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Nuove residenze universitarie e la morte del diritto allo studio a Torino

Le zone interessate dal progetto sono diverse, tra le più significative troviamo: gli ex Gasometri su corso Regina Margherita (zona campus Luigi Einaudi), Corso Farini (sempre zona campus), zona ponte Mosca su corso Giulio Cesare, l’ex manifattura Tabacchi, l’area Combi, tra via Filadelfia e corso Agnelli, le ex Officine Nebbiolo, via Fiocchetto e via Lombroso.
E’ chiaro che si tratta di zone già interessate a processi di costruzione speculativa e, come nel caso del CLE, di processi gentrificativi più ampi.
Il ragionamento si fa interessante quando andiamo a vedere da dove provengono i soldi, quali sono le ditte costruttrici interessate, le finanziarie private e, sicuri di non stupire nessuno, il ruolo della fondazione bancaria onnipresente/onnicomprensiva di Torino: la Sanpaolo.

Senza elencarle tutte, possiamo comunque sostenere che lo schema, a grandi linee, sia il seguente: Compagnia Intesa-San Paolo come garante e cofinanziatrice dell’operazione, Città di Torino come detentrice dei grandi immobili interessati, aziende straniere – in particolare londinesi e olandesi – come cofinanziatrici dei progetti (e forse anche future gestrici delle residenze), grandi ditte costruttrici torinesi, infine, per l’esecuzione dei lavori (es l’impresa Gilardi e Secap). La compagine locale di questa grande operazione immobiliare ha una storia che, da Tangentopoli agli scandali per le tangenti alle Molinette, passando per gli appalti di Città della Salute, è sempre presente e contigua sia a Intesa-San Paolo che al Pd.

Per parlare di questo progetto residenziale universitario, che sembra essere completamente declinato nel privato, dobbiamo però contestualizzarlo nella fase attuale che sta vivendo il welfare studentesco a Torino – sia dal punto di vista abitativo che da quello delle borse di studio e surrogati – e nel quadro del possibile aumento delle tasse universitarie (con conseguente ulteriore esclusione dal welfare per centinai di studenti e studentesse)  causato dal ricalcolo dell’Isee voluto dal governo Renzi.
Edisu nell’ultimo anno ha avuto un parziale rifinanziamento che è andato a coprire un pò  della voragine in bilancio e parte della montagna di idonei non beneficiari, lasciati scoperti dalla giunta Cota. Questo parziale rifinanziamento, spacciato come grande vittoria dei rappresentanti degli studenti (SI) e sbandierato come un feticcio in chiave elettorale per le prossime elezioni universitarie, è in realtà inficiato, per l’appunto, dal ricalcolo dell’Isee, così come molti altri servizi welfaristici. Tutto ciò a conferma, caso mai ce ne fosse ancora bisogno, di una direzione decostruttiva e trasformativa in senso privato del welfare studentesco in città e, dall’altro lato, di un’inutilità su ogni versante della rappresentanza studentesca, se non in chiave gestionale delle misure di taglio e di austerità portate avanti a livello regionale e universitario.

Inquadrato il contesto allora è facile immaginare che ruolo dovranno avere questi nuovi 5000 posti letto, ossia l’alternativa privata al servizio abitativo dell’Ente per il diritto allo studio. A questo va aggiunto anche il potenziale trasformativo rispetto ai canoni che porta con sè la costruzione di una residenza per studenti all’interno di una zona residenziale.
Guardando per esempio al CLE e al quartiere Vanchiglietta, ci rendiamo conto come la costruzione di queste residenze porterà, inevitabilmente, ad ulteriore aumento degli affitti.

Vediamo allora qual è nel concreto e oltre la retorica il paradigma di Torino-città-universitaria, ossia la trasformazione di alcune aree in zone di speculazione immobiliare che porterà alla costruzione di aree abitate da studenti grazie ai quali produrre consumo e profitto.

Questo processo non deve essere visto solo come un mero processo gentrificativo di alcune aree della metropoli, ma anche come una riorganizzazione geografica e una risposta scompositiva del soggetto studentesco al passato ciclo di lotte iniziato nel 2008 col movimento dell’Onda e conclusosi nel 2012 con lo sgombero della residenza occupata Verdi15. Anche se è difficile immaginare questa risposta come organizzata in modo coerente dalla controparte, gli effetti confermano sia l’attacco alle condizioni di vita del soggetto studentesco che la sua frammentazione e il conseguente isolamento. Quello che vediamo accadere in un area come quella intorno al CLE, porta di per sè profitto alle banche e continua ad arricchire una cerchia ristretta, ma si dà come processo in un contesto economico in stallo anche a livello metropolitano, che difficilmente si potrà riattivare se non attraverso meccanismi distruttivi. Così la zona universitaria rischia di prendere i contorni di un ghetto (chic), dove il profitto e (forse per la prima volta davvero per il soggetto studentesco) anche il consumo si traducono in impoverimento materiale e sociale.
Impoverimento materiale dovuto al gravare dell’aumento dei canoni e dei futuri posti a pagamento in residenza, all’aumento dei costi dei libri ecc.. sulle famiglie,  all’aumento del costo della riproduzione sociale in generale (a causa del quale sempre più studenti saranno costretti a lavorare), all’impoverimento sociale derivante dall’erosione del tempo libero caratteristico del vivere studentesco universitario; il tutto con una conseguente ricaduta in termini di relazioni sociali, socialità che la controparte prova (spesso senza successo) ad asservire al solo consumo (vedi questione «quartieri movida», complessivo aumento del consumo di droghe «pesanti») e al continuo tentativo di isolare la componente universitaria dal resto della composizione metropolitana.

Senza la pretesa di essere esaustivi, questi ci sembrano alcuni degli effetti le nuove speculazioni e messe a profitto del soggetto studentesco universitario portano con in seno con l’incedere della crisi economica. Le modalità dell’attacco vanno intesi in termini anche geografici, o meglio territoriali, là dove ci spingono a riflettere su dove e come siano possibili le lotte nell’università.

Proprio per questo, allora, occorre trovare spazi di aggregazione e ricomposizione che non possono che essere là dove è più difficile per la controparte dividere ed isolare, ossia in quegli spazi di formazione veri e propri e nei nuovi «poli» universitari, che spesso prendono a modelli campus idealizzati e asettici, ma nei quali le contraddizioni sono reali ed evidenti. Tocca a noi andare ed esplorarle, farle risaltare e ricomporle in senso conflittuale.

di Collettivo Universitario Autonomo – Torino

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