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Punto di svolta?

Intervista ad Amira Hass  da Democracy Now.

26/luglio/2014

 

Traduzione da questo link  * 

 

AMY GOODMAN: passiamo ora alla Cisgiordania, dove giovedì sera ha visto la più grande protesta degli ultimi anni, Più di 50.000 persone hanno deciso di marciare da Ramallah a Gerusalemme. Due palestinesi sono stati uccisi e più di duecento sono stati feriti quando i soldati israeliani hanno sparato proiettili veri. Altre proteste si stanno svolgendo oggi in Cisgiordania.

Per un approfondimento, abbiamo raggiunto al telefono da Ramallah Amira Hass, corrispondente dai Territori occupati per Haaretz, l’unica giornalista ebrea israeliana che ha vissuto per decenni e scritto articoli da Gaza e dalla Cisgiordania.

Amira, descrivici le proteste della scorsa notte.


AMIRA HASS: erano meno di 50.000, ma c’era veramente allegria. Tutti si rendevano conto che è in corso un grande cambiamento. Tutti quelli che … la gente che è andata  erano intere famiglie, donne e uomini, tradizionalisti e moderni, della classe alta, media e operai. Tutti sono andati, molto decisi a dimostrare, non tanto agli israeliani, penso, ma all’Autorità Nazionale Palestinese, che ne hanno abbastanza del suo imperdonabile silenzio, specialmente durante la prima settimana, e la sua incapacità di dire che questo è il popolo che stanno uccidendo a Gaza, e non si tratta di una disputa tra Hamas e Fatah, che tutto questo deve finire. Io la vedo così. Naturalmente si è trattato anche di un messaggio rivolto agli israeliani.

E oggi, come hai detto, ci sono manifestazioni ovunque. Sono appena tornata dal funerale del ragazzo che è stato ucciso ieri, molto silenzioso, molto..non depresso, ma solenne. E’ un ragazzo di 17 anni del campo profughi di Qalandia. E la gente sente che si tratta di un punto di svolta. Questo è certo. E’ una svolta a Gerusalemme. Ci sono manifestazioni a Gerusalemme. Ho sentito che lì dei giovani hanno cercato di arrivare alla Spianata delle Moschee, perché non hanno il permesso di entrare a pregare, così hanno cercato di forzare il posto di blocco. Per cui le cose, alcune cose, stanno cambiando, e stanno cambiando perché anche la gente è molto scioccata da quello che sta avvenendo al loro popolo a Gaza, e non possono fare niente per loro.

 

AMY GOODMAN: Qual è stata la risposta militare israeliana alle proteste, Amira?


AMIRA HASS: Sono arrivata un po’ in ritardo. Voglio dire, non c’ero, naturalmente…Non volevo stare troppo vicino al posto di blocco, ma so che, va bene, alcuni giovani hanno raggiunto il posto di blocco un po’ prima, quando la manifestazione è partita, circa tre o quattro kilometri a nord. Hanno cominciato a scontrarsi [con i soldati], ma, come mi ha raccontato un amico, non c’era nessun pericolo per i soldati, ma immediatamente i soldati hanno iniziato a sparare proiettili veri e piccole pallottole di metallo ricoperte di gomma. Così ragazzi …quando stavo camminando verso il posto, ho sentito il suono di parecchie ambulanze andare avanti e indietro, trasportando feriti.

E più tardi, sono andata in ospedale, perché un amico, il figlio di un mio amico era stato ferito. Ma ci sarei andata comunque. Buona parte dei feriti sono stati colpiti alle gambe. E vedevi giovani zoppicanti che allora venivano curati. Quelli che erano feriti meno seriamente sono andati in altri ospedali, quelli più gravi sono stati operati lì.

So di una giovane donna che forse era là, vicino al posto di blocco, molto vicino, ed è stata ferita, e potrebbe perdere le gambe. C’è un’altra donna… le donne hanno partecipato. Molte donne erano nei pressi del posto di blocco, molto vicino, e sono state probabilmente prese di mira dai cecchini. Questa è stata la risposta dell’esercito.

Più tardi ho capito che c’erano alcuni di quei stupidi spari in aria da parte di qualche palestinese. Non sappiamo chi. E questo ha dato la scusa all’esercito di dire che la gente aveva sparato, che loro avevano iniziato la sparatoria, il che è ovviamente falso.

 

AMY GOODMAN: Amira Hass, tu sei stata corrispondente dai Territori occupati per decenni. Che cosa ne pensi delle voci di un cessate il fuoco, con il segretario di Stato Kerry al Cairo? E che cosa sta chiedendo Hamas, ed ovviamente anche il popolo palestinese?


AMIRA HASS: Sai, la verità è che non ho seguito questa questione negli ultimi giorni, perché è impossibile seguire tutto, e cerco di rimanere in contatto con i miei amici a Gaza per sentire da loro quello che sta succedendo, e poi scriverlo. Per cui lascio queste questioni politiche un po’ da parte, soprattutto negli ultimi due, tre giorni.

Ma in generale, alcune cose stanno cambiando nel senso del discorso dei palestinesi in merito a cosa chiedere. Ed è molto interessante perché le richieste di Hamas arrivano adesso, dopo molti anni di potere. Hanno cominciato a rimettersi in contatto con la Cisgiordania. E questo è un grande cambiamento. Probabilmente lo hanno fatto perché hanno capito che l’Egitto non è…voglio dire, che hanno perso quelle relazioni che avevano con l’Egitto prima del golpe contro i Fratelli musulmani. Questo è stato uno dei loro grandi errori, secondo me, dopo la loro vittoria elettorale del 2006, rafforzare il proprio potere a Gaza, immaginando che Gaza potesse essere un’entità separata e uno Stato, un mini o un quasi –Stato, che potevano controllare come [se fossero] un governo, in pratica ripetendo l’errore dell’ANP prima ed ora, e in questo modo accentuando la separazione tra Gaza e la Cisgiordania, soprattutto tra le due comunità…[no audio]

 

AMY GOODMAN: Amira?


AMIRA HASS: E l’ANP ha fatto lo stesso. Perciò adesso è successo che il loro discorso è: la fine del blocco e riprendere i rapporti con la Cisgiordania. Questo è un grande cambiamento.

 

AMY GOODMAN: E quando tu dici “finire il blocco”, l’assedio, la reclusione, spiegaci esattamente di cosa si tratta.


AMIRA HASS: Gaza non è sotto assedio solo da sette anni. Voglio dire, Gaza è stata sottoposta a restrizioni molto severe di movimento e a un isolamento rispetto al resto del mondo fin dai primi anni ’90. Hamas ha avuto una sorta di monopolio politico, dicendo che la reclusione è iniziata quando sono arrivati al potere. Sì, si è intensificato, ma è iniziato molto prima, perché …per dividere Gaza e la Cisgiordania.

Quando Hamas parla di togliere il blocco, non possono veramente immaginare di aprirsi alla Cisgiordania, aprire i confini e far entrare le materie prime, per avere un minimo di attività economica, ed avere un qualche collegamento con il resto del mondo – attraverso Rafah. Ma la gente di Gaza vuole tornare indietro ed essere palestinese in quel paese e tornare in Cisgiordania, e rimanere in contatto con la Cisgiordania. Questo è un discorso che si sta sviluppando e che ritorna in primo piano.

Non lo sappiamo. Voglio dire, questo è il principale… come il ministro della cosiddetta “Difesa” ha detto di recente: “Oh, certo, non mi importa che la gente di Abbas controlli il posto di blocco di Rafah, ma non permetterò mai che Abbas torni a governare a Gaza”, che vuol dire che non vogliamo che Gaza e la Cisgiordania si riuniscano. Non lo vogliamo. Penso che gli israeliani, il governo israeliano non lo vuole, e non lo ha voluto fin dai primi anni ’90.

Così, tutto ciò si svilupperà in un discorso politico e in un’analisi politica, in una strategia politica, che cambi questa situazione? Non so dirlo. E’ troppo presto, perché una delle cose che vediamo mancare è realmente…non un gruppo dirigente, ma un gruppo che abbia la fiducia della gente e che possa organizzare e dirigere ora tutta questa recrudescenza di rabbia e di rancore per quello che sta avvenendo a Gaza e la gente che non ne può più di questa occupazione. Così, non c’è un gruppo [dirigente] affidabile, che possa dirigere tutto questo e possa organizzare una strategia a partire da questo fenomeno. Questo è ciò che mi preoccupa.

 

AMY GOODMAN: Amira Hass, ti ringrazio per essere stata con noi. La corrispondente di Ha’aretz dai Territori occupati ci ha parlato da Ramallah, dove una protesta di massa ha avuto luogo la notte scorsa e si dovrebbero ripetere oggi. Qui è Democracy Now! Quando torneremo, andremo a Gaza per parlare con un dottore dell’opsedale al-Shifa di quello che sta succedendo tra le mura dell’ospedale. Rimanete con noi.

 

* (Traduzione di Amedeo Rossi)

 

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