Studenti, dal 14 dicembre al No Tav
L’anno politico che è oramai alle nostre spalle è stato espressione di una ricchezza politica molto grande, e in quest’estate ancora di lotta (sul fronte No Tav, in preparazione del rifiuto dell’italian austerity) arriva il tempo di porre due domande, proiettandosi in avanti, con l’autunno che si avvicina, perchè sotto il caldo sole nostrano la controparte mette in campo le proprie mosse. La finanziaria e il blocco ideologico che si porta dietro, la precarietà economica del nostro paese, quindi un governo sempre più sul filo del rasoio e la mancanza di una reale alternativa di maggioranza o di opposizione sono elementi che potrebbero comporre un mix esplosivo. Con i riots di Londra negli occhi, accogliendo quanto questi ci indicano e insegnano.
È stato un anno realmente ricco che, con tutte le difficoltà e i limiti di un movimento studentesco ancora in fase di ricomposizione (soprattutto dal punto di vista politico) ha sedimentato nell’immaginario giovanile (e non) una serie di pratiche e nodi focali. La rottura del 14 dicembre ha aperto degli enormi spazi politici, seppur il movimento studentesco nelle sue variegate forme e prospettive non abbia saputo capitalizzarli. Quegli spazi però sono stati colti in una dimensione più generale e collettiva, transgenerazionale, dal basso. Nonostante ci sia chi cerchi di rimuoverlo in fretta, di lasciarlo alle spalle, di soffocarlo in una ricucitura di un immaginario senza nessun radicamento sul reale, il portato di quella giornata è stato la premessa per tutto ciò che è venuto dopo. La politica istituzionale per la prima volta dopo un decennio si trova di nuovo a fare i conti con i movimenti e non solo con le baruffe dentro i palazzi del potere. Il 14 dicembre è stato un grande avvertimento di tutto quello che sarebbe successo dopo. E dopo infatti il segno ha iniziato a modificarsi lentamente, i referendum come esercizio di organizzazione e risposta dal basso hanno portato a casa una grande vittoria, non tanto e non solo nei risultati, ma soprattutto nei meccanismi di attivazione e protagonismo che hanno riportato la gente comune a sentirsi parte di una narrazione diversa da quella propinata da tv e giornali (ovviamente le due cose sono contestuali). Il boato del 14 dicembre dobbiamo ascriverlo quindi ad una tendenza di soggettivazione diffusa, non ghettizzata dentro le mura scolastiche e universitarie, per quanto queste siano andate a costituire gli epicentri dell’organizzazione e della sedimentazione collettiva, nel ciclo di tre anni di lotte contro la riforma Gelmini, da dove siamo partiti per occupare stazioni strade autostrade e piazze.
Quest’anno però si è verificato anche l’esaurimento definitivo di alcune strategie di organizzazione nel ‘mondo del lavoro ufficiale’. Notevole è infatti la differenziazione da farsi tra la vicenda Fincantieri e quella Fiat. Il grande No al piano Marchionne è stato esaurito su un piano burocratico di piatta sindacalizzazione, mentre dove si è agito il conflitto (non come mera estetica) i risultati reali sono arrivati quasi immediatamente, certo c’è da dire che la composizione tecnica Fincantieri è sicuramente molto più interessante di quella Fiat (innanzitutto un discreto tessuto migrante che ha largamente partecipato alle agitazioni), ma contemporaneamente è facile pensare che se pur la vertenza Fiat non avesse condotto alla vittoria sicuramente avrebbe aperto una strada di coesione sociale dentro le lotte ampia e diffusa. Laddove il tutto si è giocato anche su un piano di retorica: la questione della rigidità operaia (qui operaio non solo inteso come lavoratore metalmeccanico), ovvero il superamento dell”ideologia classista’ per una più utile (per loro) filosofia della ‘compartecipazione del lavoratore-cittadino alla azienda-stato’, senza diritti, senza garanzie, con meno salario, ma fesso e contento…
Questo ruolo sembra averlo raccolto invece il movimento No Tav, non è un caso che l’attacco politico, giornalistico e militare a questa lotta sia stato così violento. Difatti la controparte ha ben capito che in Val Susa non si gioca solo la questione dell’alta velocità, ma si gioca una vera e propria partita che coinvolge l’intero paese e l’exit strategy dalla crisi che la classe dirigente sta tentando di mettere in atto. Nel picco della crisi, mentre le borse sono in cascata libera, le istituzioni finanziarie internazionali esigono il rientro dal debito come condizione per il salvataggio sistemico e immediata posposizione di misure d’austerity di lacrime e sangue: la potenza di un No come quello valsusino dobbiamo tradurlo in un binomio autenticamente concentrico, nel quale sviluppare il No Tav in un rifiuto della crisi e del debito, in una pretesa di alternativa e di altro modello. Ripartire dalla Val Susa, per noi, significa assumere che opporsi al Tav vuol dire guadagnare una scuola degna in più, vuol dire pianificare un sistema di welfare liberatorio di una pedante finanziarizzazione della vita, quindi pretendere e sperimentare un’altra organizzazione dell’esistente, della riproduzione di un modello altro, e non possiamo immaginare ciò senza non avere focalizzata nello sguardo la straordinaria esperienza della Libera Repubblica della Maddalena. Il laboratorio Val Susa, della sua resistenza popolare, è insufficiente se narrato con le parole, bisogna viverlo per avere coscienza della sua potenza, sociale e politica; venite in Val Susa.
Essere studenti dentro questa fase significa molto, i più importanti movimenti sono stati fortemente attraversati da una componente giovanile in linea con quanto sta succedendo ai quattro angoli del mondo, dal Cile alla Spagna, dalla Grecia alla Tunisia, dall’Egitto all’Inghilterra. Ripartire dalla ricchezza del 14 dicembre, raccogliere i sedimenti delle grandi fasi di lotta che abbiamo attraversato, prepararsi per essere all’altezza di una sfida che non parla solo più di scuola ed università, ma che contiene queste dentro un orizzonte molto più ampio e complesso.
In questi parziali e improvvisati appunti di metà agosto abbiamo provato a mettere in fila un paio di cosucce, senza troppe pretese, ma con l’interesse di anellare un paio di considerazioni sull’anno che abbiamo vissuto, in prospettiva di quello che viene. Però una cosa è certa: l’alternativa non sta nei giochi di potere, non sta nelle disquisizioni filosofiche, nasce, si discute, si radica, si trasforma, dentro le lotte, unico vero laboratorio sociale per sognare un futuro diverso.
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