Prendere il razzismo seriamente
Una delle più frequenti critiche ai marxisti è quella di essere riduzionisti economici che mancano di prendere seriamente la complessità e le dinamiche specifiche di razzismo, sessismo ed altre forme di oppressione.
Sono critiche persistenti e frustranti, e non solo perchè ignorano sia un intero corpus di lavoro svolto dai marxisti nell’analizzare l’oppressione che una lunga storia di impegno socialista [qui e altrove nel testo distinto e contrapposto al socialismo reale di stampo stalinista: una idiosincrasia del lessico politico statunitense che si ritrova ad esempio in termini come “libertarian”, usato sia per indicare posizioni vicine all’anarchismo che a un liberalismo proprietario e favorevole ad uno stato minimo N.d.T.] nelle lotte di liberazione. Cosa ancora più importante, se c’è mai stata una fase che richieda un’analisi di classe, quel momento è adesso.
Dopo sette anni della prima nostra presidenza nera, le condizioni continuano a peggiorare per la classe operaia e gli afroamericani poveri. La disoccupazione dei neri resta il doppio di quella dei bianchi, il tasso di povertà dei neri è fermo a quasi il 28%, ed il 40% dei bimbi neri vive in povertà. Più di un milione di neri è in prigione, e c’è un’epidemia di violenza poliziesca.
Eppure la persistenza della povertà e della repressione statale esiste in un epoca di inaudito potere politico nero. Per fare un esempio a Baltimora, dove sono scoppiate le proteste della scorsa primavera a seguito dell’assassinio di Freddie Gray, il sindaco, il capo della polizia, il pubblico ministero e la maggioranza del consiglio comunale sono tutti neri.
Nell’ultimo anno abbiamo assistito a questa tensione tra l’establishment politico nero ed una nuova generazione di attivisti — forse in maniera maggiormente visibile quando gli organizzatori di Ferguson hanno preso la parola ad un raduno a Washington per sfidare Al Sharpton. I media hanno descritto quel momento come uno scontro tra i giovani ed i vecchi, ma era molto più direttamente il prodotto delle divisioni di classe che si sono sviluppate nell’America nera.
Un nuovo movimento di liberazione nera è diretto a fare un bilancio di questa epoca post-diritti civili e sviluppare adeguate strategie e rivendicazioni. Dovrà sviluppare un’analisi delle determinanti strutturali del razzismo che possano controbattere le mitologie della ricerca del capro espiatorio e della cultura pauperista che dominano il discorso sulla povertà nera.
In questo contesto, una discussione della relazione tra razzismo e capitalismo non è mai stata tanto pertinente. Questa è la ragione per cui il recente articolo di Seth Ackerman sul razzismo e la disuguaglianza economica è tanto deludente.
Il pezzo di Ackerman si rivolge alle recenti critiche secondo cui la campagna presidenziale di Bernie Sanders sia sorda alle richieste di prendere il razzismo seriamente ed invece si concentra troppo pesantemente sulle soluzione economiche come panacea. Ackerman dissente, e confeziona un ragionamento per cui “il razzismo è semplicemente un sintomo di disuguaglianza economica.”
Ma nonostante la sua invocazione di Marx, non offre un’analisi marxista ma una tipologia di populismo di sinistra imperniata sul più nudo riduzionismo economico, utile solo a cementare ulteriormente il tropo che la sinistra si rifiuti di vedersela seriamente con il razzismo .
C’è una serie di problemi nel pezzo di Ackerman, alcuni che hanno a che fare con ciò che viene affermato ed altri con ciò che non lo è. La prima problematicità sorge dal linguaggio utilizzato – argomentare che il razzismo sia radicato nel capitalismo non è affatto la stessa cosa che dire che sia radicato nella disuguaglianza economica. La disugueglianza di reddito, sebbene sia una caratteristica costante del capitalismo, non è sinonimo di esso.
Questa distinzione ha implicazioni politiche importanti. Ackerman domanda retoricamente, “Ma cosa sono la schiavitù, il colonialismo, Jim Crow, e l’apartheid urbano se non forme estreme di disuguaglianza economica?” Quindi cita un brillante passaggio di Barbara Fields in cui ella deride l’idea che “l’attività principale della schiavitù [fosse] la produzione della supremazia bianca piuttosto che la produzione del cotone, dello zucchero, del riso e del tabacco.
Ma ciò che la Fields sta descrivendo nel saggio citato non è semplicemente la creazione di disuguaglianza economica, ma le fondamenta della schiavitù americana – il processo tramite cui gli africani furono spossessati con la forza, separati fisicamente dalle proprie case, e portati contro la propria volonta in una terra straniera. Ella descrive come l’ideologia razziale sia emersa sia come modo di giustificare questo spossessamento che come suo risultato. Fields spiega potentemente come la schiavitù sia emersa nel contesto del primo capitalismo americano e, come risultato, il razzismo e l’ideologia razziale furono costruiti nel fondamento economico di questo paese fin dal suo inizio.
“Disuguaglianza economica” è una frase inadeguata per catturare la pura brutalità di questo processo, e l’idea che la disuguaglianza razziale ne sia un sintomo fallisce nel catturare le dinamiche con cui il capitalismo è stato instaurato negli Stati Uniti e da cui viene sostenuto. Come Marx ha scritto nel Capitale:
La scoperta dell’oro e dell’argento in America, lo sradicamento, la riduzione in schiavitù e la tumulazione nelle miniere della popolazione indigena di quel continente, gli inizi della conquista ed il saccheggio dell’India, e la conversione dell’Africa in una riserva per la caccia commerciale dei pellenera sono tutte cose che caratterizzano l’alba dell’era della produzione capitalista. Questa idilliaca succesione di eventi è il momento clou dell’accumulazione primitiva…Il Capitale arriva sgocciolando da capo a piedi, da ogni poro, di sangue e polvere.
Il razzismo ed il capitalismo sono cresciuti assieme in America e non possono essere separati l’uno dall’altro. Il razzismo non è semplicemente un prodotto della disuguaglianza economica, ma anche una parte di come quella diseguaglianza venga prodotta e mantenuta. E’ così intessuto nella trama del capitalismo che il sistema stesso deve essere smantellato. Ma allo stesso tempo, un progetto socialista in questo paese può riuscire solo se viene accompagnato da una lotta per la liberazione nera.
Questa comprensione del capitalismo e del razzismo è piuttosto diversa dall’affermazione di Ackerman che il razzismo sia semplicemente un prodotto della disuguaglianza economica. Se lo fosse stato, alluderebbe al fatto che la via principale di affrontare il razzismo sia di combattere la disuguaglianza economica.
Ma questa affermazione ha bisogno di essere esaminata più attentamente. E’ certamente vero che la lotta contro il razzismo oggi deve comportare un programma radicale di rivendicazioni economiche. Queste includerebbero richieste di un’enorme espansione dei posti di lavoro, l’aumento dei finanziamenti per il settore pubblico, un aumento dei salari minimi, ed un aumento delle tasse per i ricchi. E’ anche chiaro che tali riforme beneficerebbero l’intera classe lavoratrice e ridurrebbero la disuguaglianza di reddito. Ma tali richieste non possono essere scollegate, o porsi al posto di richieste esplicite attorno al razzismo.
Come mostrano gli annali storici, non possiamo presumere il fatto che le riduzioni nel livello totale di disuguaglianza sgoccioleranno fino agli afroamericani. Nell’epoca d’oro del capitalismo americano del dopoguerra, un’epoca che molti liberali di sinistra vorrebbero tornasse, la disugueglianza economica era molto più bassa rispetto ad oggi, ma non c’era alcuna corrispondente riduzione della disuguaglianza razziale. Semmai era persino più marcata — nel 1959 più di metà delle famiglie nere viveva in povertà, a fronte del 15% di famiglie bianche.
Più di recente, mentre l’economia iniziava a riprendersi a seguito della crisi finanziaria, la disoccupazione nera svettava ancora, raggiungendo un picco del 16.8% nel 2010. Ha iniziato a calare solo nello scorso anno.
Combattere la disuguaglianza economica non è sufficiente – qualsiasi sfida al capitale deve essere unita a richieste di riforma specifiche per razza. I programmi di lavoro dovrebbero includere politiche di azione affermativa ed una proibizione rispetto alla discriminazione sulla base di precedenti penali; le lotte per espandere il finanziamento per gli ospedali pubblici, le scuole ed i servizi dovrebbero riconoscere le necessità specifiche delle comunità nere svuotate da decadi di deindustrializzazione ed abbandono; e le politiche abitative necessiterebbero di una presa di mira esplicita di pratiche come la maggiorazione dei mutui per alcune etnie ed il prestito usurario.
Inoltre, la crisi affrontata dall’America nera non è solamente economica – è anche una crisi sociale. Incarcerazione di massa, violenza poliziesca e risegregazione hanno devastato le comunità nere, e devono essere interpretate come un corollario ad un programma di austerity della classe dirigente concepito per abbassare permanentemente gli standard di vita in questo paese. Ma analizzare questa relazione meramente come causa (austerity) e sintomo (razzismo e violenza poliziesca) significa perdere d’occhio i modi in cui il razzismo e la repressione sono parti indispensabili del progetto della classe dominante.
Le rivendicazioni economiche e specificamente le rivendicazioni antirazziste non dovrebbero essere contrapposte — dovrebbero essere ricomposte. Far ciò ci permettera di iniziare a costruire un serio movimento contro il razzismo, ed allo stesso tempo affrontare il più ampio assalto della classe dominante contro la classe operaia.
Questa lotta richiederà di forgiare un’unità non collassando la lotta contro il razzismo in una lotta di classe più ampia per l’eguaglianza economica, ma evidenziando il ruolo centrale del razzismo e rendendolo di interesse per l’intera classe operaia. Il grosso problema finale del pezzo di Ackerman è il suo completo fraintendimento dell’ipotesi di Marx rispetto all’unità della classe lavoratrice. Il razzismo è stato il tallone di Achille del movimento dei lavoratori fin dalla sconfitta della Ricostruzione radicale. W. E. B. Du Bois ha registrato il modo in cui questa sconfitta e la reimposizione del razzismo abbiano aiutato a distruggere il potenziale della solidarietà operaia:
L’elemento di razza è stato enfatizzato in modo che i detentori della proprietà potessero ottenere il sostegno della maggioranza dei lavoratori bianchi e rendere possibile sfruttare la manodopera Nera. Ma la filosofia della razza arrivò come cosa nuova e terribile a rendere impossibile conseguire l’unità dei lavoratori o la coscienza di classe operaia. Fintantoché i lavoranti bianchi del Sud potessero essere indotti a preferire la povertà all’eguaglianza con i Neri, soltanto finché un movimento operaio nel Sud non venne reso impossibile.
Oggi vediamo le conseguenze di ciò in maniera piuttosto drammatica, con le manifatture ed i posti di lavoro che si spostano verso il Sud sottopagato, non sindacalizzato e profondamente razzista. Ackerman cita Marx su un tema simile mentre discute il razzismo dei lavoratori inglesi verso gli irlandesi:
Questo contrasto è tenuto in vita artificialmente ed intensificato dalla stampa, dal pulpito, dai giornali a fumetti, in breve da tutti i mezzi a disposizione delle classi dominanti. Questo contrasto è il segreto dell’impotenza della classe operaia inglese, nonostante la sua organizzazione. E’ il segreto tramite cui la classe capitalista mantiene il proprio potere.
Ma invece di interpretare questo passaggio come una chiamata per il lavoratore inglese a superare questo “contrasto artificiale” per rendere possibile un movimento della classe operaia unito, Ackerman lo interpreta come una riflessione di Marx sul fatto che i lavoratori irlandesi abbiano bisogno di unirsi a quelli inglesi, mancando l’intero affondo del ragionamento di Marx.
La questione di come questa solidarietà venga raggiunta è importante. Mentre Ackerman si sbaglia nel sostenere che il razzismo può venir meglio compreso come un sintomo della disugueglianza economica, e che ciò fornisca le basi per l’unità, la sua asserzione solleva la spinosa questione del come raggiungere l’unità.
La lotta di classe cambia le idee ed i preconcetti delle persone e forgia nuovi legami di solidarietà. Le lotte della classe operaia hanno giocato un ruolo centrale nel guadagnare i lavoratori bianchi alla lotta contro il razzismo, e c’è una ricca storia di lotta multirazziale negli USA che dovrebbe essere più ampiamente studiata e condivisa. Ma guardare solamente – o peggio ancora attendere – lotte economiche per aiutare a rompere le divisioni razziste sarebbe sbagliato.
Funziona anche nell’altro senso. I movimenti di liberazione nera hanno modificato la consapevolezza su una scala di massa nel mettere i bastoni tra le ruote al capitalismo ed aprire nuova lotta operaia.
Questa è la dinamica che C. L. R. James ha riconosciuto mentre respingeva la premessa di alcuni socialisti, secondo cui la lotta di liberazione nera sarebbe potuta essere vittoriosa solo sotto la leadership della manodopera organizzata e dei socialisti. Ha argomentato invece che il movimento nero indipendente ha una “vitalità e validità in sé,” che è “capace di intervenire con forza spaventosa sulla vita sociale e politica generale della nazione is able,” che ha un “contributo reale da prestare allo sviluppo del proletariato,” e che è “in sé una parte costituente della lotta per il socialismo.”
Scritte nel 1948, le sue argomentazioni hanno anticipato i movimenti per i Diritti Civili e del Potere Nero, che non solo hanno combattuto il razzismo e cambiato approcci, ma hanno anche aiutato ad ispirare una rinovata ondata di lotta operaia di base.
Il ruolo delle lotte antirazziste nell’influenzare più ampi mutamenti di consapevolezza è stato anche dimostrato nell’ultimo anno, che ha visto la marcata ascesa del movimento Black Lives Matter. Nei soli ultimi due anni, c’è stato un declino del 14% nel numero di bianchi che si dicono soddisfatti del modo in cui vengono trattati i neri.
Per i socialisti, l’ascesa del movimento Black Lives Matter è uno dei più importanti sviluppi degli anni recenti. Ha svelato gli abissi del razzismo in questo paese, ha portato decine di migliaia di persone – perlopiù nere, ma anche bianche — nelle strade, e ne ha politicizzati altre milioni. Ma è ancora in uno stadio di formazione. Il suo pubblico ed il suo potenziale si estendono ben al di là del suo sviluppo organizzativo.
Questo movimento pone nuove sfide per i socialisti. Dobbiamo sviluppare e dibattere strategie che possano aiutare ad approfondire la lotta ed iniziare a mettere a segno alcune vittorie concrete. Ciò necessiterà di trovare modi di comporre queste lotte con il potere sociale della classe lavoratrice e perorare una posizione convincente e non riduttiva rispetto alla relazione tra razzismo e capitalismo. Solo allora potremo articolare una visione anticapitalista per la liberazione di tutto il popolo.
Tratto da JacobinMag
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