Landini il “Rivoluzionario”
Ma Landini è veramente un feroce rivoluzionario come lo presentano?
Leggendo il suo ultimo libro, “Forza lavoro” (1), non dà questa impressione,un vero peccato che Landini abbia usato nel titolo il concetto di forza-lavoro senza conoscerne veramente il significato. E’ Marx che ne fa uso nell’analisi del rapporto fra capitale e lavoro, ma è ben altra cosa.
Già la sintetica lettura del secolo scorso che appare all’inizio del libro, lo vede lontano e di parecchio dalla tradizionale critica operaia al capitalismo, dalla critica dell’economia impostata da Marx.
Secondo il Nostro, lo sviluppo capitalistico, in un “equilibrio sempre precario” con la “democrazia”, ha avuto un percorso tutto sommato lineare, con miglioramenti costanti, “conquiste come lo stato sociale”, per tutto il novecento. “Oggi è subentrata una discontinuità” a causa di un “capitalismo finanziario senza regole e vincoli sociali”.
Come si può individuare uno sviluppo lineare in un secolo dove c’è stato fascismo e nazismo e due guerre mondiali entrambe determinate da crisi economiche generali?
I miglioramenti e le “conquiste” per gli operai, cui Landini si riferisce, si hanno solo negli anni sessanta, in particolare alla fine di quegli anni, e sono frutto del boom economico prodotto dalla ricostruzione postbellica degli anni cinquanta e del fatto che gli operai ne seppero utilizzare i margini con lotte accanite, scavalcando gli organismi sindacali ormai compromessi come le Commissioni Interne, ed aprendo la fase dei Consigli di Fabbrica degli anni 68 – 73. Ma è anche chiaro agli operai che miglioramenti e “conquiste” sono ben piccola cosa rispetto all’enorme arricchimento di cui in quegli anni godono la borghesia e le classi superiori. Solo poche briciole dello sviluppo economico, frutto del lavoro degli operai, toccano loro. Miglioramenti e “conquiste” che già nei primi anni settanta vengono rimessi in discussione dalle prime avvisaglie di una nuova crisi economica.
Gli anni ottanta sono anni di ristrutturazioni e licenziamenti, basti pensare al dimezzamento della forza lavoro in quasi tutti gli stabilimenti FIAT. I ritmi e la produttività aumentano, però, in modo inversamente più che proporzionale al numero di addetti.
Dove c’è la continuità? In realtà il processo è apertamente discontinuo ed è caratterizzato dalla lotta tra padroni e operai.
I primi cercano di aumentare sempre di più il tempo di lavoro non pagato dei secondi contenendo i salari, e i secondi cercano, al contrario, di difendersi dai ritmi ossessivi, dall’allungamento del tempo di lavoro, dai bassi salari. E’ una vera e propria guerra, con alti e bassi, tra interessi inconciliabili all’interno di un meccanismo infernale per gli operai che nelle fasi di prosperità vedono allargarsi la distanza fra la loro condizione e quella delle classi superiori mentre nei periodi di crisi precipitano in basso nella scala sociale.
La parola“conflitto”, non la realtà di esso, che Landini pone come elemento centrale nella dialettica democratica, per i padroni è oggi veramente il diavolo. Quando sono costretti, quando ci sono i margini economici per tollerarlo, lo accettano controvoglia e cercano di relegarlo nell’ambito sindacale, di “istituzionalizzarlo” nella dialettica parlamentare, di allontanarlo sempre e comunque dalla fabbrica. In quei casi, e solo in quei casi, mediano e sono “democratici”.
Il conflitto tra capitalisti e operai ha solo esiti temporanei. Landini invece, pensa che tra operai e capitalisti ci sia “la possibilità di partecipare alla decisione sulle scelte e all’individuazione delle soluzioni, attraverso un confronto libero tra diversi punti di vista, cioè tra soggetti che hanno opinioni distinte e che solo un confronto e un conflitto democratico possono provare a ricomporre”.
Quella che in realtà è una feroce guerra, a volte sotterranea a volte aperta, perennemente in corso fra padroni e operai, con una classe che sottomette l’altra, costringendola a lavorare per fare la bella vita, assume agli occhi di Landini l’aspetto di un libero e pacifico gioco democratico fra opinioni e punti di vista diversi.
In questa distorta visione, lo stesso conflitto, da momento di resistenza degli operai contro l’enorme pressione padronale che li opprime, appare come un semplice modo per produrre una ricomposizione degli interessi. Il mondo è rovesciato, il conflitto è in realtà il modo di manifestarsi dell’antagonismo degli interessi e quello che appare come una “ricomposizione” è solo una tregua, un accordo transitorio, sempre instabile.
La continuità dei miglioramenti del novecento è venuta meno nel secolo attuale, secondo Landini, per due motivi fondamentali: il peso crescente della finanza e la libera circolazione dei capitali a livello mondiale. Questo “ha rotto l’equilibrio tra capitalismo e democrazia”. La messa in discussione dei contratti nazionali di lavoro, l’aumento della concorrenza tra lavoratori, la precarizzazione del lavoro, sono state le conseguenze.
Come correre ai ripari? “Un nuovo rapporto tra legge e contrattazione collettiva”. “Minimi salariali definiti nel contratto”. “Ridistribuzione della ricchezza”. Nuovo “modello di sviluppo”. Stabilire “cosa significa lavorare e qualità del lavoro, … cosa e come si produce, e con quale sostenibilità ambientale”. “Intervento dello stato in economia, leggi che limitino la circolazione dei capitali e il peso della finanza”. E principalmente, la politica “che deve ritornare a rappresentare gli interessi delle persone che lavorano”.
Partendo dal presupposto che è “il confronto libero tra diversi punti di vista” che determina la realtà, Landini ci elenca le sue soluzioni. Quello che ne esce è un mondo al contrario.
La tendenza alla globalizzazione e l’aumento del peso della finanza in economia sono scelte che per Landini bisogna correggere per “legge”.
Perché tutto ad un tratto il capitalismo sia diventato più cattivo non lo si capisce. Si tratta in realtà del naturale sviluppo capitalistico. Il fatto che esso abbia ormai soppiantato dappertutto le economie precedenti e abbia creato modelli di produzione e consumo comuni, con il risultato di portare dappertutto le produzioni basandosi sul principio che è vitale trasferirsi nelle aree dove è più conveniente produrre, dove il costo del lavoro è più basso, dove ci sono meno vincoli alla produzione, dove le materie prime sono più disponibili e, nello stesso tempo, dove le merci possono essere più facilmente vendute, rimane, nella visione di Landini, inspiegabile. Se avesse studiato un po’ di più la distinzione fra lavoro e forza-lavoro, plusvalore e profitto forse non avrebbe sparato le solite frasi fatte sulla finanziarizzazione dell’economia.
Come inspiegabile è per Landini lo sviluppo della finanza rispetto alla manifattura. Perché non sa cosa sia la crisi di sovrapproduzione: e la crisi diventa figlia di cattiva volontà e leggi sbagliate. Basterebbe guardare gli indici che mostrano lo sviluppo delle rendite finanziarie, come tentativo di fronteggiare la caduta del saggio dei profitti industriali, per capire che la fuga dalla produzione è dovuta alla crisi che nasce dalla sovrapproduzione a certi saggi di profitto della produzione stessa e i capitali scappano nei luoghi dove possono ancora crescere, prima di sgonfiarsi anche lì perché è il plusvalore estorto agli operai l’unica fonte dei profitti del capitale. Landini non comprende che è proprio nell’equilibrio fra democrazia e capitalismo, nel rapporto “normale” fra padroni ed operai, che è sempre e comunque un rapporto di sfruttamento, che trovano origine le crisi con tutte le nefandezze che tanto colpiscono l’animo del nostro sindacalista.
Secondo Landini, lo strapotere della finanza e la libera circolazione dei capitali, avendo reso sempre più ingordi i capitalisti, li ha portati allo scontro con gli operai. Lo scontro fra operai e padroni andrebbe ricondotto nel quadro della grande crisi odierna, ma chiediamo troppo.
Nello scontro di oggi i più determinati si sono mostrati Marchionne e la FIAT che hanno fatto da battistrada all’intera classe dei capitalisti, e che hanno dato l’esempio di come il capitale industriale affronta la sua crisi schiacciando gli operai.
Il punto di svolta viene individuato con il referendum imposto dall’azienda a Pomigliano nel 2010. In realtà il “piano Marchionne” inizia più di due anni prima, con la repressione degli operai più combattivi organizzati nel “potere operaio”, i “corsi” ideologici agli operai, il confino dei 316 operai sindacalizzati a Nola.
Dopo che Marchionne ha saggiato la debolezza degli operai e ha allontanato dallo stabilimento i più combattivi, impone agli operai rimasti le regole del “nuovo corso” attraverso un referendum farsa.
La FIOM dichiara ufficialmente illegittimo il referendum, ma non lo boicotta, né tantomeno dà indicazioni di voto agli operai (2). Addirittura non attua nessun controllo nei seggi. La CGIL e il PD si schierano apertamente con Marchionne e si mobilitano affinché la FIAT “abbia almeno l’85/90% dei sì”. Nonostante l’inazione della FIOM e lo schieramento della cosiddetta sinistra a favore di Marchionne, il 40% degli operai vota contro il piano aziendale. Se invece per azione sindacale si intende la comparsa televisiva di Landini bisogna riconoscere che si è “sbattuto” tanto. Ma il lavoro sindacale in fabbrica è un’altra cosa.
Si apre una fase di attivismo della FIOM, ma con iniziative sempre lontane dai cancelli degli stabilimenti. Arriva la manifestazione del 16 ottobre 2010. Grande bagno di folla, partecipazione massiccia dei vari “movimenti”, ma nessuna risposta né da parte dei padroni, né dalla politica. La situazione peggiora ancora. Il piano Marchionne trova ormai applicazione non solo nel comparto FIAT, ma anche nelle altre realtà industriali. Nelle fabbriche tutto tace. Gli scioperi tra gli operai che lavorano, sotto minaccia, con la concorrenza di migliaia di loro compagni in cassa integrazione o disoccupati e con le fabbriche che funzionano a singhiozzo, non hanno molto spazio e comunque la FIOM non li proclama. All’esterno nessuna iniziativa viene presa per mobilitare i cassintegrati.
Dopo un anno di stanca, viene organizzata una nuova manifestazione generale a Roma, stavolta i giovani disoccupati non ci stanno alla solita passeggiata inconcludente e cercano lo scontro, vogliono farsi sentire. Non è opera di “pochi esagitati”, infatti la polizia viene allontanata con la forza da piazza san Giovanni e non ci potrà tornare per ore.
La FIOM, insieme ai sindacati alternativi, attacca i giovani manifestanti impegnati negli scontri e li accusa di essere dei “provocatori”. Molti giovani, perlopiù presi per caso nella manifestazione, andranno in carcere con punizioni esemplari. Landini, seppellendo le proteste più radicali alle quali partecipa in prima fila la gioventù operaia, seppellisce la stessa ribellione nelle fabbriche. Soffocano un movimento di rottura appena iniziato in cui le “passeggiate”(3) dimostrano il loro fallimento: non rimane che ritirarsi a casa e aspettare. Un bel risultato per i sostenitori del conflitto a parole.
Di fronte alla crisi e alle sue conseguenze, Landini dimostra di non avere risposte. I padroni si stanno riorganizzando. Puntano a tagli ancora più consistenti della spesa sociale. Di fronte alle manifestazioni di protesta contro le loro politiche rispondono con l’indifferenza, o con la repressione. Addirittura, cominciano a mettere in discussione vecchi privilegi di ceti che loro stessi hanno inventato e con questo tendono a ridurre la quota di profitto che nei periodi di espansione economica destinavano ai loro sostenitori. Vogliono ridurre la “spesa della politica”, tagliare drasticamente le tasse alle imprese, eliminare gli ultimi residui di democraticismo. Vogliono pochi politici, ma pronti e decisi nel sostenere le loro direttive. Letta, Renzi, Berlusconi, destra o sinistra, a loro interessa poco chi governi, l’importante è che difendano i loro interessi e eseguano con tempismo quello che loro stabiliscono. A questo servono i governi “di unità nazionale” e alla stessa cosa mira la riforma elettorale di Renzi.
Di fronte a questo carro armato che ha come contraltare la repressione di chi non ci sta, Landini cosa ci propone? Organizzare gli operai? Portare a fondo la critica al sistema dimostrando che esso non ha futuro ed è solo portatore di immani tragedie? Affermare che gli interessi degli operai e quelli dei padroni sono inconciliabili, in special modo nella crisi?
Niente di tutto questo.
La risposta di Landini è: “La vera alternativa alla deriva in corso … è ripartire dalla Costituzione, dai suoi principi, dai suoi valori”. Ripropone quella che fu il quadro legislativo e istituzionale dopo la seconda guerra mondiale in Italia, mai un bilancio serio del perché una parte della Costituzione è rimasta lettera morta, inapplicata e inapplicabile. Si scoprirebbero cose interessanti su come è nata e cosa ne ha fatto la borghesia al potere, un quadro costituzionale. Un quadro utilizzato, finché è andato bene, dalla borghesia per ingabbiare gli operai ed evitare la resa dei conti dopo il macello provocato dalla loro crisi del 29 e dalla conseguente guerra. Quel quadro però, aveva davanti la ripresa economica determinata dalla ricostruzione post bellica e una certa forza degli operai, anche se erano sotto il controllo del partito comunista che già stava iniziando il suo percorso verso il riformismo.
Oggi quella situazione non c’è più, gli operai sono ancora più deboli e c’è la crisi economica. Condizioni completamente diverse. Vogliono mettere mano alla Costituzione perché, fatto fuori il pericolo dell’emergenza operaia, vogliono una riorganizzazione del loro potere.
Lo stesso sindacalismo riformista viene messo in discussione. La FIOM, infatti, sta perdendo drasticamente iscritti e soldi. La CGIL, per tentare di salvarsi, si prostra sempre di più davanti a Confindustria, riaccodandosi ai suoi più omologati fratelli di CISL e UIL.
Landini proclama le sue parole d’ordine: “Ridistribuzione della ricchezza, ridistribuzione del lavoro … intervento pubblico in economia”. Senza vedere che su queste ricette ci stanno lavorando anche i padroni. Tagliare un po’ le rendite improduttive, fare un po’ di “contratti di solidarietà” dove servono, riducendo i salari, intervento dello stato per sostenere l’industria italiana, sono elementi dei programmi di governo dei funzionari politici del capitale, sia della destra che della sinistra. Queste misure verranno applicate se serviranno alla tenuta del sistema economico dei padroni, ma non le contratteranno con Landini. Il tempo delle mediazioni con il sindacalismo riformista è finito, ormai è Marchionne il nuovo profeta.
Franco Rossi
Note:
(1) Maurizio Landini, Forza Lavoro, Feltrinelli, Milano, 2013
(2) “Per la Fiom quel referendum è illegittimo, inaccettabile, persino per statuto, perché nella sua legge “costitutiva” la Cgil afferma che ci sono diritti – come quello di sciopero – indisponibili alla contrattazione sindacale, poiché appartengono alle persone; come per altro, prescrive la Costituzione. Noi non lo riconosciamo, ma non diamo indicazioni di voto e invitiamo le persone a esprimere comunque la loro preferenza, perché c’è il rischio che, astenendosi, i lavoratori vengano schedati. Ci prendiamo la responsabilità di non firmare un simile accordo che viola diritti sanciti dalla Costituzione. Non chiediamo qualcosa di più, non presentiamo una piattaforma rivendicativa. Quello che chiediamo è di rimanere dentro l’ambito del Contratto nazionale. Siamo pronti persino ad affrontare una diversa organizzazione del lavoro, a cambiare i turni e a lavorare di più, ma all’interno di uno schema che tenga aperta la possibilità di contrattare con regole definite. Incredibilmente questa posizione di semplice garantismo viene bollata di estremismo e messa sotto assedio” (Landini, Forza lavoro, pp. 56-57). E’ facile comprendere come “questa posizione di semplice garantismo” fosse ad un tempo destinata ad essere lontana dagli operai, in quanto pronta ad accettare tutti i peggioramenti nell’organizzazione del lavoro, nei ritmi, nelle pause, previsti dall’accordo, e fosse invisa all’azienda, in quanto il nuovo e più pesante livello di sottomissione degli operai raggiunto dall’accordo risultava incompatibile col vecchio quadro normativo e contrattuale.
(3) Ovviamente, Landini ci dà una lettura diversa dei fatti, sempre nello spirito “complottistico” tipico della sinistra riformista. “Gli scontri incidono pesantemente su ciò che accade nelle settimane seguenti, tanto quanto l’escalation dello spread e la lettera della Bce. Non è un caso. Gli scontri sono stati la benzina sul fuoco in una situazione già incandescente. E per questo devono essere stati progettati e preparati. Il risultato è stato la cancellazione di un anno di mobilitazioni e crescita politica …. Questo spiega anche il nuovo caso italiano, unico paese in Europa a non avere alcuna reazione sociale di fronte alle misure di austerità del governo: il messaggio che arriva dalla “doppietta” scontri del 15 ottobre-nascita del governo Monti è che non si possono affrontare i problemi e risolverli con l’azione collettiva, che la risposta può essere solo individuale e che i sacrifici si possono gestire solo rifugiandosi nella famiglia”.
da Operai e teoria
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