
In cinquemila nello spezzone sociale del primo maggio 2025: l’unica opposizione credibile alla guerra
Lo spezzone sociale del primo maggio 2025 incarna l’unica alternativa reale allo scenario di guerra che sta venendo costruito scientificamente per imporre il ricatto della precarietà e un impoverimento progressivo in tutte le sfere della vita con l’obiettivo della disponibilità alla guerra.

Quella che è scesa oggi in piazza dietro lo striscione STOP AL RIARMO è l’alternativa reale che costruisce ogni giorno le possibilità di uno scontro per gli interessi di parte che si contrappongono a quelli di chi sta in alto. Non c’è più disponibilità di mediazione, questa è l’unica opposizione credibile che non può fare altro che crescere nei mesi a venire. Il no al riarmo significa il rifiuto di ciò che viene offerto dal governo e dal partito trasversale della guerra, chi è sceso in piazza oggi con lo spezzone sociale dimostra che su questo territorio esiste chi è in capacità di praticarlo. Tocca cogliere l’esigenza di approfondire le prospettive di un fronte unito. La timidezza dei sindacati nella critica al governo è sintomo dell’insufficienza di un apparato che dovrebbe sintonizzarsi con la pancia del paese. Le lotte che oggi hanno partecipato attivamente prendendo parola, essendoci, attraversando con potenza lo spezzone sociale sono il paese.
Cinquemila persone hanno portato la propria voce, inondando le strade di Torino da piazza Vittorio sino a prendersi il palco finale in piazza Solferino, dipingendo il disegno delle conseguenze che la crisi sociale sta producendo. L’orizzonte di guerra causa disgregazione sociale, frammentazione e produce violenza. Tanti gli interventi che hanno evidenziato l’esigenza di esprimersi contro chi ha deciso di riempire le tasche alle lobbies della guerra a scapito del welfare, di condizioni di vita dignitose, di una vita davvero sicura. La cosiddetta sicurezza di cui parla il partito della guerra non ha nulla a che vedere con quelle che sono le priorità di chi vive tutti giorni una vita precaria. Le violenze di genere sono moltiplicate, le condizioni per accedere alla cittadinanza sono da sempre escludenti, le crisi ambientali trattate come calamità causano morti e devastazione e le spese di base come le bollette aumentano. I territori, dalla Val di Susa ai parchi cittadini, sono ciò che viene sacrificato sull’altare della “difesa” dell’Europa. Una difesa che è costruita a puntino, pianificata, a partire dalle Università, come hanno dimostrato in questi anni le mobilitazioni delle Intifade per la Palestina. Un’università sempre più precaria, i cui tagli segnano una privatizzazione costante che apre le porte alle grandi aziende belliche che colonizzano la città di Torino. Anche precari ed educatori, settore lavorativo spesso invisibilizzato, hanno preso parola nello spezzone sociale, facendo luce sull’insufficienza e il continuo sfruttamento delle condizioni lavorative in cui versano. Infine, gli operai Stellantis hanno riportato come la fantomatica reindustrializzazione delle aziende dell’automotive in chiave bellica non sia nient’altro una falsa via d’uscita che perpetra condizioni di lavoro non più accettabili.

I giornali asserviti all’establishment oggi quasi silenziano la potenza di questa parte della piazza. L’incapacità politica di chi non prende posizioni definite si esplicita nel poco spazio concesso a metalmeccanici che da mesi sono in mobilitazione per il CCNL di categoria e si evince dall’inesistenza di una presa di parola sul tema della guerra. A seguito di due anni di dichiarazioni in favore della “pace” (della loro pace) oggi la dimensione istituzionale ha eliminato questa parola dal suo vocabolario, come se la guerra fosse ormai cosa passata, perché sostiene il riarmo voluto da un’Unione Europea che spinge per una guerra evidentemente già persa.
E’ in essere invece un’intrinseca contraddizione sul piano della guerra che, quanto meno in Italia, non permette a questo terreno di articolarsi compiutamente nelle strutture logistiche di cui necessita: non esiste un sentimento diffuso di riconoscimento sulla base della patria, tanto meno di interessi materiali che si si dovrebbero identificare con l’espandersi dei conflitti belligeranti. Si tenta disperatamente di appellarsi al senso di responsabilità dei proletari, richiedendo non poca fiducia verso coloro che di credibilità non ne conservano più nemmeno una briciola. Tutto questo viene rappresentato dal grande partito unico della guerra. Unico perche’ oggi appare chiaro che le dimensioni istituzionali e produttive siano in conflitto anche tra di loro, oltre che verso il basso, nel rappresentare il proprio misero giardinetto di guadagno, innescando così una dinamica di reciproca dipendenza e comunione di intenti nell’incrementare le dinamiche di una guerra totale e intrinseca a tutti i livelli della realta’. Il problema del grande capitale al quale compartecipano, o ambiscono a partecipare tutte queste componenti che definiamo nemiche da destra a sinistra, e’ che la profondita’ delle contraddizioni hanno raggiunto un livello tale da non lasciare altro spazio se non quello della guerra come unico campo di riciclo per l’aprirsi di nuovi ambiti della valorizzazione per i padroni.

Uno degli altri tasselli del partito unico della guerra e’ rappresentato dalle industrie belliche, capeggiate sul territorio torinese da Leonardo. Azienda con maggior peso all’interno di Federmeccanica, porta un’ostentata opposizione al rinnovo del CCNL dei metalmeccanici come scelta strategica, volta a sfruttare l’occasione di piani di riarmo. Quella che viene propinata come una possibilità di creazione di nuovi posti di lavoro e’ pura propaganda. Leonardo intende far diventare attori nella produzione del riarmo i lavoratori e le lavoratrici, rivelando al contempo le sue vere intenzioni opponendosi ai metalmeccanici e alle metalmeccaniche che lottano per un miglioramento delle loro condizioni lavorative. E’ necessario quindi stare al fianco dei metalmeccanici nella lotta al rinnovo contrattuale, non per una solidarieta’ di testimonianza ma perche’ rappresenta un terreno di contesa con i padroni, necessario da praticare per sviluppare un rapporto di forza per inceppare la macchina bellica e rompere il ricatto salariale.

Oggi la parte viva, la parte che lotta, di questa città ha definito un campo entro il quale continuare a mobilitarsi in una prospettiva di ricomposizione per costringere chi sembra non vedere la forza che si sta costituendo a cedere, conquistando piani collettivi di possibilità di organizzazione e di attivazione più urgenti che mai.
E’ stato attivato un canale telegram STOP RIARMO per poter seguire le future iniziative sul tema
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