Logistica di guerra: l’idea di difesa degli USA
I bombardamenti guidati da USA e Gran Bretagna in Yemen contro gli Huthi vengono spacciati dalla Nato come “difensivi”. Ma cosa difendono e per chi?
Dopo gli attacchi degli Huthi alle navi collegate ad Israele in solidarietà con la popolazione di Gaza il il volume di containers è calato a circa 200.000 al giorno rispetto agli oltre 500.000 giornalieri registrati lo scorso novembre. Le navi che hanno attraversato il Canale di Suez sono scese a 544 nei primi 12 giorni del 2024 rispetto alle 777 nello stesso periodo del 2023, una diminuzione pari al 40%. In particolar modo le navi che trasportano merci deperibili hanno preferito doppiare il Capo di Buona Speranza.
Gli effetti sull’economia del blocco imposto dagli Huthi per quanto al momento limitati sono evidenti: in Germania Tesla ha deciso di sospendere per due settimane la produzione nella sua unica fabbrica europea, situata vicino a Berlino, a causa della mancanza di componenti causata dai conflitti armati nel mar Rosso. La corporation di Musk nelle stesse ore in cui Regno Unito e Stati Uniti hanno optato per un intervento militare contro gli Houthi, ha annunciato che riprenderà la produzione a pieno regime non prima del 12 febbraio. In Italia il gruppo logistico SMET attraverso le parole del suo CEO Domenico De Rosa ha lanciato un monito: “Attenzione al forte rischio di un nuovo picco inflattivo a causa della guerra nel Mar Rosso e della nuova tassazione europea sul trasporto marittimo: le guerre non producono solo morte e distruzione, ma contribuiscono in maniera significativa anche al cambio delle rotte logistiche, modificando significativamente i tempi e i relativi costi per gli approvvigionamentii globali”. Le dichiarazioni di De Rosa sono interessanti perché ci spiegano gli intrecci logistici del capitalismo contemporaneo e perché la crisi del Mar Rosso preoccupa a tal punto i fautori del libero mercato: “Il rischio è alto per tutti perché gli Houthi considerano come bersaglio qualsiasi nave che secondo loro abbia legami con Israele. Sappiamo, però, che c’è una complessità dell’organizzazione del trasporto marittimo globale che rende difficile identificare una nave con una singola nazione. Non conta solo la bandiera: In gioco ci sono la proprietà della nave, la società che la noleggia e quella che la usa. Per contrastare gli attacchi degli Houthi, Stati Uniti e Gran Bretagna stanno rinforzando la presenza di navi militari nell’area”.
Il Mar Rosso, come già avevano dimostrato la pandemia e l’incidente Evergreen è uno dei colli di bottiglia determinanti del commercio internazionale ed una posta in gioco geopolitica. Ad esempio solo pochi giorni fa COSCO, la compagnia di stato cinese che fornisce servizi di logistica, aveva cancellato tutti i servizi per Israele, seguendo quanto già fatto a dicembre dalla sua controllata Oocl. Un segnale chiaro che la Cina inizia a comprendere che i tempi della moderazione stanno finendo.
E’ evidente che i padroni dell’intero indotto collegato alla logistica sono infuriati per questa situazione e le pressioni esercitate nei confronti del governo di Biden non devono essere state da poco. Secondo quanto riportato da alcuni media i primi piani per attaccare le loro postazioni militari in Yemen erano stati preparati settimane fa, ma l’amministrazione USA nutriva diversi dubbi sull’opportunità di questi attacchi. I rischi di allargamento del conflitto e di doversi impegnare direttamente nell’area a pochi mesi dalle elezioni con un quadro di consenso internazionale sempre meno coeso avrebbero dovuto scoraggiare Biden, ma è evidente che questa sarebbe stata l’ennesima ammissione che gli Stati Uniti non sono più in grado di essere i garanti militari di ultima istanza del “libero” mercato. Il nuovo attacco di questa notte, al netto delle dichiarazioni di ieri che sostenevano che non erano in programma altre operazioni dimostra che l’effetto sortito da questa iniziativa non è al momento quello sperato.
Lotte anticoloniali, crisi economiche e tensioni geopolitiche si intrecciano in maniera sempre più evidente, ma in questo contesto gli unici interessi che i nostri governi sono impegnati a difendere sono quelli del grande capitale internazionale e del dominio politico occidentale. Nuove crepe si aprono.
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