Renzi ottiene i licenziamenti facili e tartassa gli alluvionati
I due decreti attuativi sono un passaggio cruciale per la storia italiana, tanto per la struttura del mercato della forza-lavoro quanto per il rapporto istituzioni-sindacati. Se Renzi, sul finire del dibattito parlamentare, ha voluto dare un segno di moderazione a ciò che ormai “cinguetta” alla sua sinistra (Camusso e sinistra Pd) rifiutando le modifiche chieste da Sacconi e Alfano, sa benissimo che una volta aperta la strada allo smantellamento dello statuto dei lavoratori, i prossimi passaggi saranno rapidi e indolore, e qualsiasi governo li potrà introdurre senza aspettarsi particolari reazioni.
Il consiglio dei ministri della vigilia chiude infatti il braccio di ferro tra padroni (variamente rappresentati da Berlusconi, Monti o Renzi) e salariati italiani che dura da quindici anni attorno all’art. 18. Il sindacato incassa forse la più dura sconfitta della sua storia recente, nonostante la riuscita numerica di uno sciopero generale che – limitato nel tempo e nelle forme di pressione sociale – non ha sortito alcun effetto politico. Il (mancato) dialogo sul Jobs Act tra Cgil e Pd ha anche scardinato la pratica della concertazione inaugurata all’inizio degli anni Novanta quale antidoto (voluto tanto dalle burocrazie politiche quanto da quelle sindacali) al conflitto sociale che precedentemente aveva attraversato l’Italia (permettendo, tra le altre cose, proprio l’imposizione dal basso dello statuto dei lavoratori del 1970, che conteneva l’art. 18).
Il consiglio dei ministri ha anche approfittato dell’atmosfera natalizia per approvare il solito “milleproroghe”, che contiene misure a tutto campo fatte passare in sordina (dai contratti precari nella pubblica amministrazione ai concorsi per docenti universitari, fino agli stipendi dei menager pubblici), anche se ha deciso di non prorogare affatto (come aveva annunciato) l’esenzione temporanea delle tasse per gli alluvionati di questi mesi. Infatti Iva, Ires, Irpef e Irap vengono fatte pagare proprio sotto Natale agli abitanti di Liguria, Emilia Romagna, Piemonte, Toscana, Veneto e Friuli toccate da calamità “naturali” (leggi: edilizie e urbanistiche) nel 2014. Una misura tanto più problematica perché si tratta di tasse nazionali che non andranno a foraggiare le casse dei comuni colpiti, la cui situazione è spesso drammatica: si pensi che il comune di Ceranesi, nei pressi di Genova, ha di recente fornito i mezzi meccanici a pagamento ai suoi cittadini (280 euro al giorno per abitante!) per ripristinare le strade colpite da frane durante recenti piogge (i lavori sono stati effettuati dagli abitanti stessi).
Approvato anche un provvedimento economicamente e politicamente abnorme: la messa sotto tutela statuale dell’Ilva di Taranto per due anni. In questo lasso di tempo, secondo le fonti ufficiali, l’azienda pugliese sarà risanata dal punto di vista della produzione e del bilancio e saranno fatti paralleli interventi per la tutela della popolazione vittima di inquinamento e morie tumorali. In realtà, come già nel caso dell’Alitalia, si tratta dell’ennesimo caso di scarico totale dei costi di una crisi industriale sulla collettività dei contribuenti, con risultati nulli che probabilmente si protrarranno all’infinito: un ennesimo buco nero in cui gettare i nostri soldi per farli depredare a menager e amministratori.
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