Tassazione delle piattaforme in Cina
L’idea è quella di tassare le piattaforme in modo tale che i profitti che derivano dalla raccolta dati degli utenti vengano redistribuiti.
Il documento della “Prosperità Condivisa” fornisce un’ampia panoramica sugli obiettivi redistributivi ma non entra nel merito delle politiche necessarie a conseguirli.
Ciononostante, tra le righe si leggono chiari riferimenti al sistema fiscale. Quello cinese è fortemente regressivo: le tasse sui redditi sono molto basse e le entrate si basano pesantemente sul gettito dell’IVA, quindi sui consumi. Inoltre, non ci sono tasse sulle proprietà immobiliari e sull’eredità [nota 13]. Questi ultimi elementi possono essere considerati alla base della crescita speculativa del mercato immobiliare urbano.
Ci vorrà tempo per verificare se si trasformeranno in riforme. Ciò che è chiaro ad oggi è la fine delle agevolazioni per le piattaforme digitali.
Nel XXI secolo, la volontà politica centrale ha permesso alle big tech cinesi di godere di una fiscalità agevolata, permettendogli di versare tasse sui redditi da impresa tra il 10 e il 15% a fronte di una media del 25% per gli altri settori produttivi.
Come annunciato dalla stessa Alibaba nel mese di agosto [nota 14], il governo cinese le ha comunicato che essa non sarà più considerata una key software enterprises (KSE).
Una sorte che si profila per tutte le imprese tecnologiche e le piattaforme digitali, in cui lo Stato non rappresenta l’azionista di maggioranza.
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