La fabbrica di Viadana, La Stampa, la lotta di classe
Un articolaccio de La Stampa ci spiega che la lotta di classe, quella vera, non c’è più. Ma di cosa parla la lotta alla Composad di Viadana in provincia di Mantova?
Composad
La lotta alla Composad di Viadana, in provincia di Mantova, è un lungo braccio di ferro. Una lotta generosa che qualche settimana fa ha visto una straordinaria resistenza al tentativo di sgombero da parte della polizia di un picchetto di lotta ai cancelli della fabbrica. Si lottava per il reintegro di 271 facchini inquadrati nella cooperativa uscente, la Viadana Facchini. I facchini venivano licenziati nonostante la clausola di savaguardia del posto di lavoro nel cambio d’appalto e il rispetto del contratto nazionale logistica e trasporti prevista da un accordo prefettizio di un anno fa. La situazione nelle ultime settimane è cambiata rapidamente svelando la vera natura dello scontro tra facchini e azienda: l’imposizione di un nuovo modello alla Composad basato sulla maggior produttività di tempi determinati e interinali, attraverso l’espulsione e il reintegro sotto altro inquadramento e nuova coop degli operai.
Il distretto industriale mantovano è uno dei più importanti nella lavorazione del legno. La Composad produce kit per mobili servendo grandi catene come Leroy Merlin, Ikea, Brico e Castorama. Un sito produttivo di questo genere richiede un alta capacità di adeguare la produzione ai volumi delle commesse richieste dalle grosse catene di rivendita commerciale. Uno schema analogo si può applicare ad altri distretti industriali, come quello dell’automobile. Le mansioni di confezionamento merci, imballaggio e movimentazione svolte dai facchini sono dunque di estrema importanza nell’economia di un ciclo produttivo just-in-time e richiedono una forza lavoro altamente produttiva nei periodi di maggior richiesta da parte dei committenti. Il lavoro alla Composad infatti non manca e il fatturato dell’azienda, del gruppo Mario Saviola, è di 93 milioni di euro nell’ultimo anno. Il lavoro non manca ma servono lavoratori adatti a incrementare questi profitti.
Con un lungo sciopero lo scorso anno i facchini della Composad avevano conquistato l’accordo di continuità lavorativa. “Il minimo sindacale, non certo un accordo rivoluzionario” come dichiara l’Adl Cobas, che condusse la lotta l’anno scorso e in questa fase e che rappresenta 170 lavoratori nella fabbrica di Viadana. I facchini alla Composad, anche dopo 10 anni di lavoro, non guadagnano più di 1000/1100 euro al mese. L’alta sindacalizzazione della forza lavoro e le garanzie minime da questa guadagnate con gli scioperi rappresentano per Saviola una rigidità insostenibile che ostacola la competitività della Composad su un mercato in cui i ritmi della ciclo produttivo sono dettati dalle esigenza della committenza presso la quale accreditarsi. Soprattutto è l’indisponibilità a essere variabile dipendente dai flussi delle committenze che più impensierisce i vertici di Composad. Un aggregato soggettivo cresciuto con le lotte autonomo dagli interessi aziendali che va scomposto.
Alla scadenza dell’appalto il 31 maggio la Viadana Facchini esce dallo stabilimento Composad lasciando fuori 271 facchini. La Viadana Facchini sparisce, ma è solo un gioco delle tre carte. La nuova coop entrante, la Clo di Milano, si unisce alla Viadana Facchini creando la Clo/3l. Questa “nuova” cooperativa ne riassorbe subito 130, e programma il reinserimento di altri 70 facchini come interinali. La Cgil, che rappresenta in azienda poche decine di lavoratori, firma l’accordo, l’Adl Cobas no. Inoltra il riassorbimento arbitrario in Clo/3l prevede, da parte dei facchini, la firma di un verbale di conciliazione per poter vedere corrisposta la busta paga di maggio, regolarmente lavorata. Inutile dire che i 70 esclusi sono tra i facchini maggiormenti protagonisti della lotta delle scorse settimane.
Lunedì 26 giugno scoppia nuovamente la lotta per il reintegro totale anche dei 70 facchini esclusi dalla nuova cooperativa e per il rispetto degli accordi dello scorso anno. In 8 salgono sul tetto. Dagli esclusi vengono bloccati i cancelli, e nonostante i tentativi della polizia di disperdere il picchetto i facchini resistono.
Nel pomeriggio la situazione precipita. Una nota dell’Adl Cobas riporta l’accaduto: “Verso le 18 una sorta di spedizione punitiva e squadristica, con un corteo veramente poco spontaneo di un centinaio di lavoratori Saviola fisicamente guidati dai vertici del gruppo, ha cercato lo scontro con gli scioperanti, fomentando una vera e propria guerra fra “poveri” attraverso la strumentalizzazione della legittima preoccupazione degli operai Composad per la perdurante situazione di stallo. Dopo qualche tafferuglio con le forze dell’ordine, solo l’etica e il buon senso degli operai in lotta ha evitato il peggio, smorzando il blocco dei cancelli, mentre il presidio e l’occupazione del tetto continuano. Chiaramente la tensione sociale intorno alla vertenza rimane altissima.”
La Stampa
Venerdì scorso su La Stampa viene pubblicato un reportage da Viadana firmato Fabio Poletti così intitolato: “Operai precari contro operai garantiti. In fabbrica va in scena la guerra tra poveri”. In un pezzo di giornalismo intriso di un lirismo nostalgico e revisionista si “lamenta” (ma come? La Stampa?) la fine niente di meno che della “lotta di classe”. “C’era una volta la lotta di classe. Adesso c’è la lotta «nella» classe. Tutti contro tutti alla Composad di Viadana che dicono sia un bel posto dove lavorare anche se si fanno i turni di 24 ore e le macchine a controllo numerico non si fermano mai. (…) A sentirli, quelli di dentro e quelli di fuori, hanno le stesse preoccupazioni e dicono le stesse cose. Perchè la lotta «nella» classe non è tra gli operai e i padroni come si faceva una volta. Adesso è tra gli operai garantiti e gli operai precari, tra i dipendenti e gli esternalizzati. Anche se nessuno lo dice apertamente è pure tra gli italiani e gli immigrati, anche se oramai parlano il dialetto mantovano meglio dei mantovani che non lo parlano più”.
Ah, il bel tempo antico! Il racconto de La Stampa strizza l’occhio agli onesti, a coloro che sognano la giusta lotta, consegnandoli al tempo stesso alla rassegnazione: non tornerà più, ora è il tempo in cui anche voi giusti vi fate dominare dal rancore e vi scannate tra di voi. Un’ammaliante favoletta adatta a spegnere la fiducia nelle possibilità della lotta. Non la lotta nobile, o quella che ci viene raccontata essere quella nobile, ma quella che c’è, quella che si deve combattere secondo le condizioni specifiche e determinate prodotte dallo sviluppo del conflitto. Un discorso in fin dei conti coincidente con quello promosso da Lega Coop, Cgil e dal padronato vario, così ben radicato nel senso comune del fateci lavorare, interscambiabile con fateli lavorare, fateci sfruttare, fateci guadagnare sulle loro spalle. “Non ne possiamo più, noi vogliamo soltanto lavorare. Lo Stato non ci tutela”, così La Stampa riporta le parole di Alessandro Saviola, presidente del gruppo Mario Saviola.
Quello che sta succedendo a Viadana è certo un scontro interno alla classe, tra segmenti, si potrebbe dire usando un lessico forse stagionato, ma siamo sicuri, come vorrebbe insegnarci La Stampa, che non sia lotta di classe o che sia alternativo alla lotta di classe?
La lotta di classe
Innanzitutto, va detto, è lo stesso livello dell’accumulazione di capitale che si alimenta, prova a organizzare e si serve del conflitto. La fabbrica è un sito produttivo nella misura è anche uno snodo di un flusso di mobilità umana prima di tutto, un meccanismo di rimercificazione continua della forza-lavoro. In ballo ci sono aspettative legate al salario, al consumo, alla competitività nel contesto di una cooperazione nel lavoro organizzata per fini e interessi esterni. Quelli del padrone. La fabbrica struttura il propria organizzazione su dei conflitti interni, che rappresentano la spinta indispensabile all’iper produttività flessibile di questo tipo di produzione del ciclo delle commesse, che a tutti i costi, in determinati periodi di tempo, deve garantire le consegne e quindi reggere i corrispettivi picchi di produttività. La lotta, in qualsiasi punto del modello organizzativo emerga, è il segno opposto del ciclo di valorizzazione della merce-forza-lavoro-umana secondo come viene organizzato dentro i cancelli per circolare fuori, nell’essere in ansia per il rinnovo, nel fare gli straordinari pur di stare al passo con le richieste del capo che porta al deterioramento delle tue relazioni umane, con i colleghi, a casa etc…
Lo scontro davanti alla Composad traduce e semplifica il funzionamento della macchina fabbrica: un insieme di promesse e tradimenti, minacce e ritorsioni. C’è sempre una promessa, flebile che però alimenta quella speranza che ti dice di fare come ti viene detto, che se ti mostri all’altezza di quello sforzo richiesto sarai ricompensato con delle garanzie contrattuali in più, o magari ti verranno aumentate le ore, oppure chissà cosa. Poco importa poi se questa promessa non viene mai mantenuta, tanto basta ammiccarla agli “operai” oggi per strutturare un’organizzazione del lavoro utile ai padroni di turno. Promesse o minacce, come anche quella di non finire come “quei negri della cooperativa”, il venire declassati o gettati via. L’egoismo dei più “garantiti” non ha quindi cancellato la lotta di classe, anzi ne è un suo prodotto. Si potrebbe dire che quell’egoismo ha forse esaurito la solidarietà di classe, ma sarebbe una banalità, perché il frazionamento delle posizioni lavorative nella fabbrica è il segno più evidente della rottura di un riconoscimento comune. Ma la sfida è proprio qui trovare, nella lotta, un nuovo riconoscimento possibile e questo non esiste al di fuori dello sviluppo dei conflitti esistenti. Anche e soprattutto quelli della cosiddetta lotta nella classe.
Lo sviluppo dei conflitti interni tra i diversi inquadramenti operai all’interno della fabbrica è quindi l’occasione per ribaltare il piano e individuare collettivamente i responsabili, per affermare una rivendicazione più ampia contro i padroni. Anche per questo sabato a Viadana un corteo convocato dall’Adl Cobas sfilerà per la cittadina a partire dalla vertenza Composad. Anche tra gli operai già assorbiti in cooperativa che guardavano da dietro i cancelli gli ex compagni di sciopero ancora in lotta, perfino tra i crumiri che provavano a forzare quel blocco di lotta, crediamo, ogni gesto fosse mosso da egoismo, rabbia e paura scatenate da una minaccia, quella di chi comanda. Il conflitto di classe, caro Fabio Poletti, sta tutto qui, in questi sentimenti o, altrimenti detto, in chi esercità la minaccia più grossa tra chi comanda e chi subisce il lavoro. Senza paura di chi oggi è dominato dalla paura, di quei colleghi che stanno al gioco di chi comanda, la lotta è sempre aperta.
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