Madrid: #efectoGamonal vs “prospettive” europee
Arrivava a Maggio, a breve distanza di tempo dall’esplosione di altri movimenti, dalla radicalissima Casbah di Tunisi al fenomeno Occupy Wall Street partito ovviamente da New York.
“Democracia Real Ya!” “una vera (diretta) democrazia, adesso!”, la parola d’ordine che risuonava nelle piazze, per un movimento che da un certo punto di vista somigliava nelle pratiche a quello, soffocato dalle istanze riformiste, del precariato studentesco dell’ Onda Anomala e,
tangentemente, a quell’odio anticasta e pieno di moralismo giustizialista incanalatosi nel primo grillismo nostrano.
Nulla a che vedere, a prima vista, con una esplosione di vitalità e una messa in discussione del regime della crisi tanto forte quanto mezcla formidabile di organizzazione e spontaneità, comunicazione virtuale e pratiche di piazza inclusive, di cui quello spagnolo è stato ed é capace.
Molte le pratiche rispolverate dal Movimento 15M, tante altre le innovazioni nell’armamentario della protesta: su tutto, la capacità di un coinvolgimento trasversale e interclasse che, se da una parte ha vissuto di marcati accenti populisti, dall’altra è riuscita a darsi elementi di radicalizzazione di massa. Un movimento inclusivo, che ha vissuto nelle sue variegate forme del leit motif della resistenza passiva e la conseguente indignazione di fronte all’arroganza repressiva avallata senza molti scrupoli dal Governo.
Un movimento che, comunque, continua ad evolversi e consustanziarsi, prendendo diverse forme in base poi alle radici ideologiche o agli obiettivi sistemici che le sue componenti si danno. Differenze interne che vengono fuori col tempo e che poi si rivelano nella messa in campo di pratiche e legittimazione di queste.
La mobilitazione impressionante dal punto di vista numerico e non solo di questa settimana a Madrid sull’onda del 22 Marzo ci parla proprio di questo, di differenze e prospettive.
A Madrid il 22 Marzo si è svolta una manifestazione immensa, l’epicentro della “Marcia della dignità” in cui sono confluite le marce provenienti da tutto il Paese.
Il frutto del condensamento di lotte che, partendo dal movimento degli Indignados in poi, si sono capillarizzate, hanno generalmente visto una chiara connotazione basata sulla resistenza quasi sempre passiva. Le parole d’ordine del movimento dall’esplosione di indignazione del 15M 2012 hanno sempre cercato di includere più settori sociali possibili in un generico rifiuto dei governi dell’austerità, dei tagli, e dei partiti politici che tradizionalmente si spartiscono il potere in continuità con l’epoca post-franchista. Il ricordo vivo della resistenza al franchismo è stato indubbiamente uno dei fattori culturali che ha favorito la fioritura di un movimento di massa che ha però finora sempre avuto dfficoltà nel tradurre il portato delle mobilitazioni in antagonismo.
A Madrid le comunità in lotta ci sono arrivate con il recente scossone dato dalla “battaglia” di Burgos, nel quartiere Gamonal : una lotta tenace e genuina, dal basso, che ha mostrato chiaramente a molte persone attive nel contrastare crisi e politiche a questa collegate che sono i rapporti di forza quelli che contano nel momento che si decide di vincere un’istanza, oltre che a rappresentarla.
Un fattore, l’ #effettoGamonal, che ha liberato energie altrimenti sopite in tutte quelle persone e comunità in lotta che da tempo attendono di poter esprimere il loro portato antagonista, testarlo, identificarsi in pratiche di rottura e non solo di testimonianza o d’opinione diffusa.
Vincere le vertenze, avere chiaro chi è e come si muovono le controparti, non cadere nella tensione dialettica e nelle tempistiche dettate da queste, sono tematiche che si affacciano sempre più nelle lotte sparse nella Penisola iberica: un chiaro riferimento può essere quella contro il caro-trasporti nel circondario di Barcellona, che nel blocco, nella vertenzialità non mediata e mai al ribasso stava ottenendo risultati importanti: anche qui, balza all’occhio che i rapporti di forza sono quelli che contano,al di là dell’armonia tra le parti sociali interessate.
Con questi “nuovi” presupposti la piazza di Madrid ha ecceduto dalla tradizionale rivendicazione di ascolto delle istanze popolari, con una parte importante di quella piazza che si è dimostrata disposta a un atteggiamento non solo passivo nei confronti delle mosse disposte dalla controparte, ma che generosamente non ha voluto cedere alle provocazioni poliziesche, rompendo fattualmente con i meccanismi di calmierazione del conflitto e la relativa paura di esso in quanto tale.
Gli scontri a campo aperto nella capitale hanno fatto da piccolo spartiacque nell’opinione interna all’ eterogenea piazza ispanica, non fosse altro perchè ha da subito messo a nudo lo schizofrenico posizionamento delle voci maggiormente interessate a usare la sponda data dal movimento di opinione per fare entrismo politico di rappresentanza.
I vari rappresentanti del “nuovo” che vedono il traguardo delle elezioni europee o coalizioni miste da mettere in campo a livello nazionale hanno da subito rimarcato una loro condanna per gli scontri successi a margine della manifestazione, alcuni hanno criticato velatamente la disorganizzazione degli apparati repressivi (sic!).. segno che qualcosa sta cambiando: una divaricazione dentro la piazza, con il ritorno puntuale della retorica violenza- non violenza ad uso e consuno poi del mantenimento delle relazioni di potere per quelle che sono tuttora.
In quest’ottica, viene evidente pensare, partendo dagli esempi postivi di #Gamonal e Barcellona, a quanto risulti importante che le lotte trovino uno slancio antagonista che le smarchi dall’omogeinizzazione al ribasso del movimento di opinione che non produce effetti di per sé benefici se si guarda poi ai processi di soggettivazione nei territori: l’ Effetto Gamonal, le lotte territoriali sempre più radicali, talora molto settorializzate ma comunque capaci di esprimere una rigidità in grado di mettere sull’attenti, se non quando far retrocedere, differenti livelli del potere che nei territori speculano, sfruttano, devastano quotidianamente, sono l’emersione di una spinta antagonistica per molti versi antitetica all’ opzione della rappresentanza di movimento.
Dentro il quadro delle mobilitazioni spagnole, emerge d’altro canto l’opzione incarnata dal “Movimiento por la Democrazia”, che si preoclama come una rete senza finalità elettoralistiche.
A fianco di questa proposta, assistiamo al contempo al rispolveramento di vecchie reti di riformismo radicale e di partiti dell’ “estrema” sinistra parlamentare in cui si innestano le figure nuove e maggiormente carismatiche emerse in questo piccolo ciclo di mobilitazione degli ultimi anni, con una spiccata vocazione a ergersi a rappresentanza elettorale di parte delle forze sociali convogliate nei movimenti di questi anni: un esempio in primis, l’opzione di “Podemos”.
Tornando al “Movimiento por la Democracia”, troviamo interessante intelleggere la “carta” di intenti che è stata presentata poco di un mese fa. Suoi cardini principali:
– l’esigenza di una rappresentabilità all’interno del quadro odierno della democrazia rappresentativa, per avere una supposta capacità di ribaltamento della forma di democrazia.
– una vocazione al cambiamento paradigmatico senza allusione a quale capacità di destituzione ed efficace indebolimento del sistema odierno si possa dare per affermare i valori della “nuova” democrazia.
– un carattere inequivocabilmente nazionale e centralista – essendo un messaggio elettoralista rivolto alla cittadinanza spagnola, che si rifà all’ordinamento elettorale della “democrazia” vigente – con da una parte, una allusione ad un cambiamento radicale della Costituzione del 1978, e dall’altra un riconoscimento effettivo delle Autonomie regionali e del diritto all’ Autodeterminazione dei Popoli.
Su questa opzione, che poi pare a prima vista riflettere grosso modo, la proposta di processo costituente caldeggiata e poi estesasi ad altre sinistre europee, di SYRIZA greca, avremmo molte cose di cui dubitare, con la modesta pretesa di provare a mettere in evidenza alcuni nodi critici della questione e, possibilmente, dibatterli.
Innanzitutto è da cogliere l’ambiguità della proposta: se ci si é voluti presentare non dichiaratamente a fini elettoralistici, si vanno a ricalcare poi schemi e progettualità proposte da partiti interni a sistemi di rappresentanza parlamentare…
Guardando all’oggi, (con l’inevitabile deformazione italica, pure con le grosse somiglianze con i processi politici e culturali spagnoli), é evidente come, nonostante i movimenti contro la crisi abbiano accelerato i processi di resistenza e organizzazione, entrino in gioco interrogativi relazionati ad un fattore essenziale:
– come si può parlare di rappresentanza per rovesciare il sistema democratico esistente se in nuce non esistono le condizioni di cambiamento date da chi dovrebbe essere il promotore “diretto” di questo cambiamento, ossia la “popolazione” o comunque una parte minoritaria di essa fortemente organizzata e disposta?
– Come fare a parlare principalmente di proposta costituente in grado di scardinare i rapporti di forza presenti in un mondo di relazioni regolato dall’interesse del profitto manovrato dall’alto, laddove ancora l’attacco a questa tipologia di relazioni non solo è insufficiente, ma necessita della sua autonomia temporale e spaziale fuori da gangli di una dialettica tutta interna al sistema che poi riconduce in ultima istanza alle attuali leggi di profitto?
-Come legittimare, in conseguenza della domanda-riflessione posta prima, uno spazio imposto dall’alto in nome della ridefinizione capitalistica come quello Europeo? Si badi bene,non si tratta di non tenerne conto, ma sicuramente nemmeno di pensarlo come spazio “neutro” in grado di per sé di bypassare le capacità della politica interna agli schemi nazionali: solo la finanza, guardacaso, si serve di questo sistema di relazioni, e legittimarlo equivale ad invigliarsi nella peggiore delle viscosità, e allontanarsi dai nodi di vero interesse per lotte che si pongono nell’attualità la concretezza delle vittorie e la ridefinizione dei rapporti di forza reali.
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