Yes we Kony! (parte 1)
In un suo recente intervento su “Internazionale” («La strada dell’inferno è lastricata di video») il giornalista statunitense David Rieff, facendosi interprete di una critica largamente diffusa in merito al fenomeno Kony 2012, ha sostenuto che il video, girato dall’attivista dell’ONG Invisible Children (IC) Jason Russell, sia una «visione puerile del mondo», «non dica la verità» e pecchi di un eccesso di semplificazione.
Questo pare l’aspetto meno significativo di tutta la vicenda. È dagli anni ’90 infatti che la sfera pubblica, dal giornalismo alla comunicazione politica, è soggetta ad un processo entropico dove, nella costruzione di una notizia, i criteri di verificabilità hanno lasciato spazio a quelli della spettacolarità. Kony 2012 ne è solo l’ennesimo prodotto: con il suo impianto narrativo soft, la sua fotografia hollywoodiana, la sua costruzione di un personaggio politico basata su una rappresentazione morale e dicotomica del mondo e la sua capacità di riprodurre attenzione ma non capacità cognitiva rappresenta lo standard de facto delle tecniche odierne di comunicazione politica. Jason Russell ne ha semplicemente interpretato i dettami alla perfezione ed ha scatenato una tempesta nell’ambiente mediatico globale. All’interno di un ecosistema che produce impulsi sensoriali confusi per via dell’overloading informativo, la campagna “Stop Kony”, anche in virtù della sua capacita persuasiva fondata proprio su un processo di riduzione della complessità sociale che traccia una netta linea di demarcazione tra sfere morali, è diventata una bussola di senso comune per milioni di persone. Questo a nostro avviso è il dato di partenza da cui avviare una riflessione. Non le invettive sull’ipersemplificazione o il paternalismo della retorica di IC, che pur essendo condivisibili ad un livello esteriore, non solo non scalfiscono nemmeno in superficie il potente costrutto simbolico di Kony 2012 ma neppure sembrano interrogarsi su come esso sia diventato il più grande fenomeno virale nella storia di internet.
«Yes we Kony!» recitava il titolo di un articolo pubblicato qualche giorno fa su Global Voices. Una sintesi perfetta che, clausewitzianamente parlando, allude tanto alla logica quanto alla grammatica sottese alla campagna lanciata da IC il 5 marzo. Un grande momento di public diplomacy statunitense 2.0 mediato dai social network della Silicon Valley, operato attraverso un sapiente uso delle tecniche di guerriglia e viral marketing [1] e degli immaginari da esse evocati. Partiamo da quest’ultimo aspetto.
Costruire l’emozione
«Il più grande desiderio dell’umanità è quello di appartenere ad una comunità e connettersi. Oggi ci vediamo reciprocamente, ci sentiamo reciprocamente. Diffondiamo ciò che ci piace e questo ci ricorda quanto abbiamo in comune. E questa connessione sta cambiando il modo in cui funziona il mondo.»
(tratto da Kony 2012)
Tradizione, affetto ed abitudini trasmesse con il tempo. Ma anche storia, speranza ed utopia. Flashback di un passato senza tempo ed orizzonti di un futuro finalmente migliore. Tutti elementi che toccano le nostre corde più profonde e che attraverso fattori materiali, che sono anche fattori di comunicazione, possono essere intrecciati per creare connessioni e legami sociali, modellare dimensioni di appartenenza artificiali e comunità immaginate. Un capitale preziosissimo da spendere con lungimiranza nel mercato politico come effettivamente è avvenuto all’alba del secolo dei nazionalismi. Ma dal “risveglio delle nazioni”, passando per l’invenzione della colazione all’inglese (una trovata dei pubblicitari d’oltremanica per vendere prodotti di massa al pubblico nel secondo dopo guerra) fino al famoso spot della Apple del 1984, il passaggio di testimone si è ormai consumato. E la manipolazione di elementi simbolici condivisi – in passato appannaggio della tradizione collettiva, di letterati, storici e uomini politici – è oggi monopolio degli esperti di marketing che l’hanno saputa trasformare in una miriade di tattiche per veicolare scelte elettorali o di consumo legate alla sfera affettiva. L’emozione, sia quella legata ad una dimensione privata sia quella connessa agli immaginari collettivi attraversati da utopia e desiderio, è posta al centro di questo processo e funge da collante sociale.
Kony 2012 è innanzi tutto questo.
Un gioiellino di maketing, che trasmette tecnologicamente un sentimento di autenticità in grado di scuotere lo spettatore. Il suo incipit delimita un esteso campo di tensione narrativa ai cui estremi si collocano i caratteri ancestrali dell’uomo come animale sociale legato ad una comunità e lo spasmo del presagio di un mondo ideale. Lo scorrere delle immagini alterna sapientemente elementi legati alla tradizione (il richiamo alla comunità ed alla famiglia come suo nucleo e i codici emozionali peculiari della relazione padre-figlio in cui lo spettatore viene calato) ad altri che alludono ad una rottura con il passato. Una struttura narrativa simile a quella della favola dove il messaggio, posto su un piano morale e collocato in un contesto politico turbolento, si richiama ai valori fondamentali dell’esistenza ed assume connotati anticonformisti e rivoluzionari. Kony2012 in questo senso tratteggia il più classico degli scenari utopistici per costruire emozione: rappresenta l’ascesa di una classe emergente portatrice di nuovi valori e pratiche in un mondo in transizione. E par farlo mobilita e condensa tutti gli immaginari che negli ultimi anni, a ragione o a torto, di questa transizione sono i protagonisti.
La speranza del change obamiano delle presidenziali del 2008, trasposto idealmente nelle parole d’ordine e nelle rappresentazioni iconografiche di Jospeh Kony; le rivolte arabe rappresentate nei primi minuti del filmato come segnale tangibile di un cambiamento che ha spazzato via governi e dittatori che sembravano irremovibili dagli scranni che la storia aveva assegnato loro;
il 99% di Occupy Wall Street e le sue pratiche (come quella del megafono umano) riproposte quali espressioni diffuse di lotta, partecipazione e solidarietà distribuite ed in grado di esercitare pressione su una compagine politica bipartisan, “costretta” finalmente a piegarsi alla volontà popolare ed a farsene rappresentanza, esaudendone le richieste; ed infine l’ideologia 2.0 con la sua promessa di empowerment dell’individuo raggiunge il suo zenith: un click di mouse, un’idea, un’informazione condivisa in rete generano dimensioni di appartenenza ed azione collettiva che deviano il corso della storia.
Sono queste le forme significanti che vestono l’evento di Kony 2012: interstizi emotivi, immaginari positivi di rottura delle norme sociali consolidate messi in contrapposizione con la rappresentazione distopica e mondimensionale di Joseph Kony. Il suo personaggio ha le fattezze dell’orco malvagio (l’antagonista per eccellenza nella cultura popolare) che nel cuore della notte rapisce tenere creature innnocenti strappandole al calore della famiglia ed alla spensieratezza dell’infanzia. La figura del comandante del Lord Resistance Army (LRA) viene accostata a quella di Adolf Hitler ed Osama Bin Laden, rispettivamente nemesi politica occidentale novecentesca e icona del brand del terrore globale, sinonimi di autoritarismo retrogrado, fanatismo religioso ed arretratezza culturale.
Lo scontro simbolico che si produce all’interno del filmato allora è una trasposizione di una lotta epica tra bene e male, della battaglia del nuovo che si impone sul vecchio. Ed è uno scontro a cui lo spettatore non può assistere passivamente ma deve prendere parte in quanto membro di una “comunità globale” – unita dalla condivisione dei più elementari “diritti umani” e mediata dai social network digitali – mobilitandosi in rete ed in strada per spezzare l’incantesimo, stanare l’orco dalla sua grotta e consegnarlo alla giustizia.
Si può scatenare il proprio desiderio di cambiamento ed entrare in azione affinché gli invisible children possano tornare all’abbraccio delle loro famiglie (e tutti possano vivere felici e contenti) in pochi passi. Basta firmare una petizione on-line segnalando la propria casella di posta elettronica oppure è acquistare per 30 dollari l’“action kit”: una scatola contenente il merchandise della campagna “Stop Kony 2012” da distribuire.. anzi, con cui colpire le strade. Last but not least: condividere il video in rete grazie agli strumenti di mass-self comunication di cui tutti oggi dispongono.
Militanza politica a portata di mouse e di qualsiasi portafoglio. Fare la storia non è mai stato così facile.
Distribuire l’emozione
Kony 2012 è riuscito ad intercettare la sfera emotiva di un pubblico di centinaia di milioni di persone ad ogni latitudine del pianeta, fino ad imporsi nei network di comunicazione globale in quanto nuova porzione dello spazio pubblico prodotta da una catalizzazione delle emozioni (anche grazie ad un vocabolario traslitterato da quello delle rivoluzioni politiche degli ultimi anni) che ha unificato affettivamente la società.
All’interno di questo spazio creato artificialmente, le idee e le merci veicolate dalla campagna ideata da Jason Russell sono diventate irrinunciabili. In poco più di due settimane IC ha raccolto qualcosa come 30 milioni di dollari grazie alla vendita degli action kit. Il filmato di Kony 2012, caricato su diverse piattaforme di video streaming è stato visualizzato fino a questo momento da più di cento milioni di persone. Infine nei suoi momenti di punta l’hashtag #StopKony è stato twittato con una frequenza di 12000 volte ogni dieci minuti.
Come è stato possibile tutto questo?
L’auto-replicazione del video in rete non può essere imputata esclusivamente al suo contenuto. Bisogna andare più in profondità, guardare ai media che ne hanno stimolato la veicolazione e tenere presente come la campagna Kony 2012 è stata organizzata su diversi livelli: sia attraverso l’impiego delle tecniche fondamentali del marketing virale e del guerrilla marketing sia attraverso un’azione efficace su Twitter, dove i promotori si sono mimetizzati nel flusso caotico delle informazioni, producendo e facendo circolare impulsi comunicativi mirati, con l’obbiettivo di evocare uno sciame di utenti, organizzarne la spontaneità ed indirizzarne la direzione.
Primo livello. Kony 2012 non è un fenomeno che nasce in internet il 5 marzo ma è stato preceduto da una lunga fase di gestazione segnata dal presidio di social network e luoghi pubblici ritenuti strategici. Fin dal 2003 infatti IC ha intessuto un’estesa rete di contatti in scuole, università e chiese statunitensi (fra i suoi maggiori foraggiatori troviamo il Discovery Institute o The Call assieme ad altre organizzazioni omofobe e creazioniste della destra cristiana). L’ONG è riuscita a raccogliere finanziamenti e ad assemblare reti digitali e reali di comunicazione, promuovendo meeting, raduni ed incontri faccia a faccia in importanti nodi fisici dei network che innervano e mettono in connessione la società.
Secondo livello. Queste reti preesistenti sono state tutte attivate simultaneamente al momento del lancio della campagna. I primi a muoversi sono stati gli account Twitter che fanno direttamente riferimento ai fondatori di IC o che sono fortemente coinvolti nell’attività dell’organizzazione. A ruota hanno seguito altre comunità presenti sulla piattaforma di micro-blogging. Dall’analisi di Gilad Lotan sui meccanismi virali innescatisi intorno a Kony 2012 emerge in modo inequivocabile come tali comunità siano geograficamente collocate in città medio-piccole del sud degli Stati Uniti (in cui IC è evidentemente radicata) e composte principalmente da teen-ager appartenenti all’associazionismo cristiano . Inoltre secondo i dati di YouTube il video è stato visualizzato principalmente attraverso smartphone ed ha fatto breccia all’interno della “Facebook generation”: una componente giovanile compresa tra i 13 ed i 18 anni, un target di “nativi digitali” che è il vettore ideale per una diffusione attiva del suo contenuto sui social media.
Terzo livello. Attraverso il sito ufficiale di Kony 2012 gli utenti sono stati incoraggiati ad interagire su Twitter con diversi “policy makers”. Ma soprattutto con i ben più popolari ed influenti “culture makers”: personaggi del mondo dello spettacolo, presentatori televisivi, attori e musicisti. Bastava un click su www.kony2012.com per generare in maniera automatica 140 caratteri con cui chiedere supporto alla propria star del cuore. Attraverso quest’interfaccia ultrasemplificata per l’engagement con l’obbiettivo/popstar centinaia di migliaia di persone hanno generato veri e propri tweet storm richiamando così l’attenzione di nove celebrità.
Quando queste per non deludere i loro fans hanno deciso di spendersi per pubblicamente a favore della campagna Stop Kony, facendo pesare tutto il loro capitale reputazionale, i giochi erano fatti: Kony è stato nominato! Il video ha cominciato ad diffondersi viralmente senza bisogno di alcun tipo di regia. I focolai di contagio sono aumentati a dismisura e si sono manifestati in ogni ganglio del sistema comunicativo globale. I media mainstream (televisioni, radio e quotidiani) hanno coperto l’evento sia per la sua estensione eccezionale, sia per le polemiche che cominciavano a circondarlo, sia perché altre celebrità ancora decidevano di darsi al band wagoning, salendo sul carro dei vincitori pur di guadagnarsi i loro 5 minuti di visibilità. Il video è stato sottotitolato in decine di idiomi ed ha sfondato qualsiasi barriera linguistica grazie al lavoro volontario di migliaia di utenti. La Casa Bianca ha espresso in una conferenza stampa ufficiale il suo supporto per la campagna in difesa dei bimbi soldato ugandesi. Anonymous ha lanciato l’operazione Kony 2012 contro il leader dell’LRA. Le iniziative di solidarietà e supporto ad IC hanno cominciato a spuntare come funghi in università e scuole dentro e fuori gli Stati Uniti.
Non può allora non saltare all’occhio come uno dei messaggi principali della campagna Kony 2012 sia proprio il medium che l’ha promossa. Ha creato un’atmosfera di interazione positiva tra milioni di utenti che si sono interessati alla vicenda, mettendoli in connessione tra loro, creando una massa critica con cui colpire l’opinione pubblica internazionale e richiamando la copertura del mainstream. Chi vi ha partecipato ha avuto la percezione che l’agenda setting venisse fissata dal basso. Ancora una volta internet è stata raccontata come l’architettura di nuove forme di democrazia e partecipazione ed anche da questa narrazione la campagna di IC ha tratto legittimità, consenso ed attenzione (tra l’altro l’unico bene soggetto al principio di scarsità nell’economia digitale). La vera domanda ora è: in che modo verrà speso questo capitale accumulato?
Una risposta esaustiva non può essere ancora formulata.
Certo non si può non tenere in conto che il 21 marzo un gruppo bipartisan di 34 senatori del Congresso ha promosso una risoluzione di condanna nei confronti di Jospeh Kony e del LRA , dichiarando la necessità di aumentare gli sforzi militari in Uganda.
Certo non si può non tenere in conto che il 23 marzo l’Unione Africana ha mobilitato 5000 uomini per intensificare la caccia a Joseph Kony e dare maggior supporto al contingente statunitense inviato da Obama in Uganda ad ottobre 2011.
Certo non si può non tenere in conto che l’Africa Centrale rappresenti uno dei principali terreni strategici di scontro tra Cina ed Usa in ambito politico, energetico, commerciale, culturale e mediale.
Certo non si può non tenere in conto che è dal 2009 lo staff della Clinton, grazie alla collaborazione dei giganti della Silicon Valley prosegue un incessante lavorio di arruolamento e connessione tra ONG (ed IC è una di queste) che proprio nei social media a stelle e strisce individuano uno strumento di lotta contro le politiche di regimi invisi a Washington (e d’altra parte questi stessi social media vengono considerati ai piani alti del dipartimento di Stato come un canale di penetrazione culturale, politica e commerciale).
Non sembra azzardata una considerazione. Kony 2012 è stata un’operazione di guerriglia marketing dentro un’operazione di guerriglia marketing. Essa ha sfruttato (e sta continuando a sfruttare) la cooperazione comunicativa innescata da soggetti non immediatamente riconducibili a specifiche logiche politiche. Il vero brand sponsorizzato su scala planetaria non è stato (o almeno non solo) quello di IC ma quello del softpower statunitense e delle sue sue rinnovate pretese egemoniche a forma di network.
(…continua)
InfoFreeFlow (@infofreeflow) per Infoaut
Nota
[1] Per una prima ricognizione su meccanismi, dinamiche e tattiche di guerriglia e viral marketing si veda S.Cacciari e L.Mori, Mesh di comunicazione, Pisa, 2008, Edizioni ETS a cui questo testo si rifà
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