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Non sono mele marce. Le violenze strutturali del sistema carcere: il caso di Torino

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Il vaso di pandora è stato scoperchiato e ora settimana dopo settimana si aggiungono dettagli e particolari sulle condotte vomitevoli che 25 agenti della polizia penitenziaria coperti dal silenzio e dalla connivenza del direttore hanno compiuto per anni all’interno delle mura del carcere di Torino.

Lesioni, umiliazioni e  violenze divenute sistematiche ed organizzate sopratutto a partire dal 2017: celle dedicate ai pestaggi, squadrette di secondini, insabbiamento degli interventi medici non potevano far altro che portare all’accusa del reato di tortura per chi si sentiva protetto e sostenuto nel proprio agire.

Una falla nella fogna che rende possibile carriere veloci come quelle dell’ormai ex direttore Minervini… solo che a questo giro la puzza è stata cosi intensa che ha superato la cinta muraria e il nuovo responsabile del DAP si è visto costretto a destituire Minervini e il capo delle guardie Giovanni Battista Alberatonza. Non sfugge alla nostra attenzione la motivazione di tale decisione la cui ipocrisia così si manifesta: “motivi di opportunità.” Più che opportunità viene da pensare che si tratti di convenienza: risulta infatti evidente che ciò che si cela dietro a questa parola altro non sia il consueto tentativo di relegare violenze ed abusi insiti nel sistema carcerario ad atti singoli compiuti da “mele marce”.

La perplessità appare necessaria: per coprire il fatto che violenze e abusi siano pratiche consuete e necessarie per mantenere lo status quo che regna nei fortini-carcere ora Minervini viene sacrificato come capro espiatorio tra l’indignazione di chi in pochi anni gli ha permesso di rivestire quel ruolo.
Carriera rapidissima ed applaudita nel 2014 in occasione del suo insediamento a Lorusso – Cutugno: prima di Torino in pochissimi anni chissà quanti abusi le sue mani hanno insabbiato anche ad Asti, Alessandria e Cuneo dove ha svolto il medesimo ruolo.

Ora il DAP si dissocia da colui che nel 2006 e nel 2009 ha addirittura potuto svolgere attività di docenza nella Formazione per Vice Ispettore ed Agenti di Polizia Penitenziaria a Cairo Montenotte… c’è da chiedersi quale sarà stata la formazione elargita in questo contesto!

Tra gli indagati di questa maxi inchiesta che si basa su un fascicolo di oltre 5600 pagine troviamo anche l’ispettore Gebbia gia segnalato negli anni al DAP come agente particolarmente violento: sarebbe infatti merito suo la creazione e la scelta delle squadre di picchiatori e delle 4 celle destinate alle torture a cui hanno sottoposto decine e decine di detenuti.
Sempre più difficile per il DAP contenere e ridurre ciò che sta emergendo sul carcere di Torino ad un’esecrabile eccezione. Non ci possiamo infatti dimenticare che i vertici del DAP hanno ignorato per anni le montagne di segnalazioni arrivate sulle loro prestigiose scrivanie: un esempio tra i tanti è la storia di Antonio Raddi. A ventotto anni è morto infatti nel 2019 proprio nel carcere di Torino: la sua evidente situazione di sofferenza era stata segnalata dal garante dei diritti dei detenuti per ben 9 volte sia al direttore che al DAP. Dopo avere rapidamente perso 30 chili ed essere stato più volte portato in infermeria perchè “vomitava sangue” la risposta dei vertici del Lorusso – Cutugno era stata che la perdita del peso “era da considerare una modalità strumentale per ottenere benefici secondari”… e cosi con l’omertà e la connivenza di tutti Antonio muore al Maria Vittoria dopo essere entrato in coma. Il fatto che avesse più volte presentato lamentela per le condizioni igieniche in cui era costretto a vivere, per il fatto che nel suo cibo ci fossero insetti e muffa e che non venisse portato in infermeria quando stava male è anch’essa da considerare un’eccezione?

Sarebbe una “bella” favola con un “giusto” finale se ci accontentassimo di leggere la realtà cosi come il DAP ce la vuole far bere: nel rapporto annuale di Antigone proprio del 2017 troviamo però segnalazioni e casi di violenza non solo a Torino, ma anche ad Ascoli Piceno, Genova, Ivrea, Lecce, Palermo, Parma, Salerno, Roma e Pordenone… Quante “eccezioni” nelle fabbriche della violenza che a Lor Signori piace chiamare “case circondariali”.

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