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Sfidiamo Il Presente – Report dell’Assemblea Conclusiva

Il confronto si è aperto attorno a uno spirito teso ad aprire uno spazio di discussione per una nuova militanza e nuovi conflitti a partire dalle lotte sorte negli ultimi anni. Uno spazio di discussione che assume i limiti di queste ultime quale punto di partenza, non in quanto alibi per l’inazione ma con una tensione a eccederli, romperli, superarli.

Si parte da una sfida condotta contro di noi dall’1% organizzato, che vuol dire in primo luogo una violenta svalorizzare delle vite. Come trovare allora degli strumenti di organizzazione collettiva per accettarla e rovesciarla questa sfida? E’ per indicare risposte a questa domanda che è necessario incontrarsi per avere una parola più fragorosa, per tirare un sasso nello stagno delle inadempienze e costruire forme adeguate del conflitto nella necessità non solo di difendere, ma di innescare per davvero un processo di trasformazione della società. Un rilanciare all’esterno le potenzialità delle lotte che ci sono nella necessità di non fermarci a quello che abbiamo, alle insufficienze rispetto al conflitto possibile. Nella convinzione che non ci sia un soggetto rivoluzionario predefinito, ma infinite possibilità di intercettare forme diverse, è necessario cominciare a pensare su una dimensione temporale di conflitto permanente da instaurare nei territori ma anche su scale più ampie. Dunque a partire da una realtà sociale frantumata è necessario costruire assieme delle capacità che non prendano forma su una singola giornata di lotta, ma su un percorso. Su una temporalità non lineare, entro una crisi permanente come modo di governo, che sappia fissare un qui ed ora nella consapevolezza che troppo spesso attribuiamo dei poteri al capitale che in realtà non ha. Fissandoci dunque sulle sue vulnerabilità.

Su questo si innesta l’urgenza e la necessità di costruire una temporalità autonoma del conflitto sociale anche di fronte a uno scenario in rapida mutazione. Assistiamo all’esaurimento del modello della sinistra e del riformismo, alla fine degli spazi di mediazione che va di pari passo con una accelerazione dei processi di espropriazione delle nostre vite incarnato in Italia oggi dal modello-Renzi. Un sistema fatto di costi scaricati su di noi senza dare nulla in cambio, che però non è un moloch inscalfibile. In questo scenario emerge la possibilità di espropriare a nostra volta mezzi e risorse per arricchire una forza della nostra parte. La necessità di una organizzazione di parte e collettiva che individui i campi dello scontro possibile.

Da qui parte una sfida dell’oggi come possibilità comune che ragioni sulle caratteristiche dell’odio di classe che i poveri possono produrre di fronte a chi ci costringe a sotto-vivere. Fare questo senza alcuna visione settaria, producendo alterità come rischio e valore e accettando flussi ed energie che si muovono nella società. Immaginare le differenze come irripetibilità senza nessuna acquiescenza a schemi prestabiliti. Sviluppare una capacità a sorprenderci e sorprendere, entrare in osmosi permanente con povertà e territori, combattere l’assimilazione al modello-Renzi e al Partito della Nazione.

Sviluppare dunque una ipotesi ricompositiva irriducibile alla complicità con i rapporti di dominio, con il coraggio e la volontà di diventare punto di organizzazione comune che sappia cogliere occasioni, far emergere politicità e contrapposizione, immaginare una dimensione di possibilità su lotte misurate su una prospettiva, su una sguardo ampio. Trovare punti di accumulo e frattura, non accontentarsi e provare a immaginarsi oltre stando sulle punte del conflitto e provando a generalizzarle e agirle. Costruire infrastrutture e saperi in grado di fare passi in avanti dentro un tempo dell’attesa antagonista come tensione alla ricerca delle fratture possibili, dei salti da costruire a partire da un aumento diffuso delle intensità dei conflitti e delle forme di organizzazione. Trovare e rilanciare un coraggio che si scontra anche con una repressione che colpisce tanti compagni e compagne ai quali l’assemblea manda un saluto fraterno. Ricercare rotture non come avventurismo ma come necessità per sviluppare forme di riconoscimento anche verso chi non riesce a capire dove orientare la propria rabbia.

Dentro questa proiezione diviene decisivo concepire costantemente le lotte quotidiane come un rischio, rilanciare una impressione di possibilità che non vive dell’emotività o della retorica dell’immaginarsi un mondo nuovo, quanto sulla legittimità degli strumenti di appropriazione e resistenza. Decisivo allora, contro il nemico che oggi assume qui le sembianze del modello-Renzi, divenire un’opzione credibile. Strutturare forme di organizzazione dove quest’ultima deve intendersi in primo luogo come strumento, come forme utili a rilanciare la sfida. Una riflessione attorno a come definire un’autorevolezza del conflitto sociale a partire dallo strappare risultati, attorno al come costruire strumenti che rilancino il lavoro di base e per avere nuove capacità su cui rilanciare una sfida che è politica, ma costruita su un terreno materiale.

 

tracce presenti di un conflitto da costruire

 

Hanno attraversato i diversi interventi dei tratti comuni, alcune invarianze. A partire dall’assunzione che nuovi spazi si possono aprire solo a partire da una dimensione e da una possibilità di contrapposizione, scontro e conflitto. A partire da questo è strategico guardare alle possibilità di trasformazione guardando a chi ha bisogno della lotta come possibilità, alle persone che stanno dalla nostra stessa parte. Una parte contrapposta a un’altra che deve poter mostrare forza. Nell’assenza di certezze, irrinunciabile è un tratto di sperimentalità dell’agire avendo l’attitudine a cogliere le possibilità di rottura e al non arrivare tardi rispetto alle necessità del conflitto. Sviluppare dunque una forma della militanza sempre pronta a cogliere le vibrazioni del sociale e situata dentro le contraddizioni, dentro la merda del reale. Un piano strategico da elaborare di costruzione sul qui e ora lo strappare pezzi di potere a partire da forme di internità al sociale. A partire da questo sfondo, vi è stata una ricorsività in molti interventi dei seguenti nodi:

  • -la necessità di aumentare il nostro costo sociale, volgendo nel far pagare ad altri i tentativi di scaricamento dei costi della crisi;

  • -individuare nelle rigidità che già esistono una base di partenza dalla quale costruire comunicazione tra esperienze;

  • -sviluppare nei rapporti tra soggettività e luoghi nuove collocazioni tattiche in grado di dialogare con le forme del populismo e con la variegata articolazione delle forme di rifiuto;

  • -sperimentare delle differenze, concependo però l’esistenza di un luogo entro il quale esse possono trovare un terreno comune, quello della lotta di classe e della barricata;

  • -trovare una temporalità e uno sguardo che si opponga alla continua produzione di emergenze e shock;

  • -partire dalle contraddizioni reali, dentro le ripide trasformazioni del capitale e delle classi che variano rapidamente i conflitti, con la capacità di essere agili di fronte a un capitale mobile;

  • -individuare nei bisogni un elemento aggregante, guardando tuttavia al ritorno d’attualità della lotta di classe;

  • -saper indicare campagne politiche in contemporanea con una propensione al cogliere le occasioni dentro una situazione potenzialmente esplosiva – che per ora si dà unicamente come grande confusione pur nella presenza di spaccature profonde;

  • -essere all’altezza di una arroganza del potere che oggi si fa attacco da un livello dall’alto verso il basso.

A partire da questi criteri è stata proposta una griglia, un campo di tensione articolato attorno a tre polarità: il linguaggio, la temporalità e il conflitto. Linguaggio inteso come ricerca entro una nuova composizione emergente, teso a rendere potente una possibilità reale. Confrontandosi con una realtà plasmata dal capitale, coi propri strumenti di pensiero e di operatività sui territori, rispetto ai quali c’è l’esigenza di costruire i nostri piani di riflessione e operatività. La costruzione di una possibilità che si dia non come aggregazione attorno a una proposta politica, ma come un continuo esperimento di magnetizzazione di energie. Una ricerca che deve partire dalla necessità di un linguaggio semplice, una questione che mima il problema dell’organizzazione – ossia delle relazioni che si producono tra chi intende rovesciare la propria condizione.

La temporalità quel polo da intendersi nell’intensità dello sforzo per liberarsi dalle oppressioni, espropriazioni e contraddizioni che ci attraversano. Intensità da sviluppare per ottenere quello che ci serve nel rilancio di un’ipotesi di lotta di classe entro una temporalità che non si determina solo nell’incontro delle forme organizzate. Essa va anzi cercata decisamente altrove, trovando nella quotidianità una misura. E laddove il capitale costruisce un tempo senza memoria, è necessario rintracciare elementi di possibile soggettività-contro. Su questo si inseriscono gli elementi del territorio, del radicamento, della lotta non come forma retorica. Processi di territorializzazione allora come una temporalità dei movimenti entro la quale va sancita una cesura: un linguaggio della trasformazione che si deve radicare nel quotidiano.

Infine viene riportato l’elemento del conflitto come segno comune dentro le dimensioni sociali stressate verso un probabile fronte di precipitazione della nuova crisi globale alle porte. In ciò la relazione tra soggetti che va sviluppata niente ha a che vedere con l’educazione o l’assistenza, ma deve trovare nell’esempio che mostra la possibilità della rottura come fatto, non come parola, una ritmica da sviluppare. Individuare in altre parole nello scarto tra ciò che c’è e il loro divenire possibile lo spazio da conquistare, prendendo ad esempio la questione molto discussa del meticciato – i cui embrioni già si sviluppano, ma il cui orizzonte è posta in palio da costruire.

 

Campi di intervento ed esplorazioni possibili

 

Sono stati elencati e proposti una serie di campi di intervento, una serie di linee di tensione da rilanciare, connettere e approfondire. Una pluralità di nodi che continuamente ritornano nei differenti territori. Individuando dunque la necessità di intrecciare percorsi e comporre lotte, ma anche leggere ambiti e campi di disponibilità a una risposta collettiva di chi subisce l’austerità tutt’ora da inchiestare, provocare e sperimentare.

E’ emerso spesso il tema della composizione di classe e delle lotte come elemento strategico, da sviluppare rilanciando e trasformando ciò che ciò e attivando esplorazioni su nuovi fronti aperti nell’attualità. Parlare dunque a chi subisce l’austerità e individuare i campi dove è possibile costruire un no – nella consapevolezza dell’esistenza di una rabbia latente, di comportamenti incompatibili e di una disponibilità dentro il corpo sociale che pretende, che vuole strappare, che vuole vincere. Necessario dunque un aggiornamento e un cambiamento di paesaggio nelle priorità, il rilancio ma anche l’individuazione di nuovi punti di partenza entro un reticolato di condizioni sociali sulla soglia dell’esplosione.

Necessario in definitiva arrivare al fondo di nodi da porre a partire da tendenze che vediamo dentro la classe, da comportamenti che vediamo esprimersi dentro periferie, scuole, università ecc.. intese come embrioni di una grande lotta che si può esprimere. Non lasciare nessuno spazio alla depressione, nella necessità invece di intendere il presente come un momento per costruire nuove capacità. Nella consapevolezza che non ci sono più lotte da sole in grado di produrre uno scarto, come è stato per la lotta No Tav o per la lotta sulla casa. Ma non possiamo più aspettare la prossima Onda che forse non arriverà, quanto trovare in ogni contesto, e nella quotidianità, le possibilità del conflitto.

 

Riportando dunque in maniera schematica i campi di intervento emersi elencandoli non in ordine gerarchico, ma come trama di punti di intervento:

 

Campo 1: Conflitto lavoro/capitale (salario)

Le lotte nella logistica hanno mostrato come un soggetto apparentemente impossibile a mobilitarsi si sia sollevato a partire non da un meccanismo “esterno” di solidarietà, quanto con strumenti di organizzazione radicati che costruiscono pezzi di territorio meticcio e antagonista. Forme sindacali e collettivi antagonisti come strumento usato dalla dignità operaia che combatte a partire da obiettivi concreti, ma ponendosi come terreno forte e compositivo la questione, appunto, della dignità. La leva del salario allora come capace di mettere in contraddizione meccanismi di accumulazione del capitale e anche come presa di parola sulla città che si trasforma “capitalisticamente” attorno al nodo della circolazione.

Ripensare e praticare dunque la forma dello sciopero come spazio di conflitto e di connessione coi bisogni sociali diffusi e i soggetti dello sfruttamento nella metropoli. Come spazio di riconoscimento tra simili.

Di fronte alle varie riarticolazioni e risposte delle controparti alle lotte degli ultimi anni, il terreno dello sciopero generale della logistica a venire diviene un terreno su cui sperimentare forme di aggregazione.

 

Campo 2: Reddito

Di fronte all’impoverimento complessivo si pone la questione di come, più che dai vuoti, si possa partire dal pieno delle lotte passate nel loro poter divenire un nuovo pieno, nuovi nessi di composizione attorno a variegate leve di conflitto che non contrappongano, ma mettano in simbiosi salario, welfare, e bisogni. Tenere assieme la de-contrattualizzazione, il controllo sui posti di lavoro, il Jobs Act, con le ridefinizioni del welfare in salsa anglosassone, con una dimensione generale di riappropriazione di quote di reddito e bisogni sociali legati a meccanismi di territorializzazione. La cogente questione della disoccupazione giovanile è inoltre un tema cruciale da approfondire, a partire dall’inquadrarlo come ambito dello sfruttamento sul quale innestare delle sperimentazioni possibili di organizzazione e riappropriazione.

Il tema del reddito, nel momento in cui anche i livelli istituzionali lo agitano come strumento di pacificazione sociale attraverso la distribuzione di briciole in cambio di un disciplinamento e di una lavorizzazione, va ripensato intendendolo come terreno di riappropriazione, come l’instaurarsi di possibilità altre di vita, come lotta al debito.

 

Campo 3: Periferie

Elemento che è stato costruito come dimensione al contempo sociale e geografica. Sul primo aspetto si è parlato di una periferizzazione del sociale che si dà nella continua espulsione, nella costruzione di scarti umani, nell’emergere di una composizione di poveri, emarginati, reietti, abitanti delle galere e delle strade, profughi, rifugiati… Quei soggetti brutti sporchi e cattivi che tuttavia contengono possibili frammenti di conflitto e dignità. Si pone da un altro versante il tema di come intercettare il dolore e di come siamo in grado di rimuovere le paure (di rinunciare a qualcosa, di perder sicurezza e identità, ruolo, appartenenza).

Si tratta in altre parole del come articolare un intervento nelle vecchie e nuove povertà, negli strati dell’insolvenza, in quei comportamenti troppo spesso individuali da sottrarre alla possibilità della guerra tra poveri incarnata dai Salvini di turno.

Contro l’emergenza come quotidianità per milioni di persone, si tratta anche di cogliere l’esistenza di esplosioni sociali (da Rosarno al 9 dicembre torinese come esempi) come un campo di possibilità.

Periferie in secondo luogo come spazi dei nostri territori dove radicare forme di lotta e aggregazione e riconoscimento per fare venire fuori una marea umana dal conflitto (latente) nella dicotomia reddito/povertà.

 

Campo 4: Formazione

Il campo della formazione, dalle scuole primarie sino all’università e ai nodi della formazione permanente, rimane uno dei terreni strategici per il conflitto e l’organizzazione di parte. Le fabbriche della formazione alla crisi come spazi di costruzione profondamente trasformatosi negli ultimi anni. L’università ha completato un ciclo di ristrutturazione culminato nel compiersi dell’università-azienda, all’interno della quale già si scorgono possibili forme di rottura della solitudine. Possibilità dunque di infilarsi nelle promesse tradite, nelle spaccature che si prospettano e portarle in alto, senza necessità di semplificazioni. Sul terreno universitario è stato da più interventi individuato il terreno della riforma del calcolo ISEE quale spazio di sperimentazione di nuove forme conflittuali all’interno dell’università, individuandolo inoltre come possibile elemento per intrecciarsi anche su altri livelli sociali nella connessione dei quali non esistono frontiere aperte, ma bordi sui quali muoversi e da forzare.

Più interventi hanno riportato inoltre l’importanza di una lotta nelle scuole che si ponga sul terreno del sabotaggio della Buona Scuola renziana e degli Invalsi, individuando nella data del 2 ottobre un primo momento di risposta.

 

Campo 5: Casa

La lotta per il diritto all’abitare, nella necessità di sperimentare nuovi terreni di connessione e trasformazione, permane come ambito decisivo di riappropriazione e contrapposizione sociale alla crisi. Un campo di politicizzazione dei bisogni che deve strutturarsi nella difesa da sfratti, pignoramenti e resistenza agli sgomberi delle occupazioni, ma anche rilanciare su forme nuove del conflitto per l’abitare.

E’ stata rilanciata la settimana chiamata Prima i poveri! lanciata dalla rete Abitare nella crisi tra il 10 e il 16 ottobre, che vedrà un momento importante nell’arrivo sotto Montecitorio il 16.

 

Campo 6: Migrazioni

Le nuove forme di mobilità, nella loro complessità e caleidoscopicità, hanno un dato di insita rottura delle regole che le rappresenta come elemento in grado di produrre un fatto nuovo. Nello sfondamento delle frontiere della Fortezza Europa, in esperienze come quella di Ventimiglia, ma anche nella consapevolezza di come il confine oggi sia diffuso ovunque, è necessario immaginare come costruire alleanze e proposta politica vera assieme ai comportamenti incompatibili dei migranti. E’ inoltre necessario considerare la dimensione della mobilità nel suo intimo intreccio con le forme del lavoro, e considerare terreni come il permesso di soggiorno, l’articolo 5 e la residenza quali momenti di lotta da rilanciare e costruire.

Va inoltre ribadita una non mediabile contrapposizione diretta alle nuove forme di fascismi e del razzismo in veste di opzioni di gestione dall’alto dei flussi migratori.

E’ stata inoltre discussa la necessità di costruire forme di appoggio alla resistenza di Kobane e di sanzionamento della politica del governo turco che esulino dai singoli interventi di realtà organizzate per invece comporlo su un piano più ampio.

 

Campo 7: Urban Battleground

Il tema del territorio, della città e della metropoli è una delle linee guida a partire dalle quali articolare forma di lotta. Questa articolata e differenziata forma di definizione di luoghi da leggere attraverso il filtro dell’urbano, o meglio di un processo di urbanizzazione come elemento ampio, di connessione tra implosioni ed esplosioni, all’interno di una trama unica: tra boschi, valli, quartieri popolari, infrastrutture e la distruzione dei territori a partire da grandi opere, dalla Tav alle trivellazioni, che coinvolgono in egual misura mari, campagne e piani metropolitani.

Rientra qui il tema sopra citato dei quartieri popolari e delle periferie, e di quello scarto tra territori gerarchizzati dal capitale e percorsi di territorializzazione, di spazi meticci da costruire. Immaginare dunque l’urbano come un costitutivo campo di conflitto, di secessione possibile, di costruzione di altre geografie, di ricerca di pratiche di interruzione dei flussi di capitale e di nuovi usi dello spazio. Un campo da aggredire, da strappare a un capitale e una amministrazione governamentale sempre meno interessati né in grado di darsi come piano di sviluppo del locale.

 

Campo 8: Welfare

L’ampio terreno delle ristrutturazioni del welfare è un altro dei campi di intervento e di esplorazione necessari da attivare. Come connettere il lavoro nei servizi sociali, nella sanità, nell’accoglienza, con le esigenze e i bisogni sociali sempre più espulsi dai costi assunti dallo Stato e ridefiniti nel privato o nell’esclusione; come immaginare nuove forme della riproduzione sociale autonoma a partire dallo scarto presentato dalla ridefinizione neoliberale dello Stato; come istituire un terreno sul quale la riproduzione endogena della classe possa contrapporsi alla distruzione ineludibile delle forme capitalistiche contemporanee… Tutte domande aperte su uno spazio di conflitto da sperimentare.

tratto da Sfidiamo il Presente 

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