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Sergio Bologna, Agli inizi del container

Agli inizi del container: il “Lloyd Triestino” e le linee per l’Australia. At the origins of the maritime container: Lloyd Triestino and the Australia route, a cura di S. Bologna, Trieste, Asterios, 2021.

di Lorenzo Tommasini, da L’ospite Ingrato

Poco tempo fa, nel 2021, ricorreva il sessantacinquesimo anniversario dell’invenzione del container destinato ai trasporti marittimi. Si tratta di una rivoluzione epocale che, anche se ci ha messo qualche tempo per affermarsi, ha cambiato radicalmente il sistema dei trasporti e di conseguenza ha influito in maniera decisiva sullo sviluppo dell’economia mondiale portando i traffici marittimi ad una dimensione sconosciuta in precedenza.

La nascita e l’affermazione di questa modalità di trasporto sono ora oggetto dell’analisi che Sergio Bologna ci propone nel suo nuovo libro intitolato Agli inizi del container. Il “Lloyd Triestino” e le linee per l’Australia, volume proposto per l’editore Asterios in versione bilingue italiano-inglese nonché corredato da un ampio apparato iconografico. Come evidenziato anche dal sottotitolo, il punto di vista che viene scelto è sicuramente particolare in quanto il problema viene affrontato attraverso una lente che potremmo definire “triestina”, infatti quello che si cerca di fare è di ripercorrere questa storia attraverso l’attività di uno dei suoi protagonisti, cioè il Lloyd Triestino, che nonostante qualche dubbio iniziale, per primo tra le compagnie italiane decise di puntare sul container diventando uno dei protagonisti della sua affermazione.

Sergio Bologna, anche se di formazione storico, nel corso della sua carriera è diventato uno dei massimi esperti italiani di logistica marittima e alla città di Trieste – dove tra l’altro è nato – e al suo porto ha dedicato vari interventi e riflessioni, alcuni ripresi nella recente raccolta Ritorno a Trieste. Scritti over 80, 2017-2019, anche questa pubblicata da Asterios. Nelle sue analisi sulle questioni logistiche ed economiche riguardanti il capoluogo giuliano ha sempre ricercato un fattivo dialogo con gli altri protagonisti della gestione del porto e non è un caso infatti che in apertura del nuovo volume si trovino interventi di Zeno D’Agostino, attuale presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale, e di Stefano Beduschi e Bruno Zvech, rispettivamente presidente e direttore dell’Accademia Nautica dell’Adriatico. In questa maniera il volume si presenta con una pluralità di voci, a cui va ad aggiungersi anche quella di Martin Orchard, che a lungo ha lavorato nell’industria dello shipping in Australia, in un’intervista curata dallo stesso Bologna. Tale coralità è il primo motivo di apprezzamento del libro che permette di inquadrare il problema e il suo sviluppo da diverse prospettive ed in particolare di mettere a confronto la visione italo-triestina dello sviluppo del container con quella dei partner commerciali australiani.
In questo modo, attraverso la presentazione e l’analisi di una storia fortemente radicata in una dimensione locale è possibile poi aprirsi e comprendere dei fenomeni che investono una sfera molto più ampia. Sembrano quindi adatte anche al nostro caso le parole di Slataper che, anche se riferendosi a questioni ben diverse, scriveva nel giugno del 1912 sulla «Voce» a proposito di Trieste: «È meraviglioso e quasi vertiginoso pensare come in questo nostro piccolo angolo di Europa si combattano le forze e i problemi che forse sono fra i più gravi del mondo occidentale d’oggi».1 Bologna mette bene in evidenza infatti come il capoluogo giuliano abbia svolto il ruolo di una specie di “laboratorio” la cui esperienza, secondo i vari contributori del volume, può ancora fornire utili indicazioni e prospettive per il presente.

La storia del container comincia negli anni Sessanta con i primi trasporti da e per gli Stati Uniti che attraversavano sia il Pacifico che l’Atlantico. L’idea non era solamente quella di un più comodo e funzionale imballaggio delle merci, ma si andava creare un nuovo modo di concepire il trasporto, unitario e intermodale che permetteva di affidare tutte le operazioni ad un unico operatore. Tale novità non trova subito il favore di tutti, da alcuni ritenuta irrealizzabile, da altri avversata perché si temeva di perdere i posti di lavoro garantiti dalle modalità di carico e scarico più tradizionali. Ci fu infatti, in una stagione piuttosto agitata dal punto di vista delle lotte sindacali, una certa resistenza alla containerizzazione, di cui ci resta traccia tra l’altro in un precoce articolo della seconda metà degli anni Settanta sulla rivista «Primo maggio. Saggi e documenti per una storia di classe» fondata e diretta dallo stesso Bologna che già all’epoca coglieva l’importanza dell’evoluzione in corso.

Un primo importante momento di riflessione in Italia sul container si ha nel 1968 quando si tiene, proprio a Trieste, un convegno promosso da alcune industrie, tra cui la Shell e la Fiat. La convinzione era infatti che il porto giuliano potesse essere attrezzato funzionalmente per il trasporto tramite container e il convegno si proponeva di studiare la possibilità di utilizzarlo come base per delle rotte commerciali tra il sud Italia e l’Europa centro-orientale. È dunque in questo periodo, alla fine degli anni Sessanta, che il Lloyd affronta per la prima volta il problema del nuovo metodo di trasporto, e decide di investirvi, sebbene inizialmente alcune figure apicali del porto di Trieste avessero manifestato un certo scetticismo.

Così nel 1970 viene creato un consorzio costituito da compagnie tedesche, britanniche, olandesi, francesi e australiane per gestire i viaggi tra l’Europa e l’Australia. Il Lloyd Triestino è l’unica compagnia italiana ad aderire, anche se con alcuni malumori tra gli altri partecipanti dovuti alla natura pubblica della compagnia, vista come un possibile ostacolo dal momento che doveva sottostare a precise regole. Si vedrà invece che tale caratteristica porterà un importante vantaggio rispetto alle compagnie private. La presenza del Lloyd all’interno del consorzio sarà fondamentale per le sorti dei trasporti della penisola perché sarà solo grazie all’insistenza di questa compagnia se verranno previsti anche degli scali in Italia. Altrimenti, dal momento che all’inizio degli anni Settanta il Canale di Suez era chiuso a causa della guerra tra Israele e gli stati arabi del Medio Oriente, il Mediterraneo sarebbe stato escluso completamente a favore dei porti del nord Europa. Per mettere a tacere i dubbi delle altre compagnie consorziate, il Lloyd promette di farsi carico della costruzione di una nave full container, la Lloydiana, che però sarà consegnata solamente nel 1973 con due anni di ritardo rispetto a quanto concordato. Il problema era inoltre che un’operazione del genere non si poteva certo improvvisare, ma necessitava di strutture portuali adeguate che, in Italia, erano ancora in gran parte da costruire e sulle quali non tutti erano pronti ad investire.

È durante gli anni Settanta che si assiste ad un momento di passaggio verso il trasporto containerizzato, soprattutto nei porti non ancora attrezzati, di cui sono ancora protagoniste le navi RoRo, più costose e meno capienti delle portacontainer, ma che permettono una transizione graduale dalla fase della sperimentazione a quella dell’industrializzazione del container.

Infine a metà degli anni Ottanta si tiene un nuovo convegno, sempre a Trieste, che certifica come ormai l’impiego di container sia irreversibile e si propone di affrontare tutta una serie di novità imposte dalle mutate modalità di trasporto, in particolare quelle riguardanti le assicurazioni, che ci fanno capire come quel primo cambiamento ne portasse conseguentemente con sé molti altri a diversi livelli. In questo contesto, come viene messo bene in evidenza anche dall’intervento di D’Agostino, emerge come fondamentale l’intervento del pubblico che permette una prospettiva di lungo periodo che possa andare oltre all’immediato per poter far fronte alle incertezze e alle scommesse imposte dalla situazione.

Ed è proprio questa la proposta e l’insegnamento di cui, in conclusione, vuole farsi portatore il volume: «di fronte ad un crescente caos globale (ed oggi il caos globale è in continua crescita) gli stati o i territori caratterizzati da un forte dinamismo del “Pubblico” sono protagonisti positivi del proprio futuro, a chi invece non lo è tocca leccarsi le ferite, se non qualcosa di peggio» (p. 14). Ecco quindi l’idea e la prospettiva che si propongono per affrontare le questioni legate alla logistica marittima che sorgono ai giorni nostri, nella convinzione che soprattutto nei momenti di cambiamento radicale se si desidera essere all’altezza delle sfide epocali, non si deve rimuovere quanto è avvenuto nel passato ma farne tesoro. Verità scontata, se si vuole, ma spesso non applicata. Questo è anche il senso ultimo dell’operazione tentata da Bologna con il suo libro, mettere a disposizione quanto ha vissuto in prima persona e le sue considerazioni su quanto è stato per poter agire più consapevolmente nel presente: «Il passato ci permette di capire dove ci troviamo oggi, il passato è la coscienza del presente, è una lezione di umiltà e di realismo, ma è anche un fascio di luce sul futuro. Senza consapevolezza del passato noi siamo gattini ciechi. Ignorando il passato perdiamo lo spirito critico, il che equivale a perdere la ragione» (p. 66).

Note

1 Poi in S. Slataper, Scritti politici, Mondadori, Milano 1954, p. 168.

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