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Le dimissioni del Papa «politico»

Forse la scelta della giornata della comunicazione ufficiale del ritiro non è casuale. Nel codice di un mondo come quello della Chiesa cattolica i gesti di questa portata hanno sempre un significato preciso. Molti quotidiani hanno oggi sottolineato il carattere “rivoluzionario” di una scelta che, ci viene raccontato, non avveniva da più di 700 anni. Si celebra così la “modernità” di una rinuncia che negherebbe il carattere divino (di quello che politicamente è un monarca assoluto) per restituirci l’umanità di un uomo alle prese con i dilemmi filosofici dell’epoca in cui tutte le certezze sono svanite. L’indicazione coglie sicuramente nel segno: Benedetto XVI è stato sicuramente un Papa che ha combattuto ostinatamente la secolarizzzazione dei costumi e delle scelte etiche, facendosi alfiere di una battaglia a tutto campo contro il relativismo e la predominanza della scienza come surrogato della religione. Formatosi teologicamente (filosofocamente) in contrapposizione a grandi pensatori eretici (su tutti l’Ernst Bloch del “Principio Speranza” e forse ancor più di “Ateismo nel cristianesimo” del fatidico 1968 che ha segnato un punto di rottura storico sul piano politico, sociale e culturale -in quegli anni il futuro Papa insegnava a Tubinga come il marxista eterodosso) ha costruito la propria carriera ecclesistica su una restaurazione di modi e principi di una Chiesa che si pensa come continuità ed eternità di valori e dogmi, rifiutando gli accomodatamenti di mediazione col Secolo. Come il suo predecessore Woityla ha continuato il percorso di una chiesa schietamente anti-progressista ma a differenza di questi ha rifuggito le evangelizzazioni post-moderne tramite il mezzo televisivo, preferendovi le più ritirate e austere stanze vaticane (ha invero, in fin di pontificato, tentato di misurarsi con le forme più avanzate dell’interrattività telemeatica ma il lancio dell’hashtag #pontifex ha genenerato molta ilarità, forse troppa per un teologo formatosi alla scuola severa del Dogma).

Questa pronunciata allergia per le forme e le espressioni della società di massa non gli hanno ovviamente impedito di misurarsi con essa, ma i termini della relazione sono stati più quelli dello scontro che non quelli del confronto. In questo Benedetto XVI ha riporato alla luce una presenza della Chiesa come differenza (ricercata) e alterità (pretesa) a un Secolo in cui in fondo sta fin troppo bene. Non si tratta qui di cantarne le lodi quanto di riconoscere che a un’epoca in cui si canta l’indistinto questo vecchio tedesco ha preferito il campo della battaglia politica, culturale e filosofica. Che questa abbia avuto e avrà conseguenze non trascurabili sulle vite di molte persone  è innegabile, ma è pur questo che fanno i portatori di un messaggio che si pretende auto-sufficiente. Ratzinger era un nemico, su questo non c’è dubbio, ma almeno restituiva il senso di una battaglia.

Resta da interpretare il significato vero di un gesto che tutti si premono di lodare e leggere come emblema di una vittoria e che secondo noi esprime piuttosto la sconfitta di una Chiesa che, almeno nell’Occidente della modernità ultra-liberale, ha perduto la propria capacità di influire sulle cose del mondo terreno (buona al più a muovere un po’ di voti e le ubbidienze interessate dei politicanti – una sorta di indulgenza per l’aldiquà). Benedetto XVI probabilmente non ha voluto farsi riprendere in mondovisione con le bave alla bocca, magari non intendeva terminare il pontificato pronto a riconoscere i matrimoni omosessuali… o forse, più banalmente, per evitare di esser tirato in ballo sulla pubblica piazza da nuovi scandali, forse deposto da altre fazioni e altri interessi in seno alla Chiesa.  Non lo sappiamo e in fondo non ci interessa neanche tanto. Siamo però certi le grandi battaglie del futuro non saranno tra la Chiesa e il Secolo, né con altre chiese e religioni ma, ben più materialisticamente, dentro questo Mondo, tra espropriati e sfruttatori… come sempre.

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