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Cosa sta succedendo in Serbia?

Sabato 15 marzo a Belgrado si è svolta la più grande mobilitazione della storia della Serbia, che ha visto la partecipazione di oltre 800.000 persone provenienti da tutto il paese, in gran parte studenti e studentesse. Moltə di loro hanno percorso decine di chilometri a piedi, attraversando il paese e portando anche nelle regioni più remote e marginalizzate le ragioni della mobilitazione a guida studentesca che da più di tre mesi sta bloccando il paese.

Ma cosa sta succedendo in Serbia?

Questo articolo viene scritto a partire da un’iniziativa organizzata dal Collettivo Universitario Autonomo – Pisa, svoltasi il 13 Febbraio all’Università di Pisa con Aida Kapetanovic, ricercatrice all’università di Fiume e Belgrado. L’obiettivo era riportare e contestualizzare la cronistoria dell’ultimo ciclo di mobilitazioni che da novembre stanno sconvolgendo la Serbia. Oltre a questo, l’obiettivo era quello di riflettere su come queste proteste possano dare nuove spinte in tutta Europa, vedendo cosa queste mobilitazioni rappresentano per la Serbia e i Balcani tutti e immaginando come, in un momento in cui anche l’Università pubblica italiana è completamente alla deriva, possiamo e dobbiamo trarre insegnamenti da queste mobilitazioni.

Alle 11:52 del 1 novembre 2024 crolla una tettoia in cemento armato davanti alla stazione di Novi Sad uccidendo 15 persone. Questa tettoia era appena stata ricostruita, con un progetto di ammodernamento; nel progetto erano coinvolte aziende cinesi, ma anche appalti con compagnie vicine al governo. Per questo, dopo la tragedia, non vengono individuate le persone responsabili dell’accaduto. Il crollo è diventato il simbolo di un sistema di corruzione che permea tutto il paese: il presidente Aleksandar Vucic, attualmente alla guida del paese da 13 anni, ha creato nel tempo un sistema clientelare che ricopre tutti gli strati della società. Il “partito progressista serbo” (SNS) di Vucic è al governo dal 2012: Vucic ha assunto il controllo assoluto dal 2014, diventando primo ministro, e poi nel 2017 come Presidente. 

Spesso a guardare le mobilitazioni così grandi in paesi fuori dall’Europa si parla e si mormora delle influenze estere, di altre potenze, per “mettere i propri ministri al governo”. In questo caso, invece, l’Unione Europea ha sempre svolto un ruolo di importante supporto politico nei confronti di Vucic, un leader che si è presentato come il volto progressista dopo Milosevic, che avrebbe “europeizzato e democratizzato la Serbia”, garantendo la stabilità nella regione. Nonostante sicuramente esistano altre influenze geopolitiche, l’Unione Europea rimane il più importante partner della Serbia e del suo governo. Un governo che ha guidato molte delle privatizzazioni e delle grandi opere, spesso costruite in tempi ridotti e con materiali scadenti, risultando in lavori fatti male e vite messe a rischio.

La corruzione uccide, le vostre mani sono sporche di sangue”. Con questo slogan studentə e altre componenti della società hanno iniziato a fare blocchi stradali con 15 minuti di silenzio per onorare le 15 vittime del massacro di Novi Sad. Sono stati blocchi molto potenti e efficaci, in cui le macchine sono state bloccate mentre le persone scendevano in strada per unirsi al blocco. Le manifestazioni sono, infatti, l’espressione di un lutto collettivo di cui lo Stato non si è fatto carico, anzi, che ha tentato di reprimere le manifestazioni di dissenso senza riuscirci.

Il 20 novembre, l’attuale Ministro del Commercio ed ex Ministro dell’Edilizia Tomislav Momirović si dimette: nella lettera di dimissioni promette “eterna fedeltà al presidente Vučić”. Ma anche questo non basta a far emergere le responsabilità delle persone coinvolte nella ristrutturazione. 

Il 22 novembre una manifestazione all’accademia delle Arti Drammatiche di Belgrado, a cui hanno partecipato anche docenti, viene attaccata. Come risposta, le studenti dell’Accademia si ritrovano in assemblea e decidono di occupare, stilando una lista di chiare rivendicazioni:

  • la pubblicazione della documentazione riguardante la ricostruzione della Stazione di Novi Sad
  • il proscioglimento delle accuse contro le persone arrestate e detenute durante le proteste
  • l’imputazione penale e l’ulteriore perseguimento delle persone che hanno aggredito fisicamente studentə e docenti, oltre alla loro rimozione dalle cariche pubbliche
  • l’aumento del 20% dei fondi stanziati per le università pubbliche.

Da questo momento le occupazioni si diffondono ovunque, anche nelle scuole: vengono occupate quasi tutte le università del Paese.

Il 22 dicembre c’è una grandissima manifestazione a Belgrado, con 100mila persone tra studentə, professorə, lavoratorə degli ambiti agricoli e degli ambiti culturali. Nello stesso mese, intanto, i minuti di silenzio diventano 16, per onorare una vittima di un accoltellamento in una scuola a Zagabria in Croazia. Cominciano altre proteste in solidarietà a studentə. 

A partire dal grande sostegno ricevuto, la componente studentesca vuole espandere i blocchi a tutto il resto della società: viene lanciato uno sciopero generale per il 24 Gennaio. Quando la notizia inizia a diffondersi, il Primo Ministro minaccia i sindacati che chiunque aderirà allo sciopero verrà licenziato. Questo genera ancora più rabbia, perché svela e rende evidente le complicità di tutte le istituzioni. Nonostante questi ricatti, studentə, docenti e anche altri settori (piccoli imprenditori, avvocati, giudici, alta tecnologia, commercianti) aderiscono. Lə studenti lanciano anche lo sciopero dei consumi. Prima della data dello sciopero,  lə studenti decidono di portare le mobilitazioni davanti alle sedi della tv nazionale serba (RTS): vogliono che i media diano voce alle proteste. La direzione del canale non si schiera, ma una risposta importante arriva da lavoratori e lavoratrici, che calano uno striscione di solidarietà. “I dipendenti della RTS sostengono gli studenti” e “Non potete investirci“, in riferimento agli attacchi contro i manifestanti durante i blocchi.

Lo sciopero generale del 24 gennaio invita la società tutta a fermare tutte le attività di lavoro e di consumo. All’appello hanno risposto numerosə datorə di lavoro del privato, piccolə imprenditorə, ONG, operatorə culturali, avvocatə, giudici, compagnie di tecnologia, alcuni media. A Lazarevac (comune di Belgrado) lə studenti sono statə raggiuntə dai minatori delle miniere RB Kolubara. Durante lo sciopero sono stati organizzati cortei di protesta, blocchi stradali e raduni di massa in tutto il Paese, in particolare a Belgrado, Novi Sad, Nis e Kragujevac.

Il 27 gennaio si assiste ad un altro momento di grande mobilitazione: un blocco di 24 ore dello snodo autostradale di Belgrado, l’Autokomanda. Lo slogan dello sciopero è sotto “l’autocomando” dellə studenti. Sono momenti di grande solidarietà, in cui si canta, si gioca a scacchi, si mangia, ci si confronta. Si uniscono sempre più settori alle proteste, tra cui anche ingegnerə civili, che chiedono nuovi modi di fare progetti.  Il giorno successivo, alcunə studenti che affiggevano manifesti a Novi Sad vengono attaccatə con mazze da baseball davanti alla sede locale di SNS, attacco in cui rimane ferita gravemente una studentessa. In risposta viene organizzata una protesta a Novi Sad. 

Emergono informazioni sui legami personali tra gli aggressori e due politici di spicco: il primo ministro Miloš Vučević e il sindaco di Novi Sad Milan Đurić si dimettono.

Viene chiamata una manifestazione a Novi Sad il 1 Febbraio: per arrivare vengono fatte delle marce da tutto il paese. Nella giornata vengono bloccati tre ponti, di cui uno per più di 27 ore, rinominato “Il ponte della libertà”. Intanto si aggiungono nuove proteste anche in cittadine più piccole (Surdulica, Bojnik, Merosina, Smedervska, Palanka, Krupanj e molte altre).

Il 3 febbraio lə avvocatə iniziano uno sciopero di 30 giorni, con la richiesta di dimissioni o licenziamento dei ministri dell’Interno e della Giustizia, dei presidenti della Corte  Costituzionale e della Corte suprema, del Procuratore supremo, dei presidenti dei Consigli superiori della giustizia e della magistratura.

Il 5 febbraio 5 proteste simultanee a Belgrado. Oltre allə studenti, manifestano pensionatə, operatorə sanitari (davanti all’ospedale di Zemun) e dipendenti dell’azienda di trasporto pubblico GSP (davanti alla sede). Pochi giorni dopo, anche attori e attrici dei teatri di Belgrado, Novi Sad, Sombor e Zrenjanin iniziano uno sciopero di 7 giorni.

Nel frattempo in un comune della Serbia occidentale viene organizzata un’udienza pubblica, ma a porte chiuse, che riguarda il piano urbanistico e comprende l’esplorazione di giacimenti di litio. Centinaia di contadini e manifestanti entrano nell’edificio del comune di Bogatić, portano fuori fisicamente il presidente locale dell’SNS e organizzano una plenaria in cui sostengono le richieste dellə studenti.

Lə studenti di Kragujevac delle facoltà bloccate corrono una maratona a staffetta di 140km fino a Belgrado, dove arrivano il 9 febbraio, per consegnare allə loro colleghə gli inviti alla protesta prevista per il 15 febbraio a Kragujevac, nell’anniversario della prima costituzione serba del 1835 (la Costituzione di Sretenje, dopo la seconda rivolta serba contro l’impero ottomano). 

Il 9 febbraio, lə studenti della Facoltà di Agraria, insieme agli agricoltori sui trattori, bloccano il ponte Gazela a Belgrado per commemorare i 100 giorni dal crollo della tettoia.

Il 15 febbraio a Kragujevac di radunano 200.000 persone, venute a piedi da tutta la Serbia, percorrendo fino a 150km da Nis, la città più lontana. Di forte impatto la presenza dellə studenti provenienti da Novi Pazar, cittadina a maggioranza musulmana, a cui è stata lasciata la testa del corteo, a simboleggiare la solidarietà e l’inclusività profonda delle lotte portate avanti. 

Nel frattempo, Vucic organizza una manifestazione pro-governativa a Sremska Mitrovica, dove le persone sono state trasportate con autobus pagati dal governo non soltanto da diverse regioni della Serbia, ma anche dai territori a maggioranza serba della Bosnia Erzegovina e del Kosovo. 

Il 1 Marzo le manifestazioni hanno raggiunto il sud della Serbia, con una grande manifestazione a Nis, anch’essa raggiunta a piedi da studentə provenienti da tutto il paese. 

La scorsa settimana lə studenti hanno occupato per più di 20 ore le sedi della televisione pubblica RTS a Belgrado e Novi Sad, bloccando la programmazione televisiva e ottenendo la solidarietà di moltə lavoratorə.

Nei giorni precedenti alla manifestazione di sabato 15 marzo si è creato un presidio dellə “studenti che vogliono studiare”, persone più o meno giovani pagate dal governo per inscenare il sostegno a Vucic. Inoltre, nel tentativo di dissuadere dalla partecipazione, il Presidente ha alimentato attraverso i media un clima di tensione, prevedendo scontri e incidenti a Belgrado. Nonostante i tentativi di spaventare e reprimere, nonostante l’arresto di alcunə attivistə, questo sabato lə studenti hanno dato vita alla più grande manifestazione della storia della Serbia, superando di gran lunga i numeri della piazza che il 5 ottobre del 2000 ha portato al crollo del regime di Milosevic.

Nel tempo, manifestazioni di solidarietà si sono svolte anche negli altri paesei della Ex Jugoslavia, dimostrando come le nuove generazioni si sentono parte di “un solo mondo, una sola lotta”, rifiutando l’odio nazionalista che da oltre trent’anni le elites politiche alimentano tra i popoli della regione. Oltre al sostegno e la solidarietà, lə studenti in Serbia stanno ispirando le nuove generazioni in tutta la regione a scendere in piazza contro governi corrotti che traggono profitto sulle vite dei cittadini. Ad esempio, a febbraio in Bosnia ed Erzegovina lə studenti hanno guidato una manifestazione sotto il Parlamento Federale per chiedere verità e giustizia per la morte di oltre 20 persone durante le inondazioni di ottobre scorso, provocate dalla mala gestione e dallo sfruttamento incontrollato dei territori e dei corsi d’acqua da parte delle elites. La potenzialità delle lotte in Serbia ha una portata a livello regionale proprio perché mette profondamente in discussione gli autoritarismi, i sistemi clientelari e la propaganda nazionalista che caratterizza buona parte dei governi nella regione.

È importante sottolineare che le proteste in Serbia non nascono in un vuoto sociale, ma sono il risultato di un’onda lunga di mobilitazioni diffuse che negli ultimi anni hanno più volte puntato il dito contro il governo corrotto e il suo sistema. 

A partire, ad esempio, dalle lotte territoriali che dai villaggi della Stara Planina, al confine con la Bulgaria, si sono opposte a progetti di idrocentrali promosse nell’ambito dell’Agenda Verde dell’Unione Europea. Collegandosi ad altre lotte territoriali, attivistə ed espertə, hanno dato vita nella primavera del 2021 alla “Rivolta Ecologista” per la difesa dei territori, dell’acqua e dell’aria da devastazione e inquinamento. Col tempo, la minaccia dell’estrazione del litio nella Serbia occidentale da parte della compagnia australiana Rio Tinto è diventata il centro delle lotte ecologiste. Tra dicembre 2021 e gennaio 2022 il movimento ha organizzato numerose proteste e blocchi a Belgrado per chiedere al governo di annullare i contratti alla compagnia.

Nella primavera ed estate 2023 si sono svolte manifestazioni a cadenza settimanale sotto lo slogan “Serbia contro la violenza”, in seguito al massacro all’interno di una scuola avvenuto a maggio. Il dolore e il lutto per questo episodio si sono trasformati in una critica alla violenza diffusa nel paese da parte del governo e dei media pro regime (https://www.infoaut.org/contributi/la-primavera-serba-non-puo-essere-fermata-in-60-000-in-piazza-a-belgrado-contro-il-governo-per-la-quinta-volta-consecutiva

Mentre episodi del genere spesso alimentano momenti di lutto istituzionalizzati e pacificatori, in questo caso il lutto si è trasformato in rabbia e necessità di mettere in discussione una “normalità” diventata inaccettabile. Lə cittadinə hanno visto nel sistema politico e mediatico i responsabili della normalizzazione della violenza e dell’esaltazione di criminali di guerra degli anni ‘90, che ancora occupano ruoli di spicco nella società e nei media.

Pensiamo sia necessario dare risonanza quanto è accaduto e sta accadendo in Serbia sia per condividere notizie che non trovano abbastanza spazio nei nostri media sia per discutere di quanto la determinazione dellə studenti e della società serba tutta possano essere una spinta anche nei nostri territori.

Di fronte ad eventi tragici, che scuotono le coscienze, moltissimə persone hanno sentito la necessità di fermare tutto come risposta alle ingiustizie subite, chiedendosi: “Se non ci blocchiamo adesso, che tipo di vita stiamo vivendo?”

Dal blocco delle università agli scioperi generali, con l’avanzare della protesta sempre più parti della società si sono unite consapevoli di voler lottare per gli stessi obiettivi, contro la corruzione di uno stato che silenzia, reprime, uccide.

Fermare le università, impedire lo svolgersi “normale” delle cose (del lavoro, del traffico, del consumo), ha permesso di creare nuovi spazi di possibilità da cui, ad esempio, sono nate le rivendicazioni chiare e irremovibili dellə studenti, che disegnano una strada in cui muoversi per tutte le persone che vogliono mobilitarsi nel paese. Tenere queste come guida di ogni azione collettiva, riportare quotidianamente al centro del discorso la corruzione del governo (e delle università) anche quando provano a deviare il discorso, cercando “colpevoli” o inventando congetture su collaborazioni con altri partiti o Stati, ha permesso al movimento di crescere sempre più. 

I tentativi di rientro, i silenziamenti e le narrazioni costruite su chi si è mobilitato e continua a bloccare le città non stanno avendo l’efficacia sperata. Il presidente e i media mainstream sminuiscono e infantilizzano una scossa che è più grande di loro: la forza del movimento che ha attraversato il paese è stata capace di travolgere gli argini costruiti fino ad ora.

Nonostante la paura della repressione, nonostante i tentativi del governo e dei media di screditare le proteste, nonostante il timore di non essere sostenutə dalla società, la comunità studentesca è riuscita a creare una rottura nel sistema, dando la spinta ad un nuovo senso di unità e solidarietà nella lotta nel paese, che dà la forza per continuare la mobilitazione in Serbia e non solo.

Riportiamo un estratto del collegamento con una studentessa del Movimento, dalla Facoltà di Arti Drammatiche di Belgrado. Dialogo tradotto dall’Inglese all’Italiano; ci si riferisce spesso allə studentə in terza persona.

  1. Quali sono state le ragioni delle protesta?

Tutto è iniziato il 1 Novembre. Loro (lə studenti) hanno un programma molto preciso che chiedono al governo. Anche se poi ovviamente ogni scuola e ogni posto ha le sue richieste specifiche. Ad oggi hanno occupato 70 su 80 università. Oggi è l’ottantesimo giorno. 

Le richieste sono: la verità e giustizia sul crollo della pensilina e che ci siano conseguenze per chi è responsabile, stessa cosa sugli attacchi violenti nelle manifestazioni (quello che ha dato inizio a molte mobilitazioni si dimostrato che gli esecutori erano coinvolti con il partito al governo), caduta delle accuse per manifestanti, alzare il budget pubblico per le università. Ad ora non c’è stato nessun riscontro su queste mobilitazioni.

  1. Qual è il significato di blocco e sciopero per voi? Com’è cominciato nel movimento studentesco?

Per rispondere a questa domanda dobbiamo risalire a una sparatoria che è avvenuta in una scuola a Belgrado, che ha generato shock nella società. 

(Ci sentivamo che) ogni cosa si doveva bloccare in seguito a questo tragico evento, niente doveva continuare come se fosse normale. Questa stessa situazione si è verificata con il crollo della pensilina, con più necessità di blocco. Non è normale, non ci si può comportare come se lo fosse. Non si possono fare proteste brevi perché è una situazione straordinaria. Per questo siamo arrivati allo sciopero generale, in cui tutto si è fermato, proprio per questa necessità per dire che non è giusto. Se non ci blocchiamo adesso, che tipo di vita stiamo vivendo? L’origine di questi blocchi è  un profondo senso di giustizia.

  1. Qual’è il ruolo dell’Università nella vostra società e profonde queste proteste e blocchi cosa vi hanno fatto capire?

Il ruolo dell’università dovrebbe essere quello di dare il più alto livello di formazione. Quello però che succede è che i gradi alti del governo comprano dottorati, lauree, ecc., da enti privati. 

è una tendenza comune in una certa classe. Perché dover fare 4 anni di fatica all’università se puoi pagare? Ci sono tantissime studentesse iscritte all’università che riconoscono il valore della formazione e vogliono studiare. Il blocco pone un fermo a questa volontà, perché tutte le attività accademiche sono bloccate e non è possibile studiare ora.

È un passaggio importante però, che svela molte debolezze del sistema universitario. Per esempio nelle università piccole c’è un meccanismo di solidarietà tra professorə e studentə, invece nella maggior parte delle altre università non esiste, anzi c’è il boicottaggio da parte della componente dei professori. Spesso chi è messo in determinate posizioni nell’università è lì per nepotismo, con sistemi di corruzione legati al governo. Anche questa è una ragione delle proteste. Anche questa è corruzione, su cui loro chiedono giustizia. 

  1. Una cosa che abbiamo ammirato molto da qui è la chiarezza del vostro programma, e il momento in cui avete rifiutato di incontrare il Presidente perché non poteva esaudire le vostre richieste. Come avete fatto prendere queste decisioni? Mantenendo dritta questa decisione, come avete superato la paura di essere tagliati fuori da questa interlocuzione? Come funziona la comunicazione nel movimento?

Qualche settimana fa hanno deciso di non incontrare il presidente. Loro comunicano attraverso gruppi di lavoro che hanno in ogni facoltà occupata. i gruppi della comunicazione si vedono circa ogni settimana per prendere decisioni importanti. Spesso non c’è così bisogno di discussioni perché stanno tutti lottando con lo stesso obiettivo. Anche il fatto di decidere di non incontrare il presidente è stato semplice. Polizia e sistema giudiziario sarebbero gli unici interlocutori (a cui ci rivolgiamo), però anche lì non avremmo molto da dirci perché abbiamo richieste chiare, su cui non c’è molto altro da dirsi.

  1. In italia spesso abbiamo una grande paura di perdere il consenso nel portare il conflitto ad un certo livello. O abbiamo anche la tendenza di sentire che dobbiamo accettare ogni proposta che ci viene fatta dall’alto in quanto unica possibilità di ottenere qualcosa. (Lə studenti sono rimastə in occupazione a natale, festeggiando lì anche capodanno)

Questo movimento non è solo studentesco, tutta la società è coinvolta. La paura di non avere un supporto c’era. Quando hanno deciso di occupare la facoltà non si sarebbero immaginate mai che da lì ad un mese ci sarebbe stata la grande manifestazione di Belgrado del 22 Dicembre. Fin dall’inizio c’è stato un grande supporto di diversi strati sociali, anche sindacati dell’ambito dell’istruzione, lavoratori agricoli, del settore sanitario… si sta dando una forte unità e solidarietà in tutta la società serba, e questa è la cosa che più dà forza per continuare la mobilitazione, in un movimento che continua a crescere. 

  1. In Europa c’è questa idea-tendenza nei momenti di grandi mobilitazioni, soprattutto nei paesi dell’europa dell’est, di insinuare che nelle manifestazioni e nei movimenti ci siano manovre e manipolazioni da parte di Stati terzi. 

É una situazione tragicomica per loro (riferito allə studenti), perché sono stati accusati dal loro stesso Governo di essere delle spie della Croazia, per destabilizzare il governo. Questa cosa non è vera, anzi loro come generazione non si riconoscono nemmeno in queste tensioni etniche che appartengono più agli anni ‘90. 

Invece altri hanno detto che lə studenti erano al soldo dell’Unione Europea per riprendersi il Kossovo. Non è assolutamente vero, ma è interessante vedere come avviene davvero la riproduzione del movimento, non dai finanziamenti di potenze, ma dai cittadini che portano il cibo, associazioni che mettono a disposizione dei materiali ecc… sostengono il movimento così. É  interessante il bisogno da parte del governo di cercare un target, per non parlare dei veri motivi e del perché ci sono delle proteste. Lə studenti rifiutano collaborazioni sia del partito al governo ma anche quello di opposizione; il partito al governo accusa i manifestanti di essere al soldo del partito di opposizione, ma ovviamente anche questo non è vero. 

Qui è possibile scaricare e visionare la presentazione utilizzata durante l’iniziativa

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