comportamenti di organizzazione sociale non si allarghino e non si riproducano a macchia d’olio nella restante parte di popolazione che vive i medesimi problemi.
Punire i poveri, drenare le risorse pubbliche. Quale piuss delle periferie?
A conferma di ciò nominiamo 6 esempi che raccontano di questa vendetta istituzionale sul quartiere, e della resistenza che gli si contrappone da anni.
1. Cavalcavia. Il quartiere di Sant’Ermete ha come unico collegamento verso la città una passerella sopraelevata che da anni viene contestata per la pericolosità cui espone tutti gli abitanti che sono costretti ad attraversarla. Assenza di illuminazione, assenza di marciapiedi, carreggiate strettissime al di sotto della soglia normativa, mancanza di manutenzione agli erbe e arbusti. Inutili sono state le rimostranze, le petizioni, le prese di posizione di abitanti per la messa in sicurezza di questa opera utile e necessaria. L’amministrazione non ha mai risposto. Fino a che nel giugno 2015 il Comitato, dopo anni di segnalazioni, ha deciso, assieme ai maestri della scuola elementare Don Milani, all’associazione locale dei ciclisti, ai residenti delle case popolari, di bloccare per 5 giorni a suon di barricate il ponte. Alla luce di quelle proteste, non reprimibili per l’alta e trasversale partecipazione popolare, la Prefettura dovette concedere un tavolo tecnico per risolvere la questione. Furono interpellate le ferrovie, proprietarie di una parte della zona; la Polizia Stradale fece dei rilievi in cui accertò e denunciò la pericolosità del tratto stradale; l’ex circoscrizione (ora Consiglio territoriale di partecipazione 3) deliberò che la priorità degli investimenti nel quartiere era proprio il cavalcavia; l’assessore ai lavori pubblici ed al bilancio tirò fuori un progetto definitivo da un milione e mezzo di euro da fare nel prossimo futuro. A quel Tavolo gli abitanti del quartiere entrarono “a spinta”, imponendo l’immediata realizzazione delle opere primarie: illuminazione e allargamento delle banchine rese pedonali. Con un accordo sottoscritto in prefettura fu interrotta la mobilitazione. A distanza di anni soltanto una parte dell’illuminazione è stata realizzata: niente marciapiede, niente banchina allargata… le strade dei quartieri continuano ad essere insicure e chi attenta all’incolumità pubblica risiede sulle poltrone dei Palazzi governativi.
2. Disinfestazione. Nella zone delle case popolari la presenza di boscaglie e alta vegetazione, concomitante con la stazione ferroviaria e con la zona industriale artigianale di ospedaletto, rende urgente la manutenzione e la pulizia del verde, la disinfestazione da zanzare, insetti e le derattizzazioni. Gli sciami di zanzare e le scorribande dei ratti sono ormai una costante denunciate anche dalla Asl stessa. Il gestore delle case popolari e i responsabili del comune del verde pubblico sono stati interpellati decine di volte: petizioni e raccolta firme, presidi agli uffici e denunce e esposti all’autorità. Niente: la grave situazione igienico sanitaria rimane compromessa e solo l’autorganizzazione degli abitanti oramai promuove coi propri mezzi finanziari e umani la pulizia del quartiere. Ditte di disinfestazione vengono a svolgere il lavoro per contatti informali con la gente del quartiere. L’Apes invece ha dichiarato “se vi facciamo noi le disinfestazioni ve le accolliamo nei bollettini dell’affitto”.
3. Cassonetti. L’impatto con la raccolta differenziata del quartiere è stato traumatico e particolarmente strumentale. Gli alloggi popolari di Sant’Ermete sono di dimensioni microscopiche tali da rendere al limite della claustrofobia la permanenza all’interno. 36 e 42 metri quadrati per due metri e mezzo di altezza, assegnati anche a nuclei di 5 o 6 persone, rendono infattibile materialmente un sistema di raccolta che prevede quattro bidoncini separati da tenere in cucina. Da prima dell’introduzione di questo nuovo sistema, che prevede una raccolta a giorni predefiniti di ogni “contenuto” di spazzatura che ogni inquilino deve accantonare fuori dalla porta del condominio, il Comitato di quartiere aveva chiesto incontri e condivisione per rendere questo passaggio il meno disagiato possibile. La richiesta, semplice, formulata era quella di introdurre, così come avviene per tantissimi altri condomini in altre zone della città, dei bidoni differenziati condominiali cosi da non veder sostare i singoli sacchetti all’esterno dell’abitazione. Da più di un anno e mezzo tale banale ma importante esigenza, nonostante raccolte firme, presidi, addirittura conferenze stampa, è stata dapprima ignorata e poi negata. Ma sono le motivazioni a rendere esplicita l’avversione istituzionale a Sant’Ermete. Le motivazioni negative – apparse su pisainformaflash – nonostante il parere positivo dei vertici di Geofor (la municipalizzata incaricata del servizio), riguardano una valutazione di stampo lombrosiano per cui gli abitanti di Sant’Ermete vorrebbero questi cassonetti condominiali per non pagare (sig!), evitando controlli ed evadendo la Tari, la tassa sui rifiuti. A parte l’ignoranza indicibile che fa dimenticare all’Amministrazione che il pagamento della Tari per il servizio di raccolta vede l’esenzione dei nuclei a basso reddito (cioè la totalità dei residenti delle case popolari), per cui tale servizio è GRATIS. Ma ciò che balza agli occhi è la punizione preventiva per tutti coloro che abitano in quelle abitazioni popolari, che – in quanto inclini alla ribellione – vengono considerati “furbi” da sanzionare oltre che da disprezzare, anche penalizzando coloro che pagano regolarmente il servizio. Conseguenza: sacchetti in mezzo alla strada e blocchi del traffico affinchè la Geofor venga a raccogliere la spazzatura invece che lasciarla sbranare da cani col conseguente peggioramento sanitario della zona.
4. Il circolo e gli spazi sociali. All’interno del progetto di riqualificazione era prevista anche la costruzione di uno spazio polivalente a carattere sociale e culturale. Gli abitanti del quartiere hanno come unico luogo di aggregazione un casottino di pochi metri quadrati all’interno del quale vengono svolte quotidianamente attività. Nonostante nel 2014 il consiglio comunale votò una mozione, proprio su spinta dei comitati di quartiere popolari, che approva la richiesta di uno spazio sociale in ogni quartiere, a Sant’Ermete l’unico circolo arci della zona è ampiamente sottoutilizzato. L’utilizzo privatistico e in mano a anziani ex residenti del quartiere in quota PD, fece partire una mobilitazione per richiederlo per alcune attività che non trovavano spazio all’interno del casottino: in particolare il doposcuola per i bambini e la mensa popolare. Dopo assemblee, raccolte firme e anche occupazioni simboliche di quegli spazi lasciati inutilizzati, si aprì un confronto che si concluse con l’appalto di quei luoghi ad imprese ed associazioni che vi svolgevano attività a pagamento, e che negli anni sono state disertate dal quartiere. Unico scopo era impedire lo sviluppo dei servizi autogestiti e gratuiti.
5. L’assegnazione degli alloggi vuoti in sovraffollamento. I vecchi caseggiati rimasti da abbattere, sono composti da 12 appartamenti per 14 palazzi. Su questo totale più di 50 sono rimasti sfitti – abbandonati da lungo corso o resi liberi dalla dipartita di qualche anziano inquilini. Una delle battaglie del comitato fu quella dell’assegnazione transitoria in emergenza abitativa di quella parte di case “messe meglio” facenti parte dei lotti da abbattere per ultimi. Lotta che andò avanti occupando gli alloggi sfitti sia con residenti del quartiere che vivevano in sovraffollamento in altri appartamenti, sia con persone già sfrattate e senza casa. Il movimento contro gli sfratti ha dall’inizio visto partecipi decine di residenti in Sant’Ermete che hanno preso parte a picchetti contro gli sfratti e in generale denunciando la vergognosa condizione di migliaia di famiglie costrette a pagare affitti altissimi nel mentre nei quartieri esiste un patrimonio pubblico enorme tenuto inutilizzato (pronto per essere venduto a qualche speculatore del mattone). Un primo risultato fu un protocollo firmato da Società della Salute – Apes e Comune, che per timore di nuove occupazioni e nuove tensioni ai picchetti antisfratto, siglò la concessione di parte degli alloggi sfitti di Sant’Ermete per l’emergenza abitativa. Ma come spesso accade a partire da una vittoria il cambiamento viene piegato a fini contrari. Infatti, non soltanto il progetto di abbattimento e costruzione delle nuove case si è paralizzato, ma gli alloggi vuoti sono stati iniziati a destinare sistematicamente all’assegnazione in emergenza abitativa a nuclei familiari numerosi, creando una grave condizione di sovraffollamento. Più di 15 famiglie di 4, 5, 6, 7 componenti, negli ultimi due anni si sono viste assegnare – sotto minaccia di perdere qualsiasi futura possibilità di entrare in casa popolare – appartamenti dai 36 ai 42 metri quadrati (uno e due vani utili). Da subito la lotta del comitato di quartiere ha segnalato queste gravi violazioni delle stesse regionali che regolano le assegnazioni alla commissione comunale erp, ai dirigenti di Apes ed all’Assessore. Imperterriti, come se nulla fosse, hanno continuato a dare gli alloggi in queste condizioni, arrivando perfino negli atti di assegnazione a trascrivere solo parte del nucleo familiare o a far figurare vani in più agli appartamenti.
L’idea portante di questo atteggiamento non è quella di “salvare dallo sfratto nuclei numerosi dando loro la soluzione “meno peggio””, così come dichiarato dall’Assessore Zambito, bensì la trasformazione di sant’ermete in una periferia ghetto, priva delle elementari e basilari condizioni di vivibilità, peggiorandone le condizioni di vita dei residenti e sostanzialmente sviluppando un conflitto orizzontale tra le componenti (prevalentemente italiane) dei residenti storici in attesa delle costruzione delle nuove case; con i neo-arrivati (in prevalenza di origine extracomunitaria) trapiantati in degli alloggi precari e piccolissimi. Una guerra tra poveri che non ha avuto riscontro per la oramai sedimentata abitudine a “prendersela” con i responsabili e che ha visto unite e ricomposte queste componenti sullo STOP alle assegnazioni in sovraffollamento. Queste ultime non si sono fermate fino a quando la ASL prima, i Vigili del Fuoco ed il Prefetto dopo, hanno dichiarato:
“nello scorso anno è stato predisposto il sopralluogo da parte dei Vigili del Fuoco finalizzato a verificare e certificare le condizioni di sicurezza minimali per poter abitare negli immobili. Una volta eseguito i Vigili non hanno potuto rilasciare l’avviso favorevole avendo riscontrato oggettive situazioni di pericolo, diffuse non solo a livello logistico, ma anche comune a caldaie, solai, etc. Pur avendo a cuore la problematica, lo scrivente è tenuto a soprassedere da qualsiasi intervento auspicato”. A seguito di tali dichiarazioni, durante una commissione consiliare dello scorso maggio, l’Assessore alla casa Zambito afferma che la colpa è del “sedicente” Comitato se le case non vengono più assegnate, ma che grazie a un escamotage stanno adoperando nuovi strumenti per metterle a disposizione…
6. Le lettere di minaccia di sfratto. L’ultimo esempio è anche quello in ordine di tempo più vicino e perciò più nemico. Dopo più di un anno di autoriduzione collettiva, l’ente gestore – l’Apes – fa recapitare delle lettere ad alcuni inquilini – quelli più combattivi – in cui si intima il pagamento degli arretrati – la morosità – accumulata nei mesi di protesta, entro 30 giorni. Pena la decadenza dall’alloggio popolare o l’avvio del procedimento di sfratto. E’ importante ricordare che all’avvio dell’autoriduzione gli inquilini non erano morosi e perciò l’inizio dei bollettini a un euro si configura come vero e proprio atto politico e collettivo da parte dei residenti, che vedendo svanire i 10 milioni di euro e lo sviluppo della riqualificazione, decidono di mettere in campo – a decine – una forte presa di posizione. Ciò anche avvalendosi di strumenti giuridici con i quali si chiedeva al Comune e all’Apes l’avvio di un confronto – un tavolo tecnico – per sanare le gravi condizioni abitative e riconoscere l’esonero tramite lo scomputo di parte del canone in attesa dei nuovi alloggi. A tali richieste le amministrazioni non solo hanno risposto negando ogni evidente responsabilità sui ritardi dei lavori, ma anche affermando che gli alloggi se sono “messi male” è a causa di come gli inquilini li mantengono! Una presa di posizione che conferma l’ignobile e classista atteggiamento nei confronti di Sant’Ermete. Le lettere di minaccia vengono quindi percepite per quello che sono: un tentativo di intimorire e di scoraggiare gli abitanti a proseguire la lotta. La risposta non si è fatta attendere: una grande assemblea popolare decide di bloccare la strada per una giornata e chiamare i Vigili del Fuoco con i quali vengono fatti delle ispezioni anche agli appartamenti “pieni” e abitati dai residenti minacciati per non aver pagato il canone di locazione – e ne viene accertata inabitabilità. Una grande scritta muraria compare sulle inferriate del cantiere fermo da mesi: “Le vostre lettere non ci fanno paura, la nostra lotta sarà sempre più dura!”. Poco dopo, 60 inquilini di Sant’Ermete si recano – insieme – agli uffici di Via Fermi dell’APES per protocollare delle provocatorie istanze di trasferimento dall’alloggio insalubre – come certificato da ASL e Vigili del Fuoco – e vengono occupati gli uffici e poi bloccata la strada fino a che non viene fissato un incontro con l’Amministratore Lorenzo Bani. Tale incontro viene poi “appaltato” ai legali dell’Apes, dirottandolo sulle vertenze specifiche degli inquilini minacciati di sfratto, negando ancora una volta un confronto politico.
Sant’Ermete: una battaglia generale e un epicentro politico.
E’ bene chiarirsi da subito: la crescita dell’ostilità tra le istituzioni occupate dal Partito Democratico e il nostro quartiere è reciproca. La vendetta Istituzionale non si dà quindi come repressione compiuta, piuttosto come saturazione di una mediazione sociale e rottura di una dialettica politica impossibile. La scissione e la separazione d’interessi contrapposti si è data a partire dalla constatazione del ceto politico del PD di un’irriducibile volontà comune del quartiere a ottenere delle soluzioni per tutti. Tentativi di cooptazione e di addomesticamento sono fisiologici a qualunque sviluppo del conflitto. E’ la vecchia invarianza politica del bastone e della carota che precede scenari più nitidi della battaglia in corso. Se gli abitanti si fossero accontentati delle manutenzioni straordinarie degli alloggi; se il comitato avesse fatto le tessere arci; se avessero chiesto – per sé – l’integrazione delle proprie attività autogestite nei circuiti del terzo settore; se la lotta per la casa si fosse integrata nelle regole -magari riformandole un poco- della commissione erp evitando di fare così tanti picchetti anti-sfratto; magari oggi in questo documento staremmo scrivendo il canto e le lodi di una falsa fase costituente che penetra dentro le Istituzioni. Invece quello di cui Sant’Ermete parla è di una possibilità di costruire qualcosa di diverso, di vero e profondo, di popolare – di autonomo – grazie al non mollare mai e al ridefinire sempre nuovi condizioni di partecipazione conflittuale avendo la barra ben dritta sull’obiettivo: le case nuove, il non pagare quando è ingiusto, il decidere e l’organizzarsi in comune. Su queste basi matura un’avversione al politicismo, un odio all’ipocrisia della politica intesa come cattura al ribasso delle istanze di trasformazione e suo conseguente svilimento, della politica intesa come separatezza dai bi/sogni della gente. Ci parla di lotte e vertenze aperte che si basano su una contrapposizione che cresce e coinvolge, a partire dalla durezza e dalla difficoltà di ogni passaggio, di nuovi strati sociali e nuove figure impoverite da questa Politica amministratrice dei territori in funzione del profitto. Quello che è successo è che questa rigidità – intesa come chiara, semplice e decisa direzione della trasformazione collettiva – ha fatto maturare una profonda politicizzazione nelle battaglie sulla vita quotidiana di un quartiere. Quella stessa vita quotidiana che troviamo narrata e prodotta dai media come densa di razzismo, ignoranza, depredata in passioni tristi e coacervo di anti-politica e populismo. La stessa quotidianità che vediamo banalizzata e riempita di problemi dalle leggi di questa democrazia a senso unico. E’ a questo livello che c’è stata una torsione della realtà: da luogo descritto da “altri”, a territorio che parla per sé stesso. E così facendo produce suoni e parole proprie che compongono linguaggi differenti dell’agire politico. Così che la sfida attuale sta nel coltivare, nella lotta contro l’abbandono del progetto di riqualificazione istituzionale, un altro progetto del vivere bene, cercando e lottando per quelle risorse necessarie a comporre ed aggregare, ripopolandolo di vita, una Sant’Ermete più ricca e più piena. Anche a suon di botte e cariche della polizia. Come quella volta del dicembre scorso in cui sotto il consiglio comunale la popolazione di Sant’Ermete pretendeva di entrare per “dire la propria” sul bilancio preventivo in votazione – dopo che alla Circoscrizione l’Assessore alla casa aveva annunciato che avrebbero stanziato un milione di euro per mandare avanti il progetto. O come quella volta, un anno fa, che i cittadini di Sant’Ermete hanno girato con un tour dei quartieri tutta Pisa e provincia, per costruire la cacciata di Renzi dalla città, e pochi mesi dopo essere parte attiva di quel popolo del NO al referendum costituzionale che lo ha costretto alle dimissioni. O come quella volta che, per difendere il posto di lavoro all’aeroporto di alcuni operai residenti del quartiere, c’è stata una rissa con i guardiani vigilantes chiamati dalla multinazionale AVIS, e Pisa è stata paragonata a Bogotà. O come quella volta che siamo andati a contestare l’inaugurazione del People Mover, e la polizia ci ha tenuto in mezzo ai campi per 4 ore, perchè noi volevamo prendere il Ministro Del Rio e portarlo a Sant’Ermete ad inaugurare le case.. o come quella volta che: to be continued….
Spazio Popolare Occupato Sant’Ermete – Pisa
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