Le cazzate di Chomsky sugli antifa
Hanno fatto discutere le recenti dichiarazioni di Noam Chomsky in merito alle strategie militanti della nuova cosiddetta alt-left americana. Il noto linguista e intellettuale della sinistra americana, pur sempre un sincero democratico, di quelli ospitabili sul l’Espresso, per intenderci, si sarebbe scagliato contro i gruppi antifascisti che materialmente si oppongono alla recrudescenza delle formazioni paranaziste, suprematiste e razziste statunitensi che con vigore hanno aumentato la propria presenza pubblica dopo l’elezione di Donald Trump.
“Gli antifa – ha dichiarato Chomsky – sono il regalo più grande che si possa fare alla destra, inclusa la destra militante. Quando il confronto politico scivola nell’arena della violenza è il più duro e brutale ad averla vinta, e sappiamo chi è (sic). Gli antifa, una minuscola frangia, come lo erano i loro predecessori [what!?], sbagliano di principio nel bloccare i comizi”.
Una grammatica politica certamente più familiare in campo continentale ma che ora – è un fatto – inizia a essere masticata, come novità, anche nel dibattito della sinistra americana che si ritrova a chiedersi, davanti a una inedita iniziativa militante: “chi sono gli antifa?” Purtroppo le parole di Chomsky rimasticano tutto il noioso campionario della critica della sinistra europea alla militanza antifascista, tra impotenza, vittimismo e vocazione alla sconfitta nella ricerca di improbabili garanzie democratiche per riequilibrare la violenza del nemico politico. Per paura. Ma di garanzie ce ne sono poche. Insomma, Noam, sono solo vecchie cazzate, come quelle dei tuoi predecessori, come quella di voler dimostrare di essere i più bravi a giocare al gioco delle libertà civili, della libertà di organizzazione e di parola, proprio a chi di quel gioco e delle sue regole non se ne cura affatto.
Le parole di Chomsky stridono in modo particolare perché sono giunte a tre giorni dall’assassinio di Heather Heyer, investita da un suprematista bianco a Charlottesville mentre si opponeva a una marcia razzista. “Bisogna convogliare la rabbia in gesti giusti, voglio questo per crescere come forza, non perché altri muoiano, questa è l’inizio dell’eredità di Heather, non la fine”, aveva dichiarato la madre durante la cerimonia funebre, rivendicando fino in fondo le scelte della figlia e rifiutando un colloquio con Trump. Un esempio raccolto collettivamente solo pochi giorni dopo le sparate di Chomsky quando sabato scorso in quarantamila a Boston hanno impedito a trenta razzisti di fare un comizietto in nome della libertà di parola. Com’era? Una minuscola frangia che alimenta la violenza dell’estrema destra…
Ci asteniamo da ulteriori valutazioni, ma è evidente come in quest’ultimo anno si stia sviluppando uno scontro per ridefinire strategie in alleanze più ampie all’interno della sinistra americana alternativa ai democratici. Un vero processo politico aperto, che non ha un suo copione e non per forza prevede l’unità della sinistra antirazzista, come confermano i fatti di Dallas sempre di sabato 19 dove ci sono stati tafferugli tra antifa e rappresentanti di Black Lives Matter ai margini di una marcia anti-suprematista. I gruppi antifascisti rappresentano una novità militante aggregatasi nell’ultimo anno nelle principali città americane per rispondere al crescere del protagonismo delle formazioni razziste dell’estrema destra alimentate in primo luogo dagli ambienti repubblicani che hanno sostenuto Donald Trump. Si tratta principalmente di una risorsa politica e organizzativa della gioventù bianca che riflette uno scontro dentro le comunità non nere contro le opzioni razziste e che rivendica con disinvoltura e determinazione, anche contro il pesante fardello delle tradizioni del pluralismo democratico, il diritto a farla finita con una storia americana bianca irrivendicabile. A freedom challenge.
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