Spazi sociali. Il giornale del primo maggio del Network antagonista torinese
Pubblichiamo di seguito l’editoriale e il pdf di Spazi sociali, il giornalino distribuito durante il primo maggio dal Network antagonista torinese. Quest’anno è dedicato alla metropoli.
In questa piazza del Primo Maggio come da stanca tradizione sentiremo centinaia di appelli ipocriti all’unità di fronte ai tempi bui che ci attendono. La parola unità ha attraversato gli ultimi cinquanta anni cambiando continuamente significato: dall’unità degli sfruttati contro gli sfruttatori si è prima passati all’unità di aziende, politici e lavoratori verso lo sviluppo per arrivare infine alla infida unità “etnica” degli autoctoni contro chi arriva da fuori.
Per questo Primo Maggio, dunque, permetteteci di dissentire, di celebrare invece che l’unità la crescente divisione. La retorica dello sviluppo si è rivelata una grande menzogna. Nessuna unità, nessuna convergenza di interessi esiste tra chi vive del proprio lavoro e chi vive del lavoro altrui. La crisi è stata lo spartiacque che ha sciolto definitivamente l’illusione. Le privatizzazioni, la precarietà, la riduzione del potere d’acquisto, la competizione, la devastazione ambientale non sono più scotti da pagare in cambio di un futuro di realizzazione individuale, ma sono semplicemente la certezza dell’impoverimento, dell’ansia di fallire, del debito, della proletarizzazione di intere fasce di società.
Quando il re è nudo, quando il patto sociale è sciolto e quando si palesa ciò che era nascosto non si può più tornare indietro. Certo, si può provare a cambiare il bersaglio dell’attenzione collettiva, si può indicare l’immigrato come responsabile di tutto, al posto della politica, degli imprenditori, della finanza internazionale. In questo momento sicuramente ha i suoi effetti: tu soffri, ma hai la sicurezza che c’è chi sta peggio di te!
Quanto può durare tutto questo però? Una nuova recessione si avvicina e ancora nessuna soluzione all’esclusione sociale provocata dalla precedente è stata data.
Per quanto potranno ancora dirci che viviamo male per via dello straniero?
Dunque questo primo maggio celebriamo la divisione, con il pensiero e con la pratica, celebriamo le nuove faglie che si accennano e che spartiscono la società tra interessi contrapposti. Gli interessi di chi sta in alto e vuole continuare a sfruttare, a devastare e inquinare, a scaricare i costi del debito e della crisi su chi lavora contro gli interessi di chi vuole spendere meno per sopravvivere, vuole un lavoro dignitoso, un territorio libero da veleni e speculazioni. Vero è che queste faglie sono ancora tenui, che si vedono in controluce ogni volta che un conflitto, qui e altrove, emerge a sconvolgere le narrazioni dei media e della politica: i pastori sardi, i gilet gialli, il movimento No Tav, l’opposizione al ridisegno della città in maniera funzionale alla nuova accumulazione che imprenditori e lobby pretendono per sé.
In che modo si può parlare di Torino, della città metropolitana se non come di un territorio diviso? Una divisione che è geografica e sociale ancor prima che politica.
La grande promessa di rinnovamento, di cambiamento, di attenzione ai bisogni delle periferie e di chi è stato lasciato indietro che si incarnava nel movimento 5 stelle e nella sua sindaca si è rivelata nient’altro che un bluff.
I grillini non si sono resi conto che nessun cambiamento è pos- sibile senza rimettere in discussione i rapporti di forza con chi davvero governa la città: la San Paolo, le fondazioni private, gli Agnelli, i Cairo, la Confindustria, la Lavazza e i loro faccendieri. Dunque si sono adattati senza colpo ferire, pur di rimanere in sella e non fare i conti con le contraddizioni. Ma i bisogni sociali che avevano portato a quel terremoto politico istituzionale che era stato la vittoria dei 5stelle al comune di Torino sono an- cora tutti lì, in attesa di palesarsi nuovamente. La scelta di farsi mediatori di conflitti insanabili, invece di prenderne parte, ha generato l’immobilismo politico in cui oggi si trova l’amministrazione. Niente di stupefacente per quanto ci riguarda!
Si tratta di scegliere: in questa città divisa tra le madamine che riverniciano di arancione le facciate dei partiti che hanno portato Torino alla rovina e il popolo No Tav, tra la Confindustria che piange miseria dopo aver per anni goduto di salari bassi e precarietà e i riders in sciopero, tra la San Paolo, la Lavazza e le fondazioni private che utilizza- no la città come il proprio par- co giochi di speculazioni e chi nei quartieri popolari non ce la fa a campare e occupa case e resiste agli sfratti. Noi, per parte nostra, abbiamo già scelto. Oggi è importante non nascondere la polvere sotto il tappeto, è importante prenderne atto e far emergere questa divisione, in vista di un futuro in cui la parola unità riacquisti un significato che sia all’altezza dei nostri bisogni collettivi.
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